Il convegno Scienza, ambiente, nucleare, guerra. Le implicazioni sistemiche del disarmo nucleare, secondo appuntamento organizzato dal coordinamento AGite nell’ambito del Festival della nonviolenza e della resistenza civile si è tenuto sabato 24 settembre, presso la Sala Poli del Centro Studi Sereno Regis.

Cristina Gamba del coordinamento AGiTe ha introdotto i lavori presentando il coordinamento e facendo una breve sintesi della prima parte del convegno svoltosi sabato 17 settembre.

Elena Camino ha moderato il dibattito tra i relatori presenti:

Daniele Santi (Senzatomica) si è ricollegato idealmente con la prima parte del convegno con il suo intervento Perché un Trattato ONU per la proibizione delle armi nucleari?

Prof. Francesco Gonella (Università Ca’ Foscari Venezia) ha parlato de L’opzione nucleare nello scenario turbolento del cambiamento climatico

Prof. Norberto Patrignani (Politecnico Torino) è intervenuto su Insicurezze e responsabilità nell’ intersezione tra ‘cyber and nuclear risk’.

Perché un Trattato ONU per la proibizione delle armi nucleari?

Daniele Santi della campagna Senzatomica è intervenuto a distanza sul tema.

La campagna Senzatomica – trasformare lo spirito umano per un mondo libero da armi nucleari è partita dieci anni fa da un gruppo di giovani ispirati dal pensiero di Daisaku Ikeda, presidente del Soka Gakkai.

Nella sua attività si è sempre concentrata nella sensibilizzazione delle coscienze sul pericolo delle armi nucleari: a questo scopo ha allestito una mostra interattiva ed itinerante sulle armi nucleari visitata da 360.000 persone, in maggioranza giovani e studenti, ed ha stabilito una fruttuosa collaborazione con la Rete Italiana Pace e Disarmo ed ICAN.

Il TPNW è il primo trattato che rende illegali le armi nucleari in tutte le loro implicazioni ed è stato possibile ottenerlo, a partire dalla società civile, grazie alla sua impostazione innovativa: a differenza degli altri trattati sull’argomento, ad esempio il TNP, non è basato sul concetto di deterrenza, ma su un’impostazione umanitaria che consente anche di preservare l’ambiente ed i beni comuni.

Ora che il trattato è pronto bisogna creare un movimento sociale abbastanza ampio da essere inarrestabile e per questo bisogna alimentare la speranza perché la gente non si senta schiacciata da problemi apparentemente insolubili.

L’opzione nucleare nello scenario turbolento del cambiamento climatico

Prof. Francesco Gonella dell’Università Ca’ Foscari di Venezia, con il supporto di dati e tabelle ufficiali ed affidabili, ha smontato tutta la narrativa ufficiale sul nucleare civile mettendola a confronto con la realtà.

Questo tipo di considerazioni sono rese necessarie dalla tendenza, sempre più forte, a considerare l’energia nucleare come un’alternativa ecologica od almeno come una forma energetica valida in un periodo transitorio.

Il nucleare non è pulito: nel dibattito sul nucleare si dice spesso che l’energia nucleare civile ha basse emissioni di CO2. In realtà se si considera il totale delle emissioni di CO2, prendendo in considerazione anche le emissioni per costruire la centrale, quelle per gestirle e dismetterla, quelle generate dalle altre fonti energetiche nell’attesa che la centrale sia operativa (si parla di un minimo di vent’anni dalla decisione di costruire la centrale alla sua operatività), l’energia nucleare ha un impatto inferiore solo alle biomasse (fonte Stanford University).

Il nucleare non è economico né sicuro. Basti pensare che i privati non investono su questa fonte energetica e le assicurazioni, notoriamente esperte nella valutazione dei rischi, non assicurano le centrali.

Anche nell’ipotesi che il livello di sicurezza di una centrale nucleare sia altissimo (con probabilità di incidente prossima allo zero), e così non è, il rischio si calcola con il prodotto della probabilità di incidente per il danno causato dall’incidente stesso. Sappiamo che il danno di una centrale nucleare in caso di incidente è enorme quindi il rischio rimane elevato anche in presenza del massimo livello di sicurezza.

Inoltre, la presenza di impianti nucleari facilita lo sviluppo di programmi nucleari militari.

Il nucleare non è equo. Per gli alti costi e la necessità di infrastrutture specifiche, l’energia nucleare è possibile solo nei paesi ricchi, inoltre funziona secondo un modello centralizzato che presuppone un accentramento di risorse e quindi di potere.

Il nucleare non è appoggiato dalla scienza. Esiste un piano articolato elaborato da un gruppo di lavoro dell’Università di Stanford e basato su 149 paesi per convertire entro il 2050 tutta la produzione di energia verso le fonti rinnovabili, piano che naturalmente non fa accenno all’energia nucleare. La stessa equiparazione, nella tassonomia dell’UE, dell’energia nucleare a quella prodotto con fonti rinnovabili è considerata dal mondo scientifico quantomeno inutile se non addirittura dannosa.

Insicurezze e responsabilità nell’ intersezione tra ‘cyber and nuclear risk’

Prof. Norberto Patrignani del Politecnico di Torino è intervenuto sui rischi insiti nell’attuale processo di automatizzazione dei sistemi di controllo delle armi nucleari.

Uno dei più grandi pericoli di olocausto nucleare è stato sventato il 29 settembre 1983 dal buon senso e dalla coscienza, tutta umana, del colonnello Petrov; pensare di delegare queste decisioni ad un sistema automatico non può che aumentare la preoccupazione.

Questo anche perché ci sono dei limiti intrinseci nella tecnologia informatica, inoltre la complessità della catena di fornitura dei sistemi apre enormi possibilità di falle nella sicurezza, con possibili intrusioni anche nei sistemi più delicati.

Non si tratta di un rischio teorico perché questi tipo di intrusioni si sono già manifestate, ecco alcuni esempi:

Nel 2008 la rete di difesa USA è stata violata attraverso una pennetta USB inserita da un operatore (intrusion via social engineering).

Nel 2020 l’intrusione è stata causata da una manomissione di uno dei dispositivi di rete (intrusion via supply-chain)

Nel 2021 un cyber attacco ha interrotto la catena di distribuzione del carburante nel nord est degli Stati Uniti.

Per quanto riguarda i limiti intrinseci della tecnologia informatica, risulta impossibile garantire che i sistemi siano esenti da errori (bugs) perché questi emergono un po’ alla volta durante il funzionamento in condizioni in molti casi non previsti dai progettisti.

Il prof. Patrignani termina il suo intervento con una panoramica delle iniziative messe in campo da studiosi e professionisti del settore per ridurre il rischio informatico nel controllo delle armi nucleari e nelle applicazioni militari.

  • Uno studio di Nancy Leveson del MIT (2019) suggerisce di evitare l’utilizzo di software e sistemi complessi per evitare la detonazione accidentale di armi nucleari.
  • Pugwash si è occupata a vario titolo di cyber security riferita al pericolo nucleare
  • Nel 2020 l’IFIP (International Federation for Information Processing) ha adottato il codice etico dell’ACM nel cui preambolo è scritto: “le attività delle persone definite ‘computer professional’ cambiano il mondo. Per agire responsabilmente, esse devono riflettere sugli impatti più ampi del loro lavoro, supportando sempre il bene pubblico”
  • Diversi professionisti si sono rifiutati di sviluppare applicazioni in campo militare (obiezione di coscienza)