La vittoria nelle consultazioni referendarie del 12-13 giugno ha allontanato le
minacce immediate, ma non ha affatto chiuso la partita, su nessuno dei fronti aperti.
Assistiamo al costante tentativo di svuotare i risultati dei referendum e stravolgere
l’esplicita volontà popolare per quanto riguarda la privatizzazione dei servizi
pubblici.

Il referendum sul nucleare ha sventato la minaccia di una ripresa dei programmi
di energia nucleare civile nel nostro paese, e rimane forse quello che ha conseguito
un risultato più duraturo, anche se non si può escludere che nei prossimi anni il
tentativo si ripeta, se non riusciremo a creare un fronte internazionale che sia in
grado di battere definitivamente il potere dell’industria nucleare, imponendo la
fine della follia nucleare in tutto il mondo. L’obiettivo non è affatto utopistico,
se si considera l’aumento dell’opposizione all’energia nucleare in tutti i paesi del
mondo; l’insostenibiltà economica, oltre che ambientale, della tecnologia nucleare,
che si regge solo sui lauti sussidi pubblici e sull’esternalizzazione di costi scaricati
sulla collettività e le generazioni future; le gravissime difficoltà economiche in cui
versa l’industria nucleare per il fatto che il tanto decantato rilancio del nucleare non
sta affatto avvenendo, e dopo l’incidente dell’11 marzo 2011 in Giappone subirà
ulteriori rallentamenti; la persistente minaccia di nuovi gravi incidenti nucleari,
che ci riguarda direttamente per la prossimità al nostro paese delle centrali nucleari
francesi..

Ma vogliamo richiamare l’attenzione del movimento – comprensibilmente centrato
oggi sul fronte delle lotte legate alla crisi economica ed all’attacco alle condizioni di
vita e di lavoro di tutta la popolazione, in primo luogo delle giovani generazioni –
sul fatto che neanche in Italia ci si può cullare sugli allori della vittoria referendaria,
perché l’emergenza nucleare nel nostro paese non è affatto chiusa, da un quarto di
secolo si sta incancrenendo, ed è destinata ad aggravarsi.
I quantitativi di residui radioattivi, di diversa pericolosità e natura, esistenti in Italia
non sono certo esorbitanti rispetto a quelli di altri paesi, ma sono stoccati in depositi
temporanei (in un paese come il nostro dove il temporaneo diviene spesso definitivo)
sulla cui sicurezza, da ogni punto di vista, è più che legittimo dubitare anche perché
l’Agenzia per la sicurezza nucleare non è ancora divenuta operativa, mentre lo
smantellamento (decommissioning) dei quattro impianti nucleari è appena agli inizi.

Gli utenti elettrici italiani pagano ancora, e chissà per quanti decenni, una quota non
indifferente (circa 400 milioni di euro all’anno) nella bolletta elettrica per la gestione
di questi problemi.

Il procedere delle operazioni di decommissioning porterà ad un notevole aumento
dei quantitativi di scorie nucleari; mentre gran parte dei residui ad alta attività e
pericolosità derivanti dal ritrattamento del combustibile irraggiato delle nostre
centrali, temporaneamente custoditi in Francia e Inghilterra, rientrerà in Italia nei
prossimi anni. Tutto ciò riporta all’ordine del giorno la realizzazione del deposito
nazionale delle scorie nucleari che, anche se respinto dalle popolazioni della Basilicata nella versione improvvisata del 2003, è stato riproposto dai recenti atti
legislativi non abrogati dallo scorso referendum.

Pur rendendoci conto della complessità dell’attuale congiuntura economica e
politica, riteniamo pertanto necessario e doveroso richiamare l’attenzione di tutto
il movimento anche su questi problemi, ed invitiamo in particolare le forze che si
impegnarono attivamente sul referendum contro i programmi nucleari a ritrovare
occasioni di confronto per riprendere l’iniziativa politica su questi problemi che si
stanno incancrenendo, prima che esploda qualche nuova vera e grave emergenza.

Promotori: Angelo Baracca, Ernesto Burgio, Giorgio Ferrari, Antonio Marchisio, Ugo Mattei, Vincenzo Miliucci, Giorgio Nebbia, Giorgio Parisi, Roberto Romizi, Alex Zanotelli

Si può sottoscrivere l’appello sul sito:

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