Incursione e bombardamenti contro Gaza non hanno niente a che vedere con la distruzione di Hamas, né hanno lo scopo di impedire il lancio di razzi verso Israele e tanto meno si vuole raggiungere la pace. La decisione israeliana di spargere morte e distruzione a Gaza, di fare uso di armi letali e di giocare una battaglia con armi sofisticate e moderne ai danni di una popolazione civile disarmata, è l’ultima fase di una campagna decennale per la pulizia etnica della Palestina.

Israele sta usando aerei d’attacco altamente tecnologici per bombardare campi profughi densamente popolati, scuole, abitazioni civili, moschee, e per sferrare un attacco alla popolazione palestinese la quale non dispone di Aviazione, non ha una Marina o armi pesanti, non ha un’artiglieria, non ha nessun sistema d’armatura o comando e che nessun esercito….eppure la chiamano guerra. Questa non è guerra, questi sono omicidi.
“Quando Israele parla di autodifesa, intende che in qualità di potenza occupante, esso ha il diritto di difendersi dalla popolazione che sta cercando di annientare. Quando stai occupando militarmente terra altrui, non puoi parlare di difesa. Questa non è difesa. Chiamatela come volete, ma questa non è difesa”.

Noam Chomsky

Nel quinto giorno di aggressione israeliana contro la Striscia di Gaza salgono a 50 i morti e oltre 200 i feriti.

Aldilà delle dichiarazioni israeliane che hanno preannunciato quest’assalto: “mirare ai leader di Hamas e agli uomini della resistenza”, sono numerosi i bambini di Gaza caduti sotto le bombe di Israele. Gli ultimi due, uno appena un anno di vita, hanno perso la vita questa mattina a nord di Gaza.

E’ stato attaccato anche un complesso delle TV internazionali ed emittenti locali insieme ad altre stazioni di polizia e la Marina è impegnata in queste ore ad aprire il fuoco contro la fascia centrale di Gaza.

Anche la sede del consiglio dei ministri è stata buttata giù ieri, e potrebbe esserci stata l’intenzione di colpire la casa del premier Isma’il Haniyya nell’attacco in cui è stata centrata l’abitazione ad essa adiacente.

La guerra psicologica è parte del prototipo di guerra israeliano e anche questa volta numerosi palestinesi di Gaza hanno ricevuto telefonate o sms intimidatori dai militari.

Nella giornata di ieri, cinque israeliani sono rimasti feriti dalle schegge di razzi caduti nelle vicinanze delle proprie case. Da parte palestinese, oltre 200 razzi sono stati lanciati della resistenza e non esistono termini che indichino un reale confronto militare perché Israele ha sganciato ininterrottamente sull’intera Striscia di Gaza circa mille raid aerei da mercoledì scorso. In Gran parte sono stati fermati a mezz’aria dal sistema di difesa anti-missile Iron Drome.

Eppure questa volta c’è una particolarità nella risposta della resistenza palestinese ed è l’aver raggiunto Tel Aviv, a 75 km di distanza da Gaza, ma anche una zona nei dintorni di Gerusalemme due giorni fa.

Poco importa in questa sede indagare se si tratta di razzi di fabbricazione iraniana, sudanese oppure artigiana. Ciò che conta qui è capire in che direzione la resistenza palestinese decide di lanciarli.

Questa notizia, forse trattata con eccessiva enfasi dai media, ha scosso i palestinesi di Gaza e quelli altrove. Apprendere che quattro razzi della resistenza sono stati lanciati così vicini ai luoghi della loro memoria di popolo come Haifa (Tel Aviv), ha dominato i loro animi e hanno sperato di vincere anche solo una battaglia della lunga guerra che sono condannati a subire.

Faremo di tutto perché Gaza torni al Medioevo”, ha affermato ieri alla stampa nazionale il ministro dell’Interno di Israele.

Come se non ci avessero pensato già i sei anni di assedio, si potrebbe osservare.

Similmente a quanto accadde quattro anni fa, nel giro di poche ore dallo scoppio della violenza, anche in questa crisi è stato lanciato al mondo l’appello per l’emergenza umanitaria a Gaza, dove gli ospedali già soffrono di mancanza di medicinali, sangue e strumenti per il soccorso e l’intervento.

Oggi come allora, non esistono ripari per i palestinesi di Gaza, essi non hanno bunker, non saprebbero dove andare per mettersi in salvo e sono ricorrenti le immagini di cittadini disarmati costretti a liberare a mani nude i corpi dalle macerie, colonne di cemento.

Per Israele si può andare indeterminatamente così; “Gaza è un problema umanitario e nessuna rivendicazione politica proviene dal territorio sotto assedio”.

Israele ha fatto sapere di essere determinato a portare a termine quest’operazione militare, programmata forse per sette infinite settimane e dei 75mila militari richiamati per invadere Gaza via terra, numerosi sono già disposti fuori dal territorio palestinese. Non si conoscono però con certezza i tempi, né si capisce cosa Israele voglia realmente perseguire con l’operazione militare a Gaza.

L’ira delle genti per la ripetizione di un attacco che già si sa, resterà impunito, s’è subito manifestata nelle piazze in Europa, Stati Uniti, Canada, Paesi arabi e Turchia. Durissima la repressione in Cisgiordania e a Gerusalemme, con arresti e ferimenti dei palestinesi che hanno voluto esprimere per le strade il proprio coinvolgimento con ciò che sta accadendo a Gaza.

Com’era prevedibile il web è esploso; le masse sono impegnate a seguire la cronaca, a trascrivere i numeri di questa guerra, a soffermarsi sulle immagini della disperazione da Gaza, si fa gara ad afferrare il primo twitter utile per ripresentarlo.

Purtroppo l’intensità e la rapidità con cui si diffondono le notizie provenienti da Gaza restano nello spazio virtuale e ad ora non esistono speranze per una tregua. Non trovano conferma le notizie di un possibile incontro al Cairo per raggiungere un cessate il fuoco. I sopralluoghi di esponenti politici in Egitto in queste ore potrebbero rientrare in formali giri di consultazione tra i leader regionali.

Le visite a Gaza del premier egiziano Qandiyl due giorni fa e ieri quella del ministro degli Esteri tunisino, ‘Abdelsalam, sono certamente state importanti per rompere l’isolamento a cui Gaza è condannata sotto ogni punto di vista.

Tuttavia, dalla riunione dei ministri della Lega Araba svoltasi ieri non è emerso niente di sostanziale.

Nella lettura conclusiva fatta dal ministro degli Esteri egiziano seguito dal Segretario generale dell’Organizzazione regionale, si è inoltrata l’emergenza Gaza alla competenza procedurale delle Nazioni Unite e si è espressa la speranza di attivare una giustizia penale internazionale.

Niente di fatto quindi. L’unica voce distintasi, forse perché più realista, è stata quella di Shaiykh Hamad bin Jassim bin Jabor Al Thani, premier e ministro degli Esteri del Qatar a capo del Comitato arabo per l’iniziativa di pace.

“ Queste riunioni sono perdita di tempo. (…) Non promettete ai palestinesi nulla di ciò che sapete di non poter mantenere”, con un esplicito riferimento agli aiuti economici promessi durante la guerra del 2008 e pare mai erogati.

Una vignetta di Latuff a questo proposito

Shaiykh Al Thani, che solo di recente aveva visitato la Striscia di Gaza, ha chiesto poi ai partiti politici, presumibilmente a quelle forze politiche emergenti, riunite sotto l’affiliazione alla Fratellanza Musulmana, di disegnare una nuova strategia politica per la causa palestinese, e di non strumentalizzarla per un proprio ritorno d’immagine.

Le sue parole hanno ricevuto stima tra molti palestinesi travolti dalla cronaca e schiacciati dal desiderio di veder concretizzare aspettative importanti per la loro salvezza. Essi però dovrebbero forse chiedersi se per caso tali visite politiche a Gaza nel mezzo dell’aggressione israeliana, non producano ulteriori divisioni nella politica palestinese, anziché riavvicinare le due rappresentanze politico-istituzionali della Striscia di Gaza e della Cisgiordania.