Oggi è un giorno storico per la Colombia e per l’America latina tutta. All’Avana, e non è un luogo a caso, si firma il cessate il fuoco bilaterale e definitivo tra esercito colombiano e la guerriglia delle FARC.

È la prima volta che lo Stato si compromette a non sparare mentre la guerriglia ha rispettato in tre anni molteplici cessate il fuoco unilaterali, violati in incidenti minori con appena quattro morti nel 2015, dopo una guerra che per decenni lasciava un saldo di migliaia di morti l’anno. Oltre ciò c’è il difficile cammino per l’attuazione materiale della pace vera e propria, con un pacchetto di misure per le quali ci sono voluti tre anni di trattative. Verrà da domani in avanti: sviluppo integrale, partecipazione politica, questione droghe, riparazione per le vittime, trasformazione della guerriglia in pace e sicurezza in una forza politica.

La violenza in Colombia era cominciata il 9 aprile del 1948 con l’assassinio di Eliecer Gaitán, un politico liberal-progressista che voleva una riforma agraria che avrebbe democratizzato e reso più equo il paese. Tra quelli che si sollevarono per protestare contro quell’omicidio ne furono uccisi 3000. 300.000 ne moriranno in quasi settanta anni di guerra interna.

Il campo popolare fu difeso militarmente dal 1964 in avanti dalle controverse FARC, quasi sempre una guerriglia difensiva rispetto all’ingiustizia totale del paese ma soprattutto rispetto a una modernizzazione forzata del paese. Questa comportava l’espulsione di milioni di piccoli agricoltori dalle loro terre in favore dell’agroindustria che, in punta di fucile dei paramilitari, si è appropriata di milioni di ettari di terra fertilissima e ha trasformato a inizio secolo la Colombia nel paese con più rifugiati interni al mondo, fino a sette milioni. Su tutto ciò il narcotraffico, che infanga e insanguina tutto.

Solo pochi anni fa questo risultato storico non sarebbe stato neanche pensabile. Nell’epoca della “guerra al terrorismo” di George W Bush, declinata alla colombiana dal presidente di estrema destra – vicino se non organico ai paramilitari – Álvaro Uribe, le FARC, accusate di tutto, andavano semplicemente sterminate in un’ideologia per la quale gli USA pagavano per ogni “terrorista” ucciso, cosa che comportò l’atroce fenomeno dei “falsi positivi“, migliaia di contadini inermi assassinati e rivenduti dall’esercito come guerriglieri. In realtà queste non si erano macchiate di più del 3% dei crimini commessi nel paese, incluso il narco, la maggior parte dei quali andava addebitata ai paramilitari di estrema destra al soldo dell’agroindustria, del crimine organizzato e della parapolitica. La guerriglia è stata in questi anni la conseguenza e non la causa della violenza in Colombia.

Chi parlava di dialogo (la chiesa cattolica, i movimenti sociali) o osava ricordare le condizione storiche che spiegavano la persistenza di una guerriglia che comunque spesso è stata un ostacolo e un pretesto per il nemico, in Colombia veniva incarcerato e all’estero accusato di essere complice dei “narcoterroristi” che all’epoca erano rappresentati come il peggior nemico dell’umanità. Non erano il peggior nemico dell’umanità e della Colombia le FARC, anche se spesso mostrarono un volto lugubre, e in questi anni di trattative, facendo finalmente politica, hanno dimostrato la legittimità della loro lotta fuori tempo a chiunque sia intellettualmente onesto.

E dunque oggi, a Cuba, Juan Manuel Santos, un pragmatico politico conservatore, e il capo dei negoziatori delle FARC Timoleón Jiménez, si stringeranno la mano davanti al segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon e altri dirigenti tra i quali il presidente venezuelano Nicolás Maduro. E qui viene l’ultimo punto: le grandi organizzazioni internazionali, obnubilate dalla dottrina Bush (per lui sì che ci vorrebbe un TPI) neanche si erano poste il problema della pace in Colombia, da mezzo secolo tra i principali produttori di droga e consumatori di armi al mondo, un binomio conveniente a troppi. Il conflitto interno – che si autoalimentava sull’ingiustizia – andava risolto con lo sterminio delle FARC e la sconfitta definitiva della guerriglia marxista.

Quello che succede oggi all’Avana non è solo un trionfo per milioni di colombiani e per la diplomazia cubana (anche Cuba – il gulag tropicale – andava cancellata e basta) ma per il concerto latinoamericano. E’ un successo postumo per Hugo Chávez (accusato per anni – secondo convenienza – di foraggiare o essere foraggiato dalle FARC), per Néstor Kirchner e per le istanze e le istituzioni che l’America latina si è data nel XXI secolo per risolvere i propri conflitti. Nel bilancio di questi anni – che in troppi vogliono riscrivere in negativo – non è una voce minore che l’America latina integrazionista sia sempre stata operatrice di pace.

 

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