Uno dei punti della riforma costituzionale che potrebbero essere giudicati positivamente è l’introduzione del referendum propositivo (oltre a quello abrogativo già esistente). Si tratta di una modifica “al fine di favorire la partecipazione dei cittadini alla determinazione delle politiche pubbliche” (così è scritto nel testo di revisione).

La Costituzione vigente non a caso afferma che l’Italia è “fondata sul lavoro” (art. 1), inteso come “un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società” (art. 4). Di conseguenza questo nuovo istituto di partecipazione popolare, che verrebbe introdotto dalla riforma, può essere considerato utile e positivo, perché va nella direzione tracciata dai costituenti, cioè quella di una Repubblica democratica che ha tra i propri scopi “l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese” (art. 3).

Il problema è che in realtà il referendum propositivo si riduce ad un semplice annuncio, senza alcuna efficacia, perché il testo della riforma afferma che una “legge costituzionale stabilisce condizioni ed effetti di referendum popolari propositivi e d’indirizzo, nonché di altre forme di consultazione”. In altre parole, anche se venisse approvata la riforma costituzionale, non si potrebbe realizzare alcun referendum o altra forma di consultazione dei cittadini.

Affinché questo sia possibile, è necessario che il Parlamento approvi un’altra legge costituzionale, seguendo lo stesso iter legislativo della riforma, con eventuale svolgimento del referendum confermativo se non fosse approvata da almeno i 2/3 dei parlamentari. Non è tutto: qualora venisse approvata questa nuova legge costituzionale (e ci vorranno mesi o forse anni), il testo della riforma prevede già che “con legge approvata da entrambe le Camere sono disposte le modalità di attuazione”. In altre parole, per dare concretezza ai referendum propositivi e consultivi manca una legge costituzionale e una legge ordinaria bicamerale.

Considerando che il testo della riforma costituzionale è molto dettagliato e che si conclude con varie pagine dedicate alle “disposizioni consequenziali e di coordinamento, transitorie e finali”, in cui si entra nei minimi dettagli delle normative, il progetto di riforma avrebbe potuto direttamente definire le condizioni per chiedere il referendum propositivo, rinviando ad una semplice legge ordinaria le modalità attuative (esattamente come accade per il referendum abrogativo).

D’altra parte, se per introdurre il referendum propositivo si rinvia ad un’altra legge costituzionale, sarebbe stato più coerente e corretto stralciare questa materia dalla riforma, considerata la totale inefficacia dell’annuncio.

Queste considerazioni – purtroppo – portano necessariamente ad una conclusione negativa: il referendum propositivo si presenta in modo evidente come una pubblicità ingannevole. Si evoca la partecipazione diretta dei cittadini, ma si rinvia il tutto alle future scelte del Parlamento, inserendo arbitrariamente e immotivatamente l’ostacolo di una ulteriore modifica costituzionale, di cui è impossibile prevedere tempi ed esiti.

Chi si propone di fare le riforme, deve essere in grado di poterle realizzare concretamente. Invece, far credere che si stanno realizzando, mentre in realtà viene evocato soltanto il fantasma delle riforme, è un modo strumentale di fare politica.

La Costituzione e la partecipazione dei cittadini sono una questione troppo seria per lasciare che sia trasformata in annunci di propaganda.