A 20 dalla fine della guerra civile (1980-1992), costata 75.000 morti e almeno 12.000 ‘desaparecidos’, il presidente Mauricio Funes, espressione degli ex ribelli del ‘Frente Farabundo Martí para la Liberación Nacional’ (Fmln), si è rivolto così a migliaia di contadini riuniti a El Mozote, nel dipartimento di Morazán.

La località, situata 200 km a est della capitale, fu lo scenario tra l’11 e il 13 dicembre 1981 della più effearata strage di civili dell’epoca del conflitto, quando il battaglione anti-guerriglia dell’esercito ‘Atlacatl’, addestrato negli Stati Uniti, fece irruzione nella zona in cerca di combattenti sterminando circa un migliaio di persone.

Molti corpi furono ammassati all’interno di una chiesa a cui fu dato fuoco, secondo un rapporto della Commissione della Verità delle Nazioni Unite diffuso nel 1993: il documento attribuì la responsabilità dell’operazione al colonnello Domingo Monterrosa, allora comandante del battaglione, al capo delle operazioni, il colonnello Armando Azmitia, e ad altri sei ufficiali che non furono tuttavia mai processati grazie all’amnistia decretata dal presidente Alfredo Cristiani poche ore prima della pubblicazione del rapporto. Allo stesso battaglione fu attribuita anche la responsabilità dell’assassinio, nel 1989, di sei sacerdoti gesuiti e due loro collaboratrici.

“Qui a El Mozote e nelle comunità vicine 30 anni fa si consumò un crimine smisurato che si tentò di negare e occultare sistematicamente. In tre giorni e tre notti fu compiuto il più grave massacro di civili della storia contemporanea latinoamericana” ha aggiunto Funes ricordando che metà delle vittime aveva meno di 18 anni. In qualità di comandante generale delle forze armate, il presidente ha detto anche che “a 20 anni dagli accordi di pace e di fronte a un’istituzione militare differente, democratica, che risponde al potere civile, non possiamo continuare a elogiare, presentandoli come eroi, capi militari che furono vincolati a gravi violazioni dei diritti umani”.

Monsignor Gregorio Rosa Chávez, vescovo ausiliare di San Salvador, ha sottolineato che gli accordi di pace misero fine alla guerra ma che restano “molti debiti nel campo dei diritti umani e nella situazione economica dei più bisognosi e i più poveri restano i più poveri”.