Una riflessione alla vigilia delle elezioni politiche ed amministrative dell’Associazione “a sud” www.asud.net

Da oltre un anno l’agenda politica del nostro paese è stata determinata dalla logica perversa dell’inevitabilità dell’austerity impostasi nell’Europa intera, che spaccia per assioma l’impossibilità di alternative praticabili per far fronte alla crisi globale che stiamo attraversando. La classe dirigente e politica si mostra da tempo incapace di leggere la realtà e di rispondere alle allarmanti domande poste dalla crisi, che invece interrogano sempre più ampie fasce di società civile. Sono questi gli elementi a riprova di una impasse anzitutto culturale, confermata dal fatto che troviamo oggi gli stessi responsabili della crisi a tentare di risolverla, o meglio di tamponarne gli effetti, replicandone in realtà le contraddizioni.

Le politiche di rigore hanno allargato la ferita del divario sociale, polarizzando la società italiana tra pochi ricchissimi e molti nuovi poveri, distrutto lo stato sociale e le conquiste raggiunte a seguito di decenni di lotte sociali per i diritti civili, raccontando che solo attraverso il suo smantellamento si può tornare a crescere. Ma crescere in quale direzione? E’ questa la domanda da cui dovrebbe partire il processo verso un cambiamento reale e l’unica risposta può essere una transizione a tappe serrate, verso la costruzione di condizioni materiali di benessere, anzi di “buon vivere”, in Italia e nel resto del mondo. E’ una sfida da intraprendere sul piano culturale, finalizzata allo sviluppo e all’affermazione di un’idea alternativa del modello di società e di economia, fondata sulla giustizia sociale ed ambientale, sulla redistribuzione della ricchezza, sulla tutela integrale dei diritti, sull’affermazione di una democrazia quanto più sostanziale e partecipata.

Questa è la prospettiva che dovrebbe affermarsi nel dibattito politico: la sola che possa tirarci davvero fuori dalla crisi, per superarla definitivamente; invece di rimandarla, come è già accaduto in passato, scaricandone il peso sulle generazioni future. A ricordarci ogni giorno l’inderogabilità di una transizione di modello è la più grave minaccia che incombe, non sugli indici di borsa o sul rating, bensì sulla nostra sopravvivenza e sulla vita stessa del pianeta: quella dei cambiamenti climatici – censurata dai mass media e ignorata dalla politica internazionale.
Sono chiare le priorità irrinunciabili da assumere e molti i temi da inserire con urgenza nell’agenda politica del nostro Paese. Democratizzare lo sviluppo attraverso processi di redistribuzione reali, garantire la resilienza del pianeta attraverso politiche fondate su una visione ecologica integrata, ripensare il sistema di gestione delle risorse, dei beni comuni, dei servizi essenziali. Estendere i diritti anziché contrarli, costruire un nuovo welfare a partire da strumenti universali come il reddito minimo, promuovere e valorizzare forme economiche solidali. Riconvertire il tessuto produttivo e le abitudini di consumo, riformare la finanza, investire in formazione, ricerca e cultura. Mettere in sicurezza il territorio rinunciando a grandi opere costose e inutili, ripensare il ciclo dei rifiuti e la mobilità sostenibile, creare meccanismi di partecipazione e controllo sociale realmente efficaci. Questi sono i temi provenienti dai percorsi delle organizzazioni sociali, sui quali chi si candida e chi governerà tanto il Paese quanto le sue regioni, province e città è chiamato a rispondere. Senza possibilità di rimandare oltre.

Di fronte al colpevole inadeguatezza della politica, è chiaro che in questo momento storico il ruolo della società civile organizzata, con il suo portato di saperi e progettualità, è centrale nell’ideazione e nell’implementazione di un processo di cambiamento reale. Essa rappresenta un portato di saperi e progettualità che può e deve essere la base da cui partire per invertire la rotta e promuovere un cambio di passo urgente, basato anzitutto sulla centralità della giustizia, sull’affermazione e la tutela dei diritti, sulla cultura della solidarietà e di un’equità autentica. A partire da quelli che riteniamo i nessi più emblematici della crisi non soltanto economica che stiamo vivendo, come il rapporto salute-lavoro, la riconvesione, la democrazia reale.

Se l’Ilva di Taranto non è che la punta dell’iceberg dell’insostenibilità di un modello produttivo ed economico, l’entità del disastro ambientale e sociale che rappresenta basta a mostrare la necessità di un riconoscimento normativo del diritto alla salute, che non può più essere violato dal ricatto occupazionale. E’ necessario un controllo più stringente delle attività industriali e non può che derivare da una cittadinanza più informata, attraverso l’individuazione di strumenti efficaci, come l’istituzione del registro tumori e di osservatori indipendenti sui conflitti ambientali, l’utilizzo della ricerca partecipata e dell’Epidemiologia popolare.

Come indispensabile risulta percorrere la via di un processo di riconversione produttiva e altro-economica, attraverso lo sviluppo di filiere ecologicamente e socialmente sostenibili. Processo che prevede la promozione da parte delle istituzioni di percorsi formativi e di un quadro normativo nazionale nel quale declinare progetti specifici tarati sulla dimensione locale. Quella per la riconversione è una sfida che si gioca nella pratica a livello locale e che tutti gli stakeholder – a cominciare da amministrazioni pubbliche, sindacati, forze produttive, organizzazioni sociali – dovrebbero fare propria, attraverso tavoli di consultazione e pianificazione partecipata.

In un momento in cui è massima la sfiducia nei confronti della politica e dei processi decisionali, la partecipazione reale, non quella “estetica”, dovrebbe poter permeare i processi di adozione di politiche pubbliche. Divenendo modus operandi della politica, attraverso l’introduzione di strumenti efficaci che partano non solo dal coinvolgimento, ma finalmente dal riconoscimento e della messa a sistema del lavoro, delle proposte, delle riflessioni e del portato delle nuove soggettività sociali che ben meglio delle vecchie forme della politica hanno saputo in questi anni leggere la realtà e rispondere alle domande poste dalla crisi.

A Sud