**Quale è il suo punto di vista sulla campagna elettorale per le presidenziali?**

La politica in senso stretto mi interessa, ma sono molto più interessato ai problemi sociali che non alla rivalità dei partiti al potere. Non li metto sullo stesso piano, non hanno la stessa ideologia né danno le stesse risposte ai problemi importanti, ma sta di fatto che da entrambe le parti ci sia una sorta di rinuncia al ruolo della politica. C’è una certa sottomissione al carattere, considerato inevitabile, di taluni imperativi economici, e le scelte che ci vengono proposte sono piuttosto limitate.
Detto questo, uno dei candidati ha effettivamente impostato la propria campagna su temi nazionalisti, identitari, in uno stile populista fatto di esasperazione dei contrasti, di semplificazione, di manicheismo, mentre l’altro ha voluto adottare un tono più moderato e quindi presentare un volto più civile, per non dire civilizzato.

Da questo punto di vista, le mie preferenze vanno al candidato socialista. Ma si tratta veramente di democrazia? Non del tutto. In democrazia in queste occasioni, si dovrebbe dibattere delle questioni di fondo che riguardano il potere del popolo, i limiti del potere dei dirigenti, l’equilibrio tra le libertà individuali e la cura del bene comune. Queste questioni, ho proprio l’impressione che non siano state poste. Ci si è scontrati su dei dettagli, evitando in modo sistematico di affrontare i problemi essenziali. Eppure, non sarebbe male se, una volta ogni cinque anni, si mettessero sul tappeto le questioni di fondo: in che mondo vogliamo vivere, che tipo di vita vogliamo avere?

Questi sono argomenti che non possono essere affrontati nel quotidiano, quando domina l’urgenza dell’azione, ma quando ci sono elezioni presidenziali allora sì, che dovrebbero essere sollevati. So bene che la Francia è presa nei grovigli delle relazioni tra i paesi europei e che il popolo francese non può decidere in maniera sovrana del proprio avvenire, visto che fa parte dell’Unione Europea. Penso però che la Francia abbia il vantaggio di essere un paese dal peso abbastanza importante sia per popolazione, sia per economia e storia, e di conseguenza, se i politici tracciassero una via sostenendola con vigore, questo potrebbe avere un impatto sulla vita politica nel suo insieme.

**Taluni ritengono che i due candidati abbiano dato l’impressione di essere prima di tutto degli amministratori, di non aver un progetto di società…**

Sì. Ma non credo che si possa decidere, così in astratto, di cambiare la società: questo tipo di cambiamento avviene indipendentemente dalla volontà dei leader politici, sono cambiamenti sociali che si verificano che loro lo vogliano o no.
Ciò detto, credo che si dovrebbero porre periodicamente delle questioni di fondo, in modo da poter rendersi conto che c’è qualcosa di profondamente disumanizzante nello stile di vita che imponiamo a noi stessi, visto che dopotutto non è un dittatore sanguinario a costringerci, ma la nostra stessa società a fare queste scelte.

A questo dovrebbero servire i politici: chiarire, formulare domande, esporre dilemmi reali, e naturalmente poi agire di conseguenza rispetto a queste problematiche, che si tratti di ecologia o del ruolo che deve avere il lavoro nella società…ci sono davvero delle questioni vitali per l’orientamento della società ma, senza pretendere, come i rivoluzionari di una volta, di “cambiare il mondo”, i responsabili politici non affrontano per niente questi argomenti. Ora, se uomini e donne di oggi non sono molto interessati ai grandi progetti politici, sono però molto sensibili agli orientamenti fondamentali nei quali la loro esistenza è coinvolta.

Nessuno dei due candidati alla presidenza della Repubblica ha provato ad accennare a questi problemi, nessuno di loro ha dato una prospettiva d’insieme dell’organizzazione della vita sociale, nessuno ha posto in questa prospettiva le misure che intende proporre o difendere. Questo fatto ci rivela qualcosa non solo su questi candidati, ma anche sulla nostra società, visto che essi sono stati eletti, sono stati scelti, con una votazione comunale o parlamentare, come i migliori rappresentanti dei loro rispettivi schieramenti. Questo suscita in me alcune riflessioni un poco disilluse sullo stato della nostra società: non possiamo dare la colpa solo agli individui che ora si confrontano, dobbiamo soprattutto rimpiangere il fatto che la nostra società non sia riuscita a suscitare vocazioni diverse, a farsi trascinare da visioni differenti.

**Ma quando si tratta di un duello per la presidenza della Repubblica, è possibile formulare “vere questioni” e dimenticare che il dibattito è una lotta? In altre parole, gli uomini politici possono permettersi di non rispondere a quello che credono essere il volere del popolo, anche quando questi è su una falsa strada?**

Se questa obiezione fosse fondata, il principio stesso della democrazia si troverebbe messo in discussione a vantaggio della demagogia. Ma la democrazia si è circondata di un certo numero di sistemi di difesa in modo che una volontà aberrante non possa portarla al disastro. Questi sistemi sono prima di tutto la Costituzione e il suo preambolo, contenente i principi fondamentali della Repubblica, seguita dalla legislazione e da quelle istituzioni che, nel loro equilibrio, possono contribuire ad evitare pericolose derive.
C’è per esempio, in Francia, l’indipendenza della magistratura, continuamente minacciata, certo, ma che ancora, bene o male, riesce a sopravvivere, al punto da poter mettere sotto processo personaggi di primo piano. Ci sono poi istituzioni come il Consiglio costituzionale, o il Comitato etico, che cercano di proteggerci contro eventuali derive della volontà popolare. Infine, l’appartenenza all’Unione Europea e la subordinazione del diritto nazionale al diritto europeo rappresentano un’ulteriore garanzia. Anche se, per esempio, il parlamento francese volesse ripristinare la pena di morte, non potrebbe farlo, a meno che la Francia non abbandoni l’Unione Europea. Ma anche se c’è un certo numero di valori stabiliti nei testi, questo non basta.

**Perché?**

Il nuovo contesto, rispetto a cent’anni fa, è rappresentato dall’importanza assunta dalla comunicazione. Si ha la sensazione che, oggi, gli uomini politici si accontentino di comunicare, di lanciare delle formule, e che questo sostituisca il fare. Così, per esempio, è stato spesso il caso del presidente uscente, sempre pronto ad annunciare tutta una serie di misure mai seguite poi da effetti reali. Il ritorno periodico alle urne finisce per avere alcuni aspetti inquietanti. Appena eletto, il responsabile politico comincia subito a preoccuparsi della propria rielezione, e cerca dunque di corteggiare i gusti del popolo, per esempio evitando di lottare contro xenofobia e rifiuto dell’emigrazione perché sa che una minoranza importante rifiuterebbe tale politica.

Quello che dobbiamo sperare, è che gli uomini politici conservino qualche convinzione e che l’unico scopo delle loro azioni non sia di preservare il proprio potere ma anche di difendere certi principi, di promuovere certi valori. Non credo siano solo avidi di potere, credo che abbiano anche voglia di fare valere delle idee, delle scelte. Dobbiamo puntare su questo.

**Non crede di essere troppo ottimista? Da Guy Mollet il “pacifista” che intensifica la guerra in Algeria, dal “socialista” François Mitterend che fa felice la Borsa, a Jacques Chirac che proclama la “rottura” e non cambia niente, da quest’ultimo a Nicolas Sakozy che promette “più lavoro” e condanna i lavoratori alla disoccupazione, quale uomo politico non si è rimangiato i propri impegni e non ha tradito gli elettori? A parte De Gaulle, che ha compreso e utilizzato al meglio le possibilità del tempo? La democrazia non finisce troppo spesso per portare al potere persone dalla mente limitata?**

Qualunque siano le debolezze del regime democratico, o meglio del suo funzionamento attuale, qual è l’alternativa? Affidare il potere a dei mandarini, a degli uomini illuminati, come auspicava Flaubert? Significherebbe sostituire la democrazia con un sistema aristocratico: come verrebbero scelti questi illuminati? La mia esperienza mi dice che a volte le decisioni del popolo sono più assennate di quelle della sua componente più illuminata, gli intellettuali.

Questi si lasciano spesso trasportare da sogni utopici che, nella realtà, finiscono per ritorcersi contro le loro intenzioni. Parlano spesso di cose che ignorano e si atteggiano a dispensatori di lezioni quando non hanno alcuna legittimità particolare per farlo. Durante questa campagna, ho avuto la sensazione che era praticamente un obbligo, per me, non intervenire. Di non utilizzare quel poco di autorità che ho per influenzare i miei lettori. Preferisco intervenire su argomenti precisi che conosco. Per esempio, ho scritto delle “tribune” sulla Libia, sulle minacce che incombono sulla democrazia. Per me sono argomenti sociali, non questioni di personalità. Il mio ruolo non è spingere a votare per l’uno o l’altro candidato, ma mostrare al pubblico il senso delle sue scelte.

**Come vede l’avvenire?**

Quando si parla del futuro, sono i nostri cuori a parlare. Si tende sempre a vacillare tra “la lucidità dell’intelligenza e l’ottimismo della volontà”. La democrazia non è più all’altezza delle proprie promesse, è malata di gigantismo, la libertà vi diventa tirannia, il popolo si trasforma in massa manipolabile. Ma anche se certi giorni questo processo mi sembra irreversibile, mi accorgo anche che in molti paesi europei si svolgono profondi dibattiti, che cittadini sempre più numerosi si indignano e manifestano e ogni giorno esprimono, in un modo o nell’altro, il loro desiderio di cambiamento. Che questo cambiamento avvenga “adesso” o domani, voglio credere che avverrà e mi rifiuto di essere del tutto pessimista.

(1) Ultimo titolo pubblicato: Les Ennemis intimes de la démocratie (Ed. Robert Laffont, 2012)

Traduzione dal francese di Giuseppina Vecchia