Il convegno “Torino città delle armi?” si è svolto sabato 10 ottobre nella sala Poli del Centro Sereno Regis, via Garibaldi 13 Torino, inserito nel contesto del Festival della nonviolenza e della resistenza civile.

Il convegno è stato organizzato dal coordinamento AGiTE per verificare le voci che prevedono la creazione a Torino di un importante polo di sviluppo dell’industria militare centrato su Leonardo con l’apporto tecnico del Politecnico di Torino ed il supporto della città di Torino; sono stati quindi invitati i rappresentanti sindacali, politici e del mondo accademico locale per approfondire la questione ed iniziare un dialogo costruttivo su possibili alternative di sviluppo per la città che escludano il settore militare e la riconversione dell’industria esistente.

Un breve video introduttivo entra immediatamente nel cuore della questione, ovvero nel conflitto tra la richiesta condivisa di disinvestire dal settore militare ed i problemi occupazionali che questo disinvestimento genera.

Dopo l’introduzione di Zaira Zafarana ha preso la parola la senatrice Elisa Pirro che ha elencato brevemente due iniziative parlamentari sul tema: il disegno di legge per cambiare la legislazione in materia di controllo dell’esportazione, dell’importazione e del transito dei materiali di armamento ed una mozione  parlamentare in cui si invita il Governo a valutare la firma del TPAN. La senatrice Pirro ha specificato che i fondi del Recovery Fund sono destinati ai campi di intervento definiti nel piano Next Generation EU che non prevedono l’impiego a scopi militari offensivi.

La tavola rotonda entra poi nel vivo moderata dal prof. Mario Vadacchino (CISP).

L’assessore Marco Alessandro Giusta ha parlato a nome del comune di Torino entrando nello specifico locale, ovvero sul progetto di creare nella zona di corso Marche la cittadella dell’aereo-spazio in collaborazione con Leonardo ed il Politecnico di Torino.

C’è un forte conflitto tra l’occupazione ed il sistema valoriale che vorrebbe un mondo senza conflitti armati; la tendenza attuale va verso il riarmo ed all’aumento della spesa militare che in Italia impiega 1,45% del PIL con la richiesta da parte del presidente Trump di arrivare almeno al 2%. Questo implica chiaramente conseguenze anche a livello locale perché, anche se l’obiettivo prevalente della cittadella è la creazione di un punto di eccellenza tecnologica, non si possono escludere a priori applicazioni militari di quanto sviluppato. L’unica soluzione è un cambiamento di paradigma e modello di sviluppo, anche ascoltando le istanze delle nuove generazioni

Davide Provenzano (FIM) dà una visione generale della presenza di Leonardo a Torino: Leonardo, nelle sue varie denominazioni e società, ha una presenza cinquantenaria a Torino, in due sedi produttive, quella di Caselle e quella di c.so Marche. A Caselle impiega direttamente 1900 persone nell’elettronica per la difesa e nell’aeronautica militare (produzione aereo di trasporto C 27J ed Eurofighter) e civile (produzione dell’aereo Falcon).

In c.so Marche impiega oltre 1000 ingegneri (Alenia Aeronautica) e 750 dipendenti in Tales Alenia, società in cui Leonardo partecipa al 35% (l’azionista di maggioranza ed il controllo è della francese Tales): Tales Alenia produce e studia satelliti, moduli per la stazione spaziale internazionale e lavora al progetto Exomars

L’area di c.so Marche ha subito negli anni un notevole ridimensionamento tanto che nel 2011-2012 c’era un progetto immobiliare sull’area con il cambio destinazione d’uso da industriale a residenziale ed il trasferimento della produzione a Caselle. Il progetto immobiliare fu abortito anche a causa dal fallimento dell’immobiliare che lo portava avanti e si fece strada il progetto di creare nell’area un incubatore di competenze aero-spaziali con il supporto del Politecnico ed i fondi del MISE per la riconversione di aree industriali dismesse secondo il modello Birmingham, fondi attualmente congelati a causa dell’emergenza COVID.

Provenzano accenna ad un altro aspetto critico che in qualche modo spiega la difficoltà del sindacato a portare avanti istanze di riconversione industriale da militare a civile: gli operai e gli ingegneri che lavorano in Leonardo non hanno una percezione particolare che quello a cui lavorano sono potenziali strumenti offensivi, percepiscono molto di più la sensazione di lavorare in un settore ad alta tecnologia che gli consente di crescere professionalmente. Per questa ragione in un momento successivo ha proposto di usare le assemblee sindacali come momento informativo su queste tematiche.

Edi Lazzi (FIOM-CGIL) ribadisce che il sindacato è per sua natura contro la guerra, per la pace e la solidarietà, ma deve prioritariamente difendere i lavoratori e la loro occupazione. Torino è in crisi per l’arretramento dell’industria dell’auto; i numeri sono impietosi, nel 2006-2007 si producevano nell’area cittadina 218.000 autovetture che sono scesi a 21.000 nel 2019 con una perdita di 18.000 posti di lavoro tra gruppo Fiat ed indotto.

Il modello di sviluppo pensato negli anni 2000 e basato sul turismo e gli eventi culturali a traino delle olimpiadi invernali del 2006 si è rilevato totalmente insufficiente a coprire il calo di occupati nell’industria; per questo i sindacati torinesi hanno riunito in un documento unitario le loro riflessioni e proposte per il lavoro e lo sviluppo di Torino.

Il futuro di Torino non può che essere nell’industria metalmeccanica perché solo questo settore è in grado di garantire i livelli occupazionali necessari e sfruttare al meglio le competenze presenti nel territorio; e più precisamente nel settore automotive, per il quale vantiamo 120 anni di esperienze tecniche e tecnologiche e nel settore dell’alta tecnologia con il supporto del Politecnico: ad esempio sfruttando la rivoluzione epocale nel campo automobilistico data dalla tecnologia ibrida, tenendo comunque in considerazione che il gruppo PSA-FCA sarà a controllo francese e che quindi il radicamento del gruppo a Torino non è scontato. Collegato al settore automotive c’è lo sviluppo di nuove batterie, la ricerca sull’idrogeno e sul fotovoltaico, l’installazione e la manutenzione di punti di ricarica elettrica nel territorio.

Una visione industriale credibile ci consente di evitare la riconversione verso il militare che è la preoccupazione principale di questo convegno. Per ottenerla tutte le componenti sociali locali (classe politica, sindacati, università, imprenditori) devono lavorare coordinati, fare sistema; purtroppo, negli ultimi anni, è mancata una visione di futuro nella classe dirigente torinese, visione indispensabile per superare questo momento di difficoltà.

In un breve intervento la senatrice Anna Rossomando raccoglie la sfida di Lazzi e sottolinea l’opportunità di definire un nuovo modello di sviluppo locale utilizzando l’occasione storica dei fondi di europei di Next Generation EU; il programma europeo ha tra i suoi obiettivi la riconversione e la transizione verso un’industria ecologicamente sostenibile. Un altro aspetto, che è diventato esplicito durante la pandemia, è la necessità di riportare in Italia la produzione e la filiera dei prodotti strategici.

A Sergio Di Ruzza (UILM) spetta il compito di dare un contesto globale alla discussione: nel settore militare lavorano in Italia 231 imprese metalmeccaniche impiegando 29.244 dipendenti per 12 miliardi di euro di fatturato[1]. Un fiume di denaro che non conosce crisi ne patti di stabilità e non è stato fermato nemmeno durante il lockdown. Per invertire questa tendenza occorre un cambiamento epocale credendo in un mondo diverso incentrato sulla pace ed operando politicamente a tutti i livelli.

Si è quindi aperto il microfono ai presenti in sala e la conferenza si è conclusa con l’intervento finale di Paolo Candelari che ha sottolineato la necessità di continuare il dialogo iniziato.

 

[1] Dati di marzo 2020