La Campagna contro l’acquisto degli F-35 è riuscita in questi ultimi anni ad aumentare la consapevolezza nell’opinione pubblica italiana sulla problematicità di tale investimento. Eppure, da quel lontano 1996 in cui il nostro paese ha deciso di imbarcarsi in quest’impresa, il programma è ancora in piedi, complice il “muro di gomma” di tutti i governi che si sono succeduti, da sempre sordi nei confronti delle proteste dei parlamentari pacifisti e della società civile, che pure non ha mai smesso di credere nella sua battaglia. Lo dimostra la recente due-giorni di Trento, con gli “Stati generali della difesa civile non armata e nonviolenta”, ma non solo: è da poco uscito per le Edizioni dell’Asino un piccolo libro intitolato “F-35, una follia lunga vent’anni”, che fa il punto proprio sul programma d’acquisto dei cacciabombardieri, dalla sua nascita fino ad oggi. “Sarebbe sbagliato considerare chiusa la vicenda. L’Italia è ancora all’inizio di questa avventura – scrivono gli autori Giulio Marcon, deputato e animatore della rete Sbilanciamoci!, e Francesco Vignarca, coordinatore della Rete Disarmo – Di aerei ne abbiamo comprati ancora poche unità. Ne rimangono più di 80 da produrre e acquistare. E 13-14 miliardi di euro da spendere”.

Il racconto offerto da Marcon e Vignarca è arricchito dalle vignette – ironiche, amare e sempre attuali – che il disegnatore Mauro Biani ha dedicato agli F-35 nel corso degli anni e che sono la vera anima di questo opuscolo. “Il tentativo è di mantenere vivo questo tema – ha commentato Biani durante la presentazione del libro a Roma, al Salone dell’Editoria Sociale – Perché poi la gente si stanca, i silenzi trasformano l’argomento in una sorta leggenda, o perfino complotto, tanto che tornarci diventa sempre più difficile”. Così ci si rimette in gioco, nel nome di una Campagna che non vuole cedere alla rassegnazione, ai silenzi istituzionali, alla mancanza di trasparenza e talvolta anche di logica: come ricordano gli autori, si tratta infatti di un investimento faraonico – in tempi di crisi – portato avanti in palese contraddizione con l’articolo 11 della nostra Costituzione – ovvero “L’Italia ripudia la guerra”.

Lo dimostrano le caratteristiche stesse di questi aerei fatti per attaccare e non per difendere, per distruggere e non per proteggere: i caccia F-35 sono infatti degli aerei da combattimento del tipo Stealth, cioè a bassa rilevabilità da parte dei sistemi radar; monomotore e monoposto, possono volare molto vicini al suolo, sono ottimizzati per il ruolo terra-aria (quindi per l’attacco) e hanno due stive interne per le bombe, che possono essere anche di tipo nucleare. “Se a questo aggiungiamo il recente voto contrario dell’Italia alla risoluzione Onu che chiedeva di avviare i negoziati per la messa al bando delle armi nucleari, tutto torna” spiega Marcon, anche lui presente alla presentazione romana. E poi ci sono i costi: ogni cacciabombardiere dovrebbe costare intorno ai 130 milioni di dollari ma, in questo tipo di progetti, tempi e cifre tendono in genere a dilatarsi e lievitare, anche a causa dei numerosi problemi di progettazione e realizzazione segnalati dagli addetti ai lavori.

Gli autori del libro ricordano poi come il progetto multi-nazionale, guidato dagli Usa e dal colosso degli armamenti Lockheed Martin, veda quali partner di primo livello la Gran Bretagna, di secondo livello Italia e Olanda, e poi Australia, Canada, Turchia, Danimarca e Norvegia. Alcuni paesi, però, avrebbero congelato o ridotto il loro impegno rispetto all’inizio. “Dicevano che l’uscita da questo progetto avrebbe comportato per il nostro paese il pagamento di pesanti penali, superiori addirittura alle somme investite. Ma è falso” spiegano Marcon e Vignarca. E’ infatti possibile ritirarsi dall’accordo con un preavviso scritto di 90 giorni da notificare agli altri compartecipanti. “L’unica condizione – scrivono – è quella di portare a termine il contributo per le fasi sottoscritte. Quindi allo stato attuale l’Italia avrebbe solo perso circa 2,5 miliardi”. Anche sul ritorno economico e dei posti di lavoro nello stabilimento di assemblaggio degli F-35 a Cameri ci sarebbero state bugie e mistificazioni: “All’inizio si parlava di un beneficio di 10 mila nuovi posti di lavoro (tra Cameri e indotto) ma i posti effettivamente creati non superano i 7-800”. Molti operai poi vengono dallo stabilimento di Caselle (Alenia) che produceva gli Eurofighter, quindi in sostanza non sarebbero posti nuovi ma spostamenti.

Eppure, dal punto di vista politico, nessun governo ha mai fatto un passo indietro rispetto al programma: dal governo di centro-sinistra di Prodi, che ha dato il primo assenso al progetto, a quello di centro-destra di Berlusconi, fino ai governi cosiddetti “tecnici” e infine Renzi: “L’unico che ha un po’ ridimensionato l’impegno è stato Monti, con l’ammiraglio Di Paola ministro della Difesa, che ha ridotto il numero di aerei da acquistare da 131 a 90” spiega Marcon. Neppure le mozioni parlamentari, come quella che chiedeva il dimezzamento della spesa, sono mai state rispettate fino in fondo. “I corposi interessi economici che stanno dietro l’industria militare prendono il sopravvento e condizionano le scelte del Parlamento e del Governo” scrivono ancora gli autori, che non mancano di ricordare il grande impegno della società civile nell’opporsi a questo acquisto. Non a caso, il libro è dedicato a Massimo Paolicelli, pacifista e animatore della campagna contro gli F-35, scomparso prematuramente nel 2013.

Dalle prime manifestazioni nel 2006, alla creazione nel 2012 della campagna “Taglia le ali alle armi”; dalla “Controfinanziaria” di Sbilanciamoci! (che ogni anno fa i conti di quello che si potrebbe fare di utile per il paese con i soldi spesi per gli F-35) alla Campagna “Un’altra difesa è possibile”: la mobilitazione, nonostante a volte passi sotto silenzio, non si è mai fermata. “L’acquisto dei cacciabombardieri rientra in un elenco molto lungo di scelte sbagliate che vanno nel senso del riarmo, e non sono certo la priorità per il paese – commenta Marcon – Si può ancora tornare indietro”.

 

Anna Toro

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