Ci sono argomenti che non dovrebbero prestarsi alla propaganda. Uno di questi è sicuramente il debito pubblico, dato che si tratta di numeri e non di opinioni.
All’inizio di aprile del 2015, il ministro Pier Carlo Padoan in una conferenza stampa di presentazione del Documento di economia e finanza (Def) aveva previsto che nel 2016 – rispetto al Prodotto interno lordo (Pil) – il deficit sarebbe sceso all’1,8% e il debito pubblico al 130,9%.
I dati ad oggi disponibili sembrano smentire le previsioni del ministro. Anzitutto, il debito sia nel 2015 che nel primo semestre del 2016 ha continuato ad aumentare oltre il doppio della crescita del Pil, il che rende matematicamente impossibile che il rapporto diminuisca. Affinché cali, bisognerebbe che nel 2016 il deficit fosse quasi pari all’aumento del Pil. Ma tutte le recenti stime indicano un aumento del Pil inferiore all’1%. Non solo: il Governo sta chiedendo all’Europa di attivare la flessibilità sul deficit, consentendo di arrivare al 2,4% (anziché all’1,8%). Stando così i numeri, è evidente che nel 2016 (salvo miracoli, che in economia non sono contemplati) in Italia non ci sarà l’auspicata e promessa diminuzione del debito pubblico in percentuale rispetto al Pil.
In termini assoluti ovviamente il debito ha continuato ad aumentare e a toccare nuovi record: l’ultimo bollettino della Banca d’Italia registra al 30 giugno 2016 un debito di 2.248.823 milioni di euro. Alla stessa data, un anno fa, era arrivato a 2.204.954: pertanto in 12 mesi è aumentato di quasi 44 miliardi di euro. Di fatto, il debito pubblico resta il principale problema economico dell’Italia. Lo stesso ministro Padoan aveva parlato di “incubo di questa montagna di debito che può attivare terribili regole di taglio della ghigliottina”.
Di conseguenza sembrano ancora più inattendibili le previsione nel medio periodo: nella conferenza stampa già citata, Padoan aveva anche pronosticato l’azzeramento del deficit nel 2018.
In questo scenario risulta alquanto propagandistica una sezione del sito internet del Ministero dell’economia e delle finanze (Mef), dalla quale si può scaricare un documento, aggiornato al marzo 2016, intitolato “##prideandprejudice: quello che non si dice dell’Italia”.
I grafici presentati nel documento sono interessanti e mostrano come negli ultimi anni deficit, debito e spesa pubblica in Italia siano cresciuti meno della maggior parte dei paesi europei (e non solo). Peccato che nel documento ci si dimentica di tener conto del pregresso, evitando di mettere a confronto il dato del debito pubblico nella sua effettiva consistenza nei vari Paesi europei.
Il documento del Mef ci ricorda quegli alcolisti che dichiarano che ultimamente bevono poco, tralasciando di dire che hanno la cantina piena di bottiglie. Ammettono che l’alcol fa male, ma rassicurano che ormai è un problema superato.
Ecco come conclude il documento del Mef:  “La comunità nazionale ha fatto fronte a questo imponente fardello (il debito pubblico) con pesanti sacrifici, di cui si trova evidenza nella lunga serie di bilanci pubblici primari chiusi in attivo. Il Governo italiano è impegnato a modernizzare e rinnovare il Paese per premiare questi sforzi comuni attraverso un ambizioso programma di riforme che procede speditamente e con determinazione. Per smontare con i fatti antichi e diffusi pregiudizi su una nazione che vuole poter parlare di sé con meritato orgoglio”.
Purtroppo i dati economici disponibili attestano che le ambiziose riforme governative, pur procedendo “speditamente e con determinazione”, finora non hanno avuto un impatto decisivo sul risanamento della finanza pubblica.
Nel frattempo qualcuno dovrebbe ricordare al Mef che l’Italia è tuttora il Paese con il più alto debito pubblico d’Europa, che rischia di gravare pesantemente sul futuro delle nuove generazioni e che di conseguenza parlare di “meritato orgoglio” è davvero eccessivo.