di Martino Danielli

Negli ultimi mesi è stato sempre più evidente con il progredire delle primarie e della campagna elettorale negli Stati Uniti D’America, che la differenza fra i due più importanti candidati alla presidenza era notevole sia nelle parole che nei fatti, ma non nel modo che i mass media occidentali dipingevano.

Il repubblicano Donald Trump, miliardario di fama internazionale, si aggiudica con grande vantaggio il primo posto nel partito durante le primarie. La sua politica aggressiva a livello mediatico ma al contempo estremamente comprensibile nei contenuti (disoccupazione, medie imprese, politica internazionale, investimenti…) da parte del ceto medio basso e tendenzialmente bianco, è approvata dalla stragrande maggioranza degli elettori del suo partito. Non è così per i democratici che sono profondamente spaccati tra la candidata Hillary Clinton e il socialista Bernie Sanders. Sarà la Clinton che per pochi voti estremamente dubbi (le contestazioni per brogli sono durate settimane) e grazie all’appoggio delle corporazioni e delle multinazionali vince le primarie andando perciò a sfidare il rude rivale Trump.

Gran parte della politica europea, ed in particolare quella proveniente dai movimenti di sinistra e dei partiti considerati “progressisti”, dipinge Trump come un mostro, un pericoloso megalomane privo di scrupoli ed in grado di aprire importanti crisi mondiali, un interlocutore dalle pericolose aspirazioni. I dispregiativi all’attempato imprenditore non tardano a fioccare. Di sicuro Donald Trump non è una persona accomodante e ha una visione degli afroamericani e delle altre minoranze che spesso rasenta il razzismo. Difende senza indugio la polizia degli USA, responsabile di terribili violenze e omicidi su civili inermi, difende con aggressività e tracotanza i “valori” del suo paese, valori tristemente noti a tutto il mondo per essere uno dei più grandi problemi dell’epoca contemporanea. Si tratta di un antiabortista, di un sostenitore della crescita nucleare e della inconsistenza delle teorie sul riscaldamento climatico. Gli attacchi piovono fitti dall’interno come dall’esterno, ma lui, intrepido, sfida la tempesta forte dei milioni di sostenitori (e dei sacchi di dollari della sua società). Il suo stesso partito cerca in tutti i modi di scaricarlo e forte di alcune esternazioni del passato assolutamente inqualificabili prova a rovesciare la situazione. Ma come mai tanto accanimento anche da parte di chi ha sempre portato avanti gli stessi valori e ideali di Trump ? Si tratta davvero di “un mostro” pericoloso o c’è dell’altro? E chi sono i veri mostri, i grandi manovratori oscuri? Chi dirige il gioco elettorale americano?

Donald Trump è un miliardario, il suo impero è stato valutato in circa 9 miliardi di dollari. Una ricchezza costruita sul boom della crescita immobiliare e sulla realizzazione di grattacieli sfavillanti, alberghi pacchiani molto amati dal pubblico americano e innumerevoli palazzi e strutture. La sua famiglia già era radicata nel settore edile ed immobiliare. Si tratta di un uomo scaltro, amante del wrestling, il grottesco e violento sport tanto diffuso tra il ceto medio basso del paese, un uomo rude e aggressivo, ma che spesso si accompagna con le sue figlie e sua moglie Ivanka; è nato nel 1946 e dall’alto dei suoi 70 anni non guarda in faccia a nessuno. Ha osato perfino contestare le teorie ufficiali, tanto care all’industria farmaceutica, riguardo ai vaccini e alla loro pericolosità. Si dichiara apertamente in guerra contro il fondamentalismo musulmano e piuttosto rigido per non dire apertamente in conflitto con il mondo musulmano in generale. La sua sfidante è Hillary Clinton, una donna ambigua e generalmente considerata dal popolo americano una bugiarda. Ha una lunga carriera alle spalle, già ombra di suo marito o forse manovratrice dell’ex presidente USA Bill Clinton; lo protegge apertamente quando emergono le sue pericolose ossessioni sessuali, giungendo ad insabbiare diversi casi di molestie. Ma non è tanto la sua vita privata ad essere interessante, quanto i suoi finanziatori e i legami politici ed economici. La sua carriera politica ed il suo potere crescono enormemente sotto il mandato di Obama, nel quale viene nominata segretario di stato. A partire da questo momento la sua politica aggressiva e guerrafondaia è messa allo scoperto. È lei che promuove l’attacco alla Libia che porterà alla distruzione del paese, alla fuga di milioni di persone e all’instabilità della regione, sempre lei promuove la guerra in Siria finanziando vari e pericolosi gruppi armati; ancora lei a muovere le pedine dell’accerchiamento alla Russia e a far precipitare la situazione in Ucraina (altra guerra, altri migliaia di morti) alle porte dell’Europa. Ma in verità non è lei, ma sono coloro che la manovrano: i principali finanziatori della sua campagna elettorale. È George Soros il suo primo finanziatore e poi c’è Goldman Sachs. Robert Kagan (interventista guerrafondaio e importante sostenitore del conflitto in Iraq) la sostiene a spada tratta definendo Trump un mostro da Frankestein e Obama deludente perché troppo poco interventista. E poi ci sono le importantissime donazioni di Quatar, Arabia Saudita, Kuwait, Algeria, Emirati Arabi Uniti, Oman alla fondazione Clinton. Tutte nazioni che hanno beneficiato durante il suo mandato di Segretario di Stato di ingenti quantità di armi (300 miliardi di dollari di armamenti trasferiti), pur essendo paesi con condizioni dei diritti umani critiche e repressione militare violentissima (oltre al fatto che sono i principali finanziatori e organizzatori dell’ISIS).

Gli interessi in gioco sono grandissimi e vediamo perché Donald Trump risulta un “problema” ed è profondamente destabilizzante per il sistema americano e per la impazzita rete affaristica multinazionale.

1)Donald Trump dichiara che è necessario recuperare i rapporti economici e politici con la Russia, una grande nazione molto importante per l’economia degli USA e per la stabilità del mondo. Questo manda a monte un progetto progressivo di destabilizzazione ed attacco della Russia e dei suoi alleati, progetto che si è mostrato palese con il colpo di stato in Ucraina e con le sempre più imponenti esercitazioni militari sui confini del più grande paese del Mondo, progetto che si è concretizzato (grazie allo zampino dell’Europa) con le sanzioni economiche.

2) Donald Trump dichiara che il Medio Oriente e le sue guerre non sono di interesse americano e ritiene che sia impellente e necessario un ritiro delle truppe ed un disinvestimento degli sforzi strategici nell’area. Questo manda a monte uno dei progetti più importanti dell’attuale regime. Si tratta della progressiva destabilizzazione dell’area cui seguirebbe l’occupazione militare. La distruzione di Siria, Libia, Libano, Yemen e Iran è un obiettivo USA che, come un’ossessione, perseguono strateghi, militari, economisti, pianificatori dell’establishment USA da in presidente all’altro. “Abbiamo scatenato la furia in tutto il Medio Oriente ed è stato un terribile errore (dice Trump, riferendosi ai repubblicani). Poi è arrivato Obama che ha fatto una grande confusione e poi c’è stata Hillary con la Libia – che tristezza……l’Isis sta rendendo onore al presidente Obama, lui è il fondatore dell’Isis!…” “le nostre azioni in Libia, Siria e Iraq hanno aiutato l’Isis”. Qui è interessante citare le dichiarazioni dell’ex vice direttore della Cia, Michael Morell, aperto sostenitore di Hillary Clinton e che ha reso pubbliche le sue ricette per la guerra in Siria: “gli iraniani ce l’hanno fatta pagare.” (riferendosi alla resistenza in Irak) “ Dobbiamo fare in modo che in Siria la paghino gli iraniani e dobbiamo farla pagare ai russi.” Ha inoltre proposto di spaventare il presidente siriano in tal modo: “Bisogna uccidere gli uomini della sua scorta e far saltare in aria il suo ufficio nel cuore della notte”.

3)Donald Trump punta al ceto medio e dichiara senza mezzi termini che con lui finirà lo strapotere delle grandi imprese che schiacciano la media e piccola impresa, propone e fomenta un uso interno delle risorse e una tassazione maggiore sulle merci importate. Uno smacco verso la grande industria multinazionale che sugli interscambi transnazionali ha basato il suo lucro. Basti pensare all’industria tessile che ha delocalizzato la produzione oltre frontiera, nel vicino Messico, sfruttando oltremisura i lavoratori. Il candidato alla presidenza ha promesso di rivedere gli accordi commerciali che tanto sforzo sono costati alle precedenti (ultimi 20 anni) amministrazioni. Si parla del NAFTA che coinvolge il Messico e del TPP che coinvolge gli USA e decine di stati dell’area del Pacifico. Trump vuole un sistema che avvantaggi l’economia interna e smorzi le importazioni (si tratta di un forte protezionista), ma questo non certo va a genio alle ditte multinazionali. È arrivato a dire che l’OMC (organizzazione mondiale del commercio) è un disastro e che se non accetterà la sua volontà di tassare pesantemente le importazioni da Cina e Messico, sarà pronto a far uscire gli USA dall’organizzazione.

In conclusione Donald Trump rappresenta oggi una faccia degli USA, una faccia aspra, rude, ignorante e razzista, intollerante e populista, una faccia che però mette al primo posto gli interessi dei ceti medio bassi e dei lavoratori, che crede vada controllato e represso lo strapotere e l’influenza delle multinazionali e della grande impresa nell’economia americana, una faccia che non vuole a tutti i costi la guerra ma solo un confronto alla pari con le altre nazioni, pur credendo che il proprio modello culturale e politico sia il migliore; una faccia che è disposta a dire (sacrilegio estremo!) “usciamo dalla NATO”. E il grande attacco mediatico e politico non è certo dovuto ai difetti (e sono molti) del politico miliardario, ma in verità ai suoi rari ma dirompenti pregi, ovvero autonomia decisionale, influenza nulla da parte delle corporazioni, coraggio politico nell’affrontare le questioni internazionali e la volontà ferrea di prestare servizio nei confronti di una parte del popolo e non di una elites.

 

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