E’ deplorevole vedere come i governi sudamericani si siano lanciati in una nuova e sfrenata corsa agli armamenti, le cui conseguenze sono imprevedibili. Se oggi ancora non si è sfociati in guerre aperte nessuno assicura che domani i futuri governi non decidano di utilizzare gli acquisti di oggi.
In risposta all’installazione delle 7 basi nordamericane in Colombia, il Brasile ha acquistato armi alla Francia per migliaia di milioni di dollari, che insieme alla sofisticata tecnologica della propria industria bellica rappresenta un vero anello di congiunzione in questo pericoloso cammino. A sua volta, per non restare indietro, il Venezuela ha iniziato a comparare sul mercato russo, mentre il Cile rinnova costantemente la sua forza aerea, terrestre e navale, per “dissuadere” i suoi vicini.
Quello che è fantastico è che ci spiegano che tutto questo non è una corsa agli armamenti ma soltanto la modernizzazione del sistema di difesa per combattere il terrorismo e il narcotraffico. Questa spiegazione è tanto sproporzionata come pretendere di uccidere mosche con l’artiglieria pesante.
UNASUR non ha preso una buona strada, ha seguito l’impeto del nuovo ricco, aumentando pericolosamente il suo potere di fuoco. Le conseguenze son imprevedibili. Il destino dell’America Latina è stato messo nelle mani degli eserciti. I politici sono rimasti fuori dal gioco, incastrati e immobilizzati tra gli eserciti e il potere economico. L’industria degli armamenti continua ad aprirsi mercati, le potenze mondiali hanno deciso di schivare la crisi economica vendendo armi al continente, e i nostri politici hanno trovato un linguaggio per calmare le loro coscienze, parlando di “rinnovamento tecnologico”, “lotta al terrorismo e al narcotraffico”, “potere di dissuasione”.

Lo dico con preoccupazione, UNASUR ha perso la rotta. Gli enormi acquisti di armamenti ci dicono che i governi calcolano che in futuro non riusciranno a mettersi d’accordo su niente, quindi la risoluzione di conflitti scaturirà solo dal rapporto di forze. Siamo chiari, tutto va nella direzione contraria all’attuale tentativo di integrazione. Si tratta semplicemente del dominio dei più forti sui più deboli.
Lo scontro culturale all’interno dei paesi (non solo con i popoli originari che si sono sollevati in tutta l’America, anche con le sottoculture urbane e giovanili) e la violenza irrefrenabile nella vita quotidiana e domestica sembrano non avere relazione con questa macro violenza continentale. Invece ambedue sono il riflesso della stessa malattia, una pandemia di violenza che sta attaccando la coscienza della popolazione mondiale.
Questo è lo scenario in cui inizia la Marcia Mondiale per la Pace e la Nonviolenza. Solo i popoli possono arrestare questa follia collettiva che si comincia ad intravedere. Cerchiamo di non essere indifferenti a questa azione mondiale che inizia il 2 Ottobre in Nuova Zelanda. Scommettiamo sulla Pace, a favore della Nonviolenza, esigiamo dal nostro governo il disarmo e la riduzione dell’investimento bellico.

Tomas Hirsch, portavoce della Marcia Mondiale per la Pace e la Nonviolenza, ex-candidato a Presidente del Cile.