Tempi duri per gli egiziani. Sull’annosa crisi economica e sociale del Paese praticamente non si è mai intervenuto, nonostante la rivolta e il cambio di regime. Inoltre, Morsi va all’attacco con la repressione del dissenso e i politici sono concentrati sulla nuova legge elettorale e sul voto che si terrà a breve.  Già qualche giorno fa abbiamo parlato qui di una popolazione alle prese con grosse difficoltà per la propria sopravvivenza, mentre la politica è rintanata nelle sue stanze e non gode più di alcun tipo di fiducia presso la gente, che infatti si è recata a votare per il referendum sulla bozza di Costituzione solo per il 33% degli aventi diritto al voto.

Le notizie delle ultime ore ci parlano di un aumento di circa il 20% dei prezzi per i generi di prima necessità, dal pane alla carne, dall’olio allo zucchero. Ad aggravare inoltre la situazione, con previsioni di un’inflazione costantemente in crescita, c’è il fatto che per molti beni di sussistenza l’Egitto dipende interamente dalle importazioni da Paesi terzi, come gli Stati Uniti (e questo ci fa tener presente lo stretto legame tra la politica internazionale e la vita di tutti i giorni). E quando, come di questi tempi, il valore della lira egiziana rispetto al dollaro è ai minimi storici, importare costa ancora di più, e questo costo grava direttamente sulla gente che deve sfamarsi.

Tutto questo è il frutto di decenni di politiche ultraliberiste imposte al Paese dalla Banca Mondiale e dal Fondo Monetario Internazionale, che in nome della libertà dei mercati senza controlli ha reso il Paese, che storicamente forniva beni primari come il grano a tutto il Mediterraneo, non più autosufficiente per quanto riguarda la produzione alimentare. Una sorta di nuova colonizzazione, in cui però la dipendenza non è solo nei confronti di potenze estere, ma soprattutto verso multinazionali e grandi colossi industriali e finanziari. E col rischio di bancarotta l’Egitto potrebbe essere nuovamente teatro di dure politiche di austerity e sfrenata liberalizzazione, se sarà costretto a chiedere di nuovo aiuti alla World Bank ed all’IMF.

Il governo a guida Fratellanza Musulmana oggi al potere ha proposto, per attrarre gli investimenti esteri nel Paese, l’emissione dei cosiddetti “bond islamici”, i fondi obbligazionari sukuk. Si tratta di complessi strumenti finanziari che dovrebbero rispettare i precetti dell’islam, che ha regole molto rigide per quanto riguarda il divieto dell’interesse e dell’incertezza contrattuale (onnipresenti quando si tratta di borsa e di azioni). Tuttavia una delle principali istituzioni religiose non solo dell’Egitto ma di tutto il mondo islamico, la facoltà di teologia di al-Azhar del Cairo, ha fortemente criticato la proposta di emissione di questi “bond” da parte del ministro delle finanze. Come formulati dal governo egiziano, tali fondi violerebbero comunque la legge islamica (shari’a) e significherebbero la svendita del patrimonio industriale egiziano a imprese estere. Nulla di nuovo, insomma.

Sul fronte politico, l’attenzione è concentrata sulla nuova legge elettorale che Morsi e il governo stanno elaborando in vista delle elezioni che si terranno a marzo per dare all’Egitto il primo Parlamento della nuova “era democratica” (tra molte virgolette: chiedete il perché all’opposizione). Prime voci, che potete leggere in quest’articolo dell’Agenzia Nova, parlano di un governo intenzionato a mantenere inalterato il numero dei parlamentari, imponendo però la presenza di almeno una donna in ogni lista, e in posizioni preferenziali. Si discute anche delle circoscrizioni elettorali, delle regole di svolgimento delle operazioni alle urne, e sulla possibilità di far presenziare giornalisti e rappresentanti di lista allo spoglio delle schede. Anche il fronte dell’opposizione a Morsi sta elaborando proprie proposte di legge elettorale, mentre nel frattempo si assiste alla frammentazione del partito salafita al-Nur (“la luce”), che si è affermato alle scorse elezioni come seconda forza politica egiziana detro al partito al-Hurriya wa al-’Adala (“libertà e giustizia”), braccio politico dei Fratelli Musulmani.

Di ieri è poi la notizia dell’apertura di un fascicolo d’inchiesta nei confronti di Bassem Yusuf, il popolare chirurgo e attore satirico che da soccorritore di feriti a piazza Tahrir nella primavera 2011 è diventato uno tra i comici più popolari e seguiti. Una star nata dalla rivolta, che si è affermata prima con video su YouTube e poi sul canale televisivo OnTv (di proprietà del magnate delle comunicazioni Sawiris) con la trasmissione al-Barnamaj (“il programma”), un finto tg che in maniera irriverente si fa gioco dei poteri forti egiziani. Yusuf è accusato di «offesa al presidente della repubblica» per aver messo in scena uno sketch in cui, nelle vesti di Mohammed Morsi, cantava una canzone romantica con in mano un cuscino a forma di cuore con la scritta “love”. Il riferimento era ai discorsi del Presidente che invitavano gli egiziani ad amare il prossimo. Staremo a vedere se la procura passerà da semplici indagini a provvedimenti più severi.

Nel mirino della giustizia, su pressione della presidenza, anche il settimanale Sawt el-Umma (“la voce della nazione”) e il quotidiano indipendente Al-Masry Al-Youm (“l’egiziano oggi”). In pieno stile Mubarak, si riaffaccia in Egitto una dura repressione della satira, del libero pensiero e del dissenso.

A tal proposito vi riproponiamo qui un articolo premonitore di Alaa al-Aswani, tra i primi segnalati dal nostro sito. Già a fine ottobre l’intellettuale aveva notato ben poche differenze tra Mubarak e Morsi, e ancora non c’erano state le prese di posizione dell’attuale presidente, né il suo tentativo di smarcarsi dal giudizio della Consulta con un articolo della bozza di Costituzione.

 

A questo link dell’Egypt Independent (edizione inglese del suddetto Al-Masry Al-Youm) trovate l’articolo sull’indagine su Bassem Yusuf

A quest’altro link di Al-Jazeera English, invece, la solidarietà espressa via twitter al comico