Riceviamo da “Altreconomia” e volentieri pubblichiamo:

Mentre a Roma si presenta lo Studio 2012 dell’Osservatorio “I costi del non fare”, che somma 474,3 miliardi di euro di opere cui l’Italia non può assolutamente rinunciare di qui al 2027, “Altreconomia” ha calcolato i “ricavi del non fare”, ovvero quanto l’Italia ha risparmiato negli ultimi anni grazie all’azione dei comitati e delle associazioni ambientaliste, capaci di bloccare opere inutili e dannose: ben 121 miliardi di euro, grazie ai “no” che aiutano a crescere.

121 miliardi di euro. Tanti sono i soldi che il sistema economico italiano (pubblico e privato) ha evitato di spendere sulla spinta delle proteste locali di cittadini organizzati in comitati. 
Soldi che avrebbero finanziato progetti -la maggior parte dei quali in ambito energetico e infrastrutturale- di cui oggi possiamo affermare con certezza l’inutilità o la dannosità.
I comitati ci avevano visto giusto, e grazie alle proteste hanno fermato un colossale spreco di denaro. Oggi quei comitati, viste come sono andate le cose, possono a buon diritto affermare: “Noi l’avevamo detto”.
Altro che “sindrome Nimby”: in un epoca di tagli e di crisi, li abbiamo chiamati “i ‘no’ che aiutano a crescere”, ovvero quelle battaglie di buon senso che, evitando sperpero di risorse, costi ambientali e costi sociali, hanno contribuito allo sviluppo economico del Paese.
Dai No Tav (le cui proteste hanno portato a un ridimensionamento del progetto con risparmi per 21,8 miliardi di euro) alle proteste contro gli F35 (che già oggi possono vantare un mancato spreco di 4,4 miliardi) passando per il piano inceneritori siciliani (5,5 miliardi di soldi pubblici) e il Ponte sullo Stretto (7,9 miliardi di euro): l’inchiesta di “Altreconomia” fa i conti sulla base di 15 progetti e del loro esito.
La cifra che ne risulta -121 miliardi di euro- è in realtà una sottostima dei risparmi che i comitati hanno permesso. Le opere contestate (oggi è dimostrato) non avrebbero portato sviluppo né lavoro, ma solo impatto ambientale.

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