Si è conclusa sabato 24 settembre la Conferenza ASAI – Associazione per gli Studi Africani in Italia – che ha avuto luogo a Catania presso il Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali. 

L’evento, iniziato il 22 settembre, ha radunato esponenti della ricerca di vari settori disciplinari, storici, antropologi, linguisti, provenienti da molteplici paesi e con in comune la passione per gli studi che riguardano l’Africa. 

La IV edizione, intitolata Africa in fermento: conflitti, modernità, religioni, si è aperta con i saluti del presidente dell’ASAI, Federico Cresti, e del direttore del Dipartimento ospitante, Giuseppe Barone, e si è conclusa con la relazione sull’incresciosa situazione, registrata dagli africanisti italiani e non, circa la chiusura dell’ISIAO – IStituto Italiano per l’Africa e l’Oriente – una battaglia che l’associazione, con il suo presidente in prima fila, porta avanti da più di due anni. 

L’intero programma è disponibile sul sito dell’associazione, al link: http://www.asaiafrica.org/conferenza-asai-2016-2/Sevidenziano i keynotes: Allison Drew, University of Cape Town e University of YorkAbdarahmane NgaïdéUniversité Cheikh Anta Diop de Dakar e Dena Freeman, London School of Economics and Political Science.

Preme in particolare portare l’attenzione sulla tavola rotonda che ha avuto luogo giovedì 22, dal titolo: Libertà di ricerca a rischio: riflessioni a seguito dell’omicidio di Giulio Regeni  alla quale sono intervenuti Maria Cristina Ercolessi, Cristiana Fiamingo, Luca Jourdan, Francesco Correale, e Nicola Melis. Introdotti da Federico Crestihanno risposto al seguente abstract.

 

«Uno degli effetti positivi della globalizzazione consiste nella crescente internazionalizzazione delle università e della ricerca, ma è innegabile un aumento dei fattori di pericolo e della loro trasversalità ed incontrollabilità in talune regioni del mondo e dell’Africa, in particolare. Gli studi d’area orientati a sondare le tendenze sociopolitiche di democrazie fragili ed interessi economici dalle probabili implicazioni criminogene sembrano essere particolarmente a rischio. Università straniere contemplano un ruolo attivo dei “comitati etici” per valutare i fattori di rischio e i parametri etici delle ricerche svolte dai loro membri: simili meccanismi, per quanto presenti nel nostro contesto, operano solo se chiamati direttamente in causa, e probabilmente saremmo legittimamente intimoriti da una loro ingerenza preventiva, paventando una limitazione alla libertà di ricerca. D’altra parte, l’uccisione di Regeni ha messo in moto – da parte di alcuni organi di stampa – una criminalizzazione dei suoi supervisor e delle metodologie normalmente associate alla ricerca sul terreno, con una implicita delegittimazione della ricerca su temi socialmente e politicamente “sensibili”. La tavola rotonda intende riflettere su questi temi, riaffermare tanto la libertà di ricerca quanto la necessità di proteggere sia le fonti e i soggetti studiati che i ricercatori».

 

Gli interventi dei relatori e dell’assemblea hanno messo in luce vari aspetti relativi alla sicurezza dei ricercatori più o meno esperti nelle loro ricerche sul campo e al metodo utilizzato in alcuni Paesi per l’autorizzazione alla missione; alla relazione tra i dottorandi e i loro tutor durante il soggiorno di studi; alla rilevanza riconosciuta – o meno – alla ricerca sul terreno ai fini valutativi nella selezione ai concorsi; alla cura nella tutela delle fonti; alla libertà di ricerca sempre più soggetta ai dettami del mercato. Dal confronto su questi temi è scaturita la necessità di aprire un dialogo costante sul senso e le implicazioni della ricerca oggi. Diventa di capitale importanza, in questo momento storico, interrogarsi sul senso della ricerca stessa, troppe volte relegata ad uso e consumo del mondo accademico mentre si alzano le voci di chi vorrebbe uscisse dalla sola realtà degli atenei per contrastare e fornire una vera alternativa alle urla dei giornalisti, spesso impreparati e faziosi nell’intento di produrre notizie.

Federica Colomo