Il documento – diviso in dieci sezioni – denuncia un aumento degli omicidi nei Territori occupati rispetto all’anno precedente in cui i militari avevano ucciso 68 palestinesi nella Striscia di Gaza e 12 in Cisgiordania.

I relatori del rapporto riferiscono inoltre che quasi la metà di queste uccisioni, 47 per l’esattezza, sono avvenute “non durante situazioni di conflitto” e che in Israele le investigazioni sui decessi di cittadini palestinesi ad opera di militari “rimangono l’eccezione piuttosto che la regola”.

Nel 2001 una sentenza dell’Alta corte militare israeliana sancì il principio di discrezionalità nell’apertura di un’indagine in caso di uccisione di un palestinese da parte di un militare. La sentenza fu stralciata nel 2011 ma solo per la Cisgiordania. Ancora oggi l’uccisione di un palestinese nella Striscia, ad opera di un soldato israeliano, non determina in automatico l’apertura di un’inchiesta.

Nelle 61 pagine del rapporto, basato su inchieste, sopralluoghi e testimonianze, si sottolineano le “gravi mancanze” della magistratura israeliana che “non investiga in maniera appropriata sugli attacchi dei coloni ai danni della popolazione palestinese”. Su 352 denunce notificate da B’Tselem solo 250 sono state fatte oggetto di indagine e appena 29 si sono concluse con un rinvio a giudizio.”In alcuni casi – denuncia l’ong – le forze armate si trovavano presenti al momento degli attacchi ma non sono intervenute, se non per prendere parte alle violenze”.

“Quest’anno entriamo nel 45° anno dall’occupazione di Israele sui territori palestinesi della Cisgiordania e della Striscia di Gaza” sottolinea nella prefazione al rapporto la presidente di B’Tselem, Jessica Montell, per cui la violazione dei diritti umani “è una conseguenza imprescindibile dell’occupazione militare, il cui protrarsi non può far altro che esacerbare gli abusi”.