Efraín Ríos Montt, 88 anni, presidente ‘de facto’ del Guatemala in un periodo seppure breve passato alla storia per decine di massacri di civili (23 marzo 1982-8 agosto 1983) siederà in tribunale sul banco degli imputati per genocidio.

Così ha deciso un tribunale di Città del Guatemala accogliendo la richiesta della pubblica accusa di processare l’ex dittatore per l’eccidio di 1171 indigeni Maya Ixiles perpetrato nel dipartimento settentrionale del Quiché durante il suo regime: 15 mesi che la storia recente del povero paese centroamericano ricorda come l’era della ‘tierra arrasada’ (terra bruciata) nei confronti dei nativi, ancora oggi discriminati ed abbandonati dallo Stato.

“Esistono basi serie per sottoporlo a giudizio per la supposta probabilità della sua partecipazione ai delitti che gli vengono imputati” ha detto il giudice Miguel Gálvez leggendo il pronunciamento della corte nella piccola aula del ‘Juzgado Primero B de Mayor Riesgo’ affollata da familiari delle vittime, attivisti per i diritti umani e militari a riposo, alla presenza di Ríos Montt. I suoi legali avevano chiesto il non luogo a procedere sostenendo che l’ex generale non fosse stato a conoscenza dell’operato delle forze armate.

Con Ríos Montt sarà processato per genocidio anche il generale a riposo José Rodríguez, suo stretto collaboratore, all’epoca dei fatti capo della II Sezione dello stato maggiore della difesa: secondo l’accusa pianificarono ed eseguirono strategie concepite per “annichilire” l’etnia Ixil del Quiché nell’ambito della lunga guerra civile (1960-1996). Le parti sono state chiamate a presentarsi nuovamente in tribunale il 31 gennaio per l’udienza in cui si deciderà la data del processo e la composizione del collegio giudicante.

Già leader del ‘Frente republicano guatemalteco’ (Frg), deputato e presidente del Congresso dopo il ritorno della democrazia, Ríos Montt è stato rinviato a giudizio, per la prima volta, solo il 26 gennaio scorso, pochi giorni dopo aver perso l’immunità parlamentare che per anni l’ha protetto. Deve rispondere di un altro massacro di civili, quello di Dos Erres, nel dipartimento settentrionale del Petén, dove fra il 6 e l’8 dicembre 1982 furono assassinati almeno 250 indigeni, tra cui 67 bambini.

Durante il suo regime venne condotta una campagna anti-guerriglia di inaudita ferocia: centinaia di villaggi vennero rasi al suolo, oltre 15.000 guatemaltechi vennero assassinati, 500.000 si rifugiarono sulle montagne per sfuggire all’esercito e 70.000 cercarono riparo nei paesi vicini, specialmente in Messico.