Dal quinto incontro tra le procure di Roma e del Cairo non sono arrivate particolari novità, se non la conferma che dal lato egiziano, per corroborare una “verità” (quella “verità di comodo” che più volte le autorità italiane hanno dichiarato di non voler accettare) sull’omicidio di Giulio Regeni occorrono due capri espiatori.

Uno c’è già: Mohamed Abdallah, l’ex capo del sindacato degli ambulanti che è ormai il deus ex machina della storia. Colui che ricatta, denuncia e vende Giulio alla polizia egiziana, che registra e riferisce regolarmente le sue mosse. Sta attaccato a Giulio fino a 72 ore dal giorno della sua scomparsa, il 25 gennaio.

L’altro capro espiatorio è più complicato da trovare: qualche funzionario di polizia che, per zelo patriottico e agendo di sua iniziativa senza informare né rispondere ai suoi superiori, abbia fatto il resto. Qualcuno che però, nel momento del suo “sacrificio”, venga convinto a non fare i nomi della catena di comando. Compito non facile.

Questa “verità di comodo” sarà anche un passo avanti perché elimina tutta la spazzatura di quelle precedenti, che tanto hanno alimentato la “letteratura” cospirazionista anche italiana. Ma non è la verità che cerchiamo. Perché, uscito di scena il deus ex machina, resta da capire in quali e quanti luoghi di detenzione gestiti dallo stato egiziano sia stato portato Giulio, da quali e quanti funzionari dello stato egiziano sia stato trattenuto e trasferito e infine e soprattutto da quali e quante mani di funzionari dello stato egiziano sia stato massacrato. Altro che un gesto isolato. Sono stati gesti organizzati. Con ferocia.