Sergio Pedrocchi conduce la sua ricerca artistica attraverso l’uso e la sperimentazione di diversi linguaggi espressivi che appaiono talvolta imprevedibili e inaspettati, e che mutano o si combinano tra loro in un continuo rapporto dialettico.

L’impeto gestuale, nel suo solo apparente disordine, è il riflesso di ciò che l’artista scopre percorrendo propri sentieri interiori: la potenza comunicativa del segno e del colore fanno emergere i sogni e le inquietudini dell’animo e al tempo stesso superano scontate convenzioni stilistiche.

La padronanza tecnica permette a Pedrocchi di trovare i mezzi espressivi a lui più congeniali, siano essi la pittura, l’incisione, il disegno, per poter indagare il presente nelle sue affascinanti contraddizioni e diversità. Le stesse diversità che egli ha sempre ricercato e scoperto sia lontano dalla sua città natale, in Brasile, dove si compie parte della sua formazione artistica, sia in territorio trentino dove ora vive e dove, più che in altri luoghi, ha trovato la sua dimensione. Ma è difficile poter legare Pedrocchi ad un luogo geografico specifico perché per lui il viaggio è un aspetto fondamentale ed irrinunciabile della vita, attraverso cui indagare ciò che di più intimo si cela nel profondo di noi stessi.

Il suo carattere, solo a prima vista schivo e solitario, lo porta invece ad essere curioso e attento verso ogni manifestazione umana e desideroso di affinare e trasmettere, anche attraverso l’insegnamento e l’attività di stampatore, un proprio codice artistico personale per poter decifrare il mondo.

Achab, il titolo scelto da Pedrocchi per questa mostra, riporta il nostro immaginario alle vicende del personaggio di Melville, ossessionato dalla ricerca della leggendaria e mostruosa Moby Dick.
Lo scontro tra Achab e la balena è metafora dell’impossibile e insuperabile duello tra l’uomo e il mare, inafferrabile fantasma della vita, che racchiude in sé la più alta verità, che non ha riva, che non ha confini. Nello stesso modo l’artista si pone in una tensione continua, infinita per tempo e molteplicità di declinazioni, con se stesso e con la vita.

Quando però non riusciamo a riconoscere, affrontare e condividere i nostri personali e intimi mostri, ecco che la sfida, quella con noi stessi, di cui Achab è simbolo, mette in pericolo anche chi ci circonda, coinvolgendo e travolgendo gli altri nella nostra tormentosa e cieca ricerca, in un confronto che non è più indagine e conoscenza, ma battaglia impari di chi si scontra con le potenti forze indomabili della natura.

L’ossessione distruttiva di Achab diviene monito per Pedrocchi, che intuisce così il fondamento su cui basa la sua ricerca, concependo l’arte come catarsi e paradigma per conoscere e vivere la realtà, come luogo in cui confrontare le proprie immagini del mondo.

Carlotta Giardini