“Perché davvero, se non esistessero le iniquità delle donne, anche a prescindere dalla stregoneria, a quest’ora il mondo rimarrebbe libero da innumerevoli pericoli”. La breve citazione è tratta dal manuale del perfetto inquisitore, scritto dai monaci domenicani Istitoris e Sprenger, il “Malleus Maleficarum”. Il testo per anni, forse purtroppo secoli, è stato uno dei libri più letti del Medio Evo. Letto non solo dai monaci o da chiunque facesse parte di tribunali purgativi, ma anche dalle più brillanti e insospettabili menti dell’epoca.

Perché mai? Perché il fenomeno che tra breve andremo ad analizzare non fu solo un’epurazione su larga scala di esseri innocenti facenti parte di svariate categorie sociali, ma una vera e propria rivolta contro il simbolo del “feminino” così temuto, così avversato, così odiato.

Dunque secondo il manuale, anche a prescindere dalle streghe la donna è un flagello!

Nelle loro arringhe senza giuria i domenicani tornano a Eva, al peccato originale per imbastire un processo alla sessualità femminile. Nel “Malleus Maleficarum” si sostiene che il peccato è cominciato con la donna, come del resto sostiene la Bibbia, quindi è la donna “il nemico occulto” la cui insaziabile concupiscenza carnale è da bloccare, ripulire, rendere innocua. Il testo continua affermando che l’elemento più insaziabile nelle donne è “la bocca della vulva, per cui esse si agitano con i diavoli per soddisfare la loro libidine…”

L’equazione stregoneria-femminile viene elaborata nel 1460 e filosofi e teologi sostengono che ci sia una relazione tra “eccessi sessuali e adorazione del diavolo”. E siccome le donne sono “difettose di tutte le forze sia nell’anima che nel corpo, non c’è da stupirsi se, per ottenere il potere ed emulare l’uomo operano molte e svariate stregherie”. È lampante che gli inquisitori, ma non solo loro, sono schiavi e allo stesso tempo vittime di un’ossessione sessuale che diventerà poi delirio collettivo.

“L’esperienza insegna che per soddisfare queste sporcizie carnali, le streghe operano sortilegi trascinando l’animo verso un amore a perdizione dal quale a nulla vale di distoglierli.” Dunque è inutile tentare di  distogliere l’uomo da tale sortilegio, che altro non è se non l’amore, carnale e non. Ma la Chiesa in questo vede il demone incontrollabile della lussuria, il godimento supremo e irraggiungibile del quale gli inquisitori sono prigionieri inconsapevoli. Dietro questa ideologia, se a tanto vogliamo elevarla, c’è una validissima motivazione: il controllo delle nascite. Obbligando la donna a giacere con l’uomo solo ed esclusivamente per procreare, si ha, o ci si illude di avere, il controllo sulla vita, argomento molto caro al potere patriarcale.

Ma a noi ora interessa vedere da vicino “cos’è” e “chi è” questa creatura tanto pericolosa che viene chiamata “strega”.

Si tratta di una figura letteraria, di età classico-moderna, con caratteristiche ben illustrate e tratteggiate sia dai cattolici che dai protestanti e in particolare dai frati domenicani, che sulle sue sembianze, gesta e potenzialità hanno riempito manuali, saggi e verbali di processi.

Il mito della strega medioevale si riallaccia senza dubbio a Ecate, dea che ha il potere di donare o togliere ai mortali qualsiasi dono desiderato e ad Artemide-Diana, la Signora del gioco, la dea della caccia che trasformava gli uomini in caproni. Entrambe emanazioni funeste delle virtù lunari. Nei primi secoli cristiani sopravviveva ancora il culto di Diana come strega. Nel VI secolo, San Cesario di Arles scacciò dal corpo di una ragazza un demonio che i contadini chiamavano Diana. Nel 1318 Papa Giovanni XXII discusse di certe pratiche magiche ove operavano demoni chiamati Dianae.

Strega, forse da strix/strigis, è una corruzione del termine latino che indicava le civette, l’allocco, il barbagianni e i gufi. Il nome deriva dallo stridio notturno che emettono questi rapaci e la tradizione mescolava il volo notturno della strega con quello dei rapaci. In alcuni dialetti italiani le streghe dei boschi e degli antri venivano tramutate in “strie”.

Le streghe sono presenti in tutte le culture agricole, continuatrici di un paganesimo che adorava e serviva la Grande Madre, rappresentanti innocue del vecchio e pacifico matriarcato, ultimo baluardo di una religione femminile preistorica. Una cultura agreste, dove l’energia della terra unita a quella dell’acqua celebrava l’antica Demetra, madre della terra e protettrice della fecondità.

Cattolici e protestanti però attribuiscono alla strega solo valori negativi. L’odio per la donna si manifesta come una lotta contro il peccato, rappresentato e incarnato nella strega. Eliminandola si colpiscono due bersagli in un sol colpo: la strega è necessaria come dimostrazione del peccato e quindi dell’esistenza del Male e in quanto creatura maligna bisogna estirparla. Le streghe inoltre costituiscono la prova evidente dell’esistenza del Diavolo e quindi della necessità di combatterlo. E per combatterlo vengono usati tutti i mezzi: processi, confessioni, torture e roghi liberatori e catartici.  A volte vittime della persecuzione sono anche uomini, i cosiddetti stregoni, che come le streghe vengono accusati di danneggiare i raccolti e il bestiame con i loro malefici.

Tutto ciò che non è culto cristiano degenera nell’eresia, in quanto serve altre divinità che non possono essere benefiche, poiché solo Dio è buono. Ogni altra forma di religiosità sottende la presenza del diavolo” afferma il “Malleus Maleficarum”. In tale visione misogina la strega è l’opposto della Madonna, che è vergine e madre; essa invece è lussuriosa e sterile, minaccia la capacità riproduttiva che infiacchisce con le sue arti (legamenti, fatture d’amore). E’ perciò nemica dell’intero genere umano e va eliminata.