My Stealthy Freedom, questo il nome del movimento sociale iraniano nato sui social per il diritto delle donne di decidere liberamente se vogliono o meno indossare lo hijab. Che oggi  conta su più di un milione di sostenitori.

In Iran le donne sono costrette a coprire i capelli in pubblico in base al codice di abbigliamento obbligatorio entrato in vigore dopo la rivoluzione del 1979. Ma non tutte sono d’accordo. La campagna My Stealthy Freedom (La mia libertà furtiva) è stata lanciata su web due anni fa da Masih Alinejad, attivista iraniana che vive a New York, con l’appello alle donne del suo paese di origine a pubblicare sui social le loro foto senza il velo e postare pensieri, emozioni, appelli. Sfidando la terribile polizia religiosa che ancora oggi multa per strada chi fa anche solo uscire una ciocca di capelli dal velo.

L’hashtag #mystealthyfreedom si è diffuso a macchia d’olio sul web, la pagina Facebook ha superato il milione e 19 mila fans, la campagna è rimbalzata su molte testate internazionali.

Ben presto la protesta si estesa ai diversi diritti negati alle donne. In questo post l’autrice denuncia “Libertà e uguaglianza sono i miei diritti. Perché devo essere trattata come una cittadina di serie B? Perché devo ottenere da mio marito il consenso per avere il passaporto? Perché la mia eredità è metà di quella di mio fratello?…..”

E oggi My Stealty Freedom è andata più in là, il 22 luglio ha lanciato l’appello agli uomini a “condividere quello che noi donne proviamo”.  Così è nato l’hashtag #meninhijab e sono cominciate a piovere sui social foto di uomini velati a fianco delle loro donne a capo scoperto.

Soltanto lo scorso maggio, otto modelle sono state arrestate in Iran per aver postato su Instagram le loro foto senza hijab.”Ho pensato che sarebbe stato fantastico invitare gli uomini a sostenere i diritti delle donne” ha dichiarato Masih Alinejad. E così è stato, perché la “libertà furtiva” in Iran sembra ancora molto lontano dall’essere raggiunta, come sostiene Amnesty International che denuncia una “discriminazione diffusa e sistematica delle donne iraniane”.

Fonte: ong2.org

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