Oggi (11 novembre, ndt) sono 300 giorni di detenzione illegale di Milagro Sala a Jujuy, nel nord dell’Argentina. Milagro Sala è la leader dell’organizzazione Tupac Amaru, formata da diverse cooperative di lavoro, che costruisce abitazioni e quartieri interi in diverse località argentine. La sua incarcerazione è avvenuta dopo l’assunzione della carica di governatore della provincia di Jujuy da parte di Gerardo Morales. Questi si è assicurato di avere abbastanza denunce da presentare contro Milagro Sala perché possa continuare a stare in prigione indefinitamente.

Questa settimana il Parlasur, il Parlamento del Mercosur, si è sommato alla richiesta dell’ONU per la libertà della deputata. Parliamo con Elizabeth Gómez Alcorta, avvocato di Milagro Sala, perché ci racconti di questa richiesta delle Nazioni Unite.

Si, questa risoluzione viene dalla commissione dei Diritti Umani, dal gruppo di lavoro sulle detenzioni arbitrarie, che si occupa delle denunce e chiede agli stati che forniscano documentazione. Nel caso di Milagro, la denuncia è stata fatta da tre organizzazioni della società civile: il CELS, Amnesty e Andhes hanno presentato il caso di Milagro davanti al gruppo di lavoro, riferendo vari punti in base ai quali ritenevano arbitraria la detenzione. Dal 2 febbraio ai primi giorni di agosto, lo Stato argentino, secondo il procedimento, sposta la petizione degli organismi, la possibilità di produrre documentazione, prove, comunicati da parte dello stato. E’ stato fatto prima a febbraio, poi ad aprile, all’inizio di agosto; i firmatari della petizione sono tornati a dare nuovi contributi. Questo gruppo di lavoro è composto da cinque esperti provenienti da diverse parti del mondo, è gente assolutamente indipendente, senza vincoli né con il governo argentino, né con i firmatari della richiesta. Si sono riuniti a deliberare alla fine di agosto e solo alla fine di ottobre, il 27 ottobre per la precisione, hanno notificato la decisione, la risoluzione presa per il caso. Ci sono diverse parti, la prima è che recepiscono che effettivamente la detenzione di Milagro è arbitraria, perché viola sia il patto internazionale dei diritti civili e politici, sia la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo. Di conseguenza richiedono l’immediata liberazione di Milagro e, allo stesso tempo – ho con me la risoluzione, sono due settimane che non vado da nessuna parte senza la risoluzione – inoltre inizia un procedimento su come lo stato debba rispondere. Dice anche che bisogna dare una ricompensa per questa detenzione arbitraria, che oggi compie i 300 giorni. La risoluzione è inappellabile, è vincolante e chi è tenuto ad adempierla è il governo nazionale. Milagro è detenuta per ordine di un tribunale provinciale. In Argentina abbiamo due tipi di giustizia, giudici provinciali e giudici federali. In base alla risoluzione è il governo che deve rispettarla perché è l’unico a poter riparare.

E’ molto inquietante il fatto che il potere esecutivo di Jujuy possa dire che non libererà nessuno benché lo dica l’ONU, come se fosse davvero il potere esecutivo ad avere la potestà.

Con testuali parole, il contabile Morales, che è il governatore della provincia, ha detto precisamente “io non libererò quella donna”. Ciò evidenzia quello che, tanto nella dichiarazione delle Nazioni Unite, come degli organismi sui diritti umani in Argentina e della difesa particolare, stiamo sostenendo, che Milagro è a disposizione sua, la decisione è del governatore.

E’ una confessione.

Lo riconosce, chiaro, è una confessione brutale, che mostra la grossolanità di ciò che sta facendo: la grossolanità, l’arbitrarietà e la misoginia, perché inoltre dire “quella donna” fa parte di ciò che sosteniamo, che Milagro, tra le altre cose, è prigioniera perché è donna.

Hanno liberato due compagne della Tupac Amaru che erano detenute dal mese di aprile, Maria Molina e Elba Galarza. Si sa qual è la situazione processuale del resto dei compagni della Tupac? Sono anch’essi parte di questa situazione arbitraria?

Fino a ieri, oltre a Milagro c’erano undici prigionieri politici a Jujuy, tutti legati alle stesse cause giudiziarie. Tutti con detenzioni arbitrarie, inclusi alcuni casi, come quello di Maria Molina, che sono la quintessenza, ancora più arbitrari di quello di Milagro. Nelle cause l’imputazione è sempre stata fatta sulla base di qualche testimonianza, o dichiarazione giurata, come nel caso della deputata Mabel Balconte, che era accusata in due cause penali e nella sua dichiarazione giurata – che qui in Argentina si ha il diritto di mentire, non sono obbligati a dichiarare contro se stessi e hanno il diritto di dire quello che vogliono – con l’obiettivo di salvare se stessa ha accusato dei compagni, e solo con questo possono arrestarti.

Il caso di Raúl Noro, che è il marito di Milagro e che è anch’esso detenuto, agli arresti domiciliari perché è una persona anziana e con problemi cardiaci: è detenuto esclusivamente in base alle dichiarazioni di un’altra co-imputata, e gli standard utilizzati in termini di prova per le accuse sono veramente arbitrari. Le norme usate per ordinare gli arresti e valutare il rischio che una persona fugga o ostacoli le indagini, sono nulle. Sono stati assolutamente dogmatici, non c’è alcun tipo di analisi che dimostri come Milagro potrebbe fuggire. Ogni volta che è stata implicata in una causa, Milagro si è sempre presentata. Nella prima causa – l’hanno arrestata per un sit-in, una protesta – è stata chiamata per essere interrogata in merito a quella causa e si è presentata con un avvocato. Si è sempre presentata, non ha mai mancato di presentarsi a una citazione in giudizio. Una persona che è parlamentare del Parlasur, una dirigente sociale, una politica della sua portata, è ridicolo pensare che possa fuggire. Così è per gli altri accusati che sono detenuti arbitrariamente.

So che oggi incontrerai Amnesty International, immagino che stabilirete qualche strategia per continuare a esigere la libertà di Milagro Sala. Come continua il lavoro dei Comitati per la Libertà di Milagro Sala?

Da una parte, il lavoro tecnico e giudiziario è portato avanti da un’equipe di avvocati, del quale faccio parte, quattro avvocati a Jujuy e io a Buenos Aires. In questo momento ci stiamo muovendo con i firmatari della richiesta di risoluzione all’ONU, con il CELS, con Amnesty International, e porteremo avanti una richiesta, a fronte del netto rifiuto del governo nazionale di rispettare la decisione del gruppo di lavoro. Dall’altra parte c’è tutto un lavoro politico territoriale, molto forte, ci sono 60 Comitati per la Libertà di Milagro Sala in tutto il paese, e 7 all’estero: nelle principali città e province, in alcune province ce n’è anche più di uno, a Buenos Aires ce ne sono vari, c’è il Comitato Nazionale.

Sono assolutamente paradigmatici, perché coinvolgono organizzazioni sociali che hanno le origini più diverse, l’unico denominatore comune è la libertà di Milagro Sala. Era difficile pensare che potessero confluire su altri temi politici, perché nei diversi raggruppamenti ci sono punti di vista assolutamente differenti. Ma questo è meraviglioso, perché mostra che corde si stanno toccando nella cittadinanza, nei militanti in ambito popolare, è molto preoccupante in Argentina l’idea di tornare ad avere prigionieri politici, con la nostra tragica storia della decade degli anni ’70, con più di 30 mila compagni arrestati e scomparsi. Oltre a ciò, quello che sta accadendo a Jujuy è, come hanno detto in molti, una prova generale in termini di distruzione politica, in termini di repressione. Ciò che abbiamo appreso è che quando si indeboliscono le garanzie, quando lo stato di diritto inizia a vacillare, lì comincia ad esserci una vera spaccatura e quello che arriva dopo è più repressione, più persecuzione, e quello che è un’eccezione diventa una regola. Noi già conosciamo tutto questo, perciò tutti gli organismi che si occupano di diritti umani in Argentina hanno un’attitudine di sostegno incredibile. Questo va oltre la simpatia o l’antipatia che si possa avere per Milagro Sala, la simpatia o l’antipatia che si possa avere per la Tupac Amaru, questo è un problema degli argentini.

Prima vengono per lei e poi verranno per tutti, ce l’abbiamo chiaro, mi pare. Quali saranno i prossimi passi da seguire, cosa speriamo, cosa possiamo immaginare nelle prossime settimane, come possono appoggiare e aiutare da fuori dell’Argentina?

Noi abbiamo deciso di prenderci queste due settimane per vedere se si aprono canali di dialogo con il governo, ed è certo che non ci siano stati. Sappiamo che la posizione, all’interno del governo, è divisa, che c’è una parte che considera che questo stia avendo un costo politico molto alto per il governo di Macri, ce n’è un’altra che capisce che l’inadempienza non li colpisce. Noi stiamo valutando le azioni da portare avanti nelle prossime settimane. Il caso è ancora in attesa di risoluzione internazionale, inoltre, presso la Commissione Interamericana dei Diritti Umani (CIDH), la sua risoluzione è pendente. Noi stiamo informando la CIDH della risoluzione del gruppo di lavoro al fine di vedere se nei prossimi mesi si possa definire la risoluzione, questo darebbe un sostegno importante. Dall’altra parte c’è una campagna molto, molto, molto forte da parte di tutti i settori, con un forte sostegno di una parte della chiesa, con i sacerdoti dalla parte dei poveri.

Vogliamo pensare a un Natale senza prigionieri politici in Argentina, e questa è la campagna che ci resta da qui al prossimo mese.

 

Traduzione dallo spagnolo di Matilde Mirabella