Paralimpiadi di Rio 2016. Ho visto un atleta con una sola gamba saltare in alto oltre 1 metro e 70 cm. Ho visto un nuotatore con un solo braccio arrivare secondo in una gara in cui gli altri concorrenti avevano due braccia. Ho visto quattro atleti ipovedenti correre i 1.500 metri con tempi inferiori al vincitore delle olimpiadi “normali” sulla stessa distanza. Ho anche sentito una sprinter che vuole vincere la medaglia d’oro e poi ricorrere all’eutanasia perché non riesce più a sopportare i dolori cronici…
La diversità è un’ottima maestra, che ci fa presente i nostri inconfessati pregiudizi, i nostri limitati orizzonti, la nostra scarsa fantasia, la nostra pigrizia mentale. Come li migliori insegnanti riesce sempre a sorprenderci, a provocarci, ad incuriosirci, a farci riflettere, ad educarci ad uno sguardo meno scontato, superficiale, banale. La profondità è sorella della curiosità, di chi non si accontenta degli stereotipi, ma che vuole scoprire che cosa c’è oltre le colonne d’Ercole dell’umano standard…
C’è una molteplicità di combinazioni anche in quell’animale pensante che si è evoluto sul terzo pianeta del nostro sistema solare. L’handicap è anzitutto nella testa di chi non sa riconoscere la diversità, che non può essere classificata con parole stupide come minorati o invalidi. Le persone con disabilità esistono e nel corso della vita possiamo esserlo, anzi lo siamo, tutti. Solo una mentalità handicappata può pensare che ciò sia un errore della natura.
Le paralimpiadi di Rio ci mostrano tutta la pienezza dell’umanità, magnifica e talvolta tragica. E quelli che spesso consideriamo ultimi, stavolta ci hanno battuto sul tempo. Umilmente cerchiamo almeno di imparare la lezione.