E’ in corso da diverse ore in Tunisia lo sciopero generale indetto ieri dall’Unione generale tunisina del lavoro (Ugtt nell’acronimo francese) in seguito all’omicidio di Chokri Belaid, il segretario del Partito dei patrioti democratici uniti ucciso due giorni fa a Tunisi. Lo sciopero sta riscuotendo un significativo successo di adesioni e tutti i collegamenti con la Tunisia sono stati interrotti per l’inagibilità dei principali aeroporti.

Mentre a Djebel Jelloud, quartiere della periferia meridionale della capitale, si sono svolti i funerali di Belaid, nei palazzi del potere ci si sta interrogando sulle iniziative da prendere per affrontare una crisi politica che era già latente e che l’omicidio di Belaid ha contribuito a far venire alla luce nella sua complessità.

L’annuncio dello scioglimento del governo fatto due giorni fa dal primo ministro Hamadi Jebali – che ha parlato di un nuovo esecutivo di soli tecnici – non è stato accolto bene nemmeno all’interno di Ennahda, il partito di maggioranza e fulcro della coalizione tripartitica che guida il paese. Il presidente tunisino Moncef Marzouki ha rilanciato chiedendo invece la creazione di un governo di unità nazionale.

L’opposizione, più unita che mai, si è ritrovata ai funerali di Belaid. L’ex primo ministro Beji Caid Essebsi, ora alla guida di una delle principali formazioni di opposizione, facendo riferimento a Belaid ha parlato “di un grande eroe” mentre una folla di migliaia di persone intonava slogan ormai tipici della cosiddetta Primavera araba contestando il governo ed Ennahda. Proteste tra ieri e oggi si sono tenute oltre che a Tunisi anche in altre città tra cui Gafsa, centro minerario dove la contestazione ha assunto spesso toni duri e violenti negli ultimi mesi. La folla ha inoltre assaltato alcune sedi di Ennahda.

Secondo diversi osservatori e secondo fonti locali della MISNA, la crisi politica trae innanzitutto origine dall’incapacità del governo di attuare piani di sviluppo che facciano crescere l’economia e riducano la disoccupazione, alta soprattutto tra i più giovani. Una situazione divenuta sensibile in quelle stesse zone da dove, due anni fa, partirono le proteste contro l’allora presidente Zine el Abidine Ben Ali.