In una cerimonia in un parco del centro storico di San Salvador, quattro ‘mareros’ (o ‘pandilleros’) col volto coperto hanno deposto simbolicamente sacchi contenenti 77 armi da fuoco e un ordigno alla presenza del segretario generale dell’Osa, Juan Miguel Insulza, e di alti rappresentanti dell’esecutivo. “Vogliamo cambiare e vogliamo che si tenga in conto lo sforzo che stiamo facendo per la nostra gente” ha detto uno dei ‘mareros’.

E’ stato monsignor Fabio Colindres, uno dei facilitatori della tregua decretata tra le due bande rivali a partire da marzo, a elencare le armi dando anche lettura di un comunicato in cui le ‘maras’ affermano che “con la consegna del materiale descritto rispettiamo la parola data”. Secondo Insulza, “la riduzione della criminalità in America Latina è possibile e l’Osa si impegna in questo processo. Con molta sincerità e chiarezza – ha aggiunto – diremo poi quello che ha funzionato o meno con questa iniziativa”.

Sono stati gli stessi leader delle ‘maras’ a chiedere che l’Osa e lo stesso Insulza fungano da “osservatori e garanti in questo processo che portiamo avanti per la pacificazione del nostro paese”; un “processo storico e inedito” che dimostrerebbe la loro “volontà di contribuire alla pace sociale” in uno dei paesi più violenti del Centroamerica

Secondo dati ufficiali, prima della tregua tra le ‘maras’ in Salvador si contavano 14 omicidi al giorno, scesi ora a 5,5. A seguito della tregua, le ‘maras’ hanno anche dichiarato “zone di pace” i centri scolastici dove sono soliti reclutare forzatamente molti dei loro membri e si sono dette pronte a un vero e proprio negoziato per porre fine alla violenza. Presenti nei distretti più popolosi del paese, i ‘mareros’ sono stimati in oltre 50.000, 9000 dei quali sono in carcere.