Riportiamo la trascrizione dell’intervista ad Antonio Carvallo, analista di Pressenza che vive nel sud-est dell’Inghilterra, fatta venerdì scorso durante il programma “En la oreja” di Radio Pichincha Universal a Quito, in Ecuador.

Oggi è una giornata storica per il Regno Unito, l’Unione Europea e forse il mondo intero. In un referendum il paese ha votato per uscire dall’Unione Europea.  Come in molti altri paesi del continente, la relazione con l’UE è sempre stata più o meno tesa, con molte proteste sulla mancanza di trasparenza con cui si prendono le decisioni e l’implementazione di leggi spesso incomprensibili.  Questa campagna però non ha riguardato solo i temi economici, ma ha raggiunto un livello di odio, xenofobia e intolleranza verso gli immigrati che ha scioccato molta gente e ha portato all’assassinio di una giovane deputata mentre andava a un incontro nel suo collegio elettorale.

Abbiamo con noi per parlare del risultato del referendum e delle prospettive per il continente il nostro analista Antonio Carvallo, che vive nel sud-est dell’Inghilterra.

Il Partito Conservatore è piuttosto vecchio e bloccato nel passato. Un settore si oppone all’Unione Europea perché è un’unione politica e questo significa trasferire sovranità da Londra a Bruxelles. Un altro settore del partito, europeista, crede che il futuro stia necessariamente nell’integrazione dei paesi dell’Europa, ma vorrebbe maggiore trasparenza, efficienza e rappresentatività all’interno dell’UE. Queste posizioni opposte sono da anni in lotta nel partito. Da quando i paesi dell’Europa Centrale sono entrati nell’UE  e i loro cittadini hanno potuto trasferirsi in qualsiasi paese per lavorare, molti sono venuti nel Regno Unito e questo ha esacerbato la sensibilità di molta gente. I settori più tradizionalisti della cosiddetta classe media hanno avvertito una minaccia alla loro identità e qualità della vita. Nelle elezioni fanno pressione sui rappresentanti politici e così il partito entra in un conflitto interno, tra i suoi parlamentari.

Con le grandi migrazioni prodotte dalle guerre della Nato in Medio Oriente e Nordafrica, queste tensioni si sono esacerbate e sono sorti partiti di destra contrari all’immigrazione e favorevoli all’uscita dall’UE. Insomma questa inquietudine rispetto agli immigrati si è radicalizzata. D’altra parte senza di loro non funzionerebbero né l’edilizia né molti altri settori, perché non c’è mano d’opera sufficiente. Insomma, c’è molta ambiguità in queste parti del Partito Conservatore.

Un esempio di questi partiti più estremisti è l’UKIP di Nigel Farage, un eurodeputato che alle ultime elezioni ha ottenuto 4 milioni di voti e rappresenta una grave minaccia per i conservatori in vista delle prossime elezioni. Questo tipo nel Parlamento Europeo ha sempre criticato l’Europa e sostenuto l’uscita del Regno Unito. Per contrastare tutto questo, cercare di unificare il partito e recuperare i voti che sta perdendo nella classe media, che tradizionalmente vota per i conservatori,  circa nove mesi fa Cameron si è lanciato in una crociata per negoziare uno stato speciale all’interno dell’UE, usando la minaccia della Brexit. Dopo molte riunioni, gli altri membri dell’UE gli hanno fatto alcune concessioni per dare al Regno Unito la possibilità di non partecipare ad alcune decisioni prese dall’Unione Europea, senza perdere per questo la sua qualità di alleato. E così Cameron, pensando di aver risolto il problema, ha dato libertà all’interno del partito per restare o uscire nell’Unione Europea e convocato il referendum; però ha fatto male i suoi calcoli, non ha valutato in modo adeguato i sentimenti dei settori che voleva placare e come abbiamo visto si è dato la zappa sui piedi. Il risultato sono 4 punti percentuali tra chi ha votato per restare nell’UE e chi ha appoggiato la Brexit.

Il 75 % dei giovani ha votato per rimanere nell’UE e i più anziani per uscire. Si è prodotto o accentuato un divario generazionale. I vecchi sono attivisti e il 78% di chi ha più di 65 anni è andato a votare. Molti dei giovani invece non hanno dato tanto peso alla cosa. E’ qui che si può identificare questa differenza di 4 punti, che altrimenti avrebbe permesso la vittoria del “Remain”. I conservatori pensavano di andare sul sicuro e non hanno  dato la dovuta importanza a un voto ampio come quello referendario, dove non si possono misurare le tendenze della gente.

Anche le regioni si sono polarizzate. La Scozia e l’Irlanda del Nord hanno votato a grande maggioranza per rimanere nell’Unione Europea. Che prospettive si aprono a questo punto per l’unità del paese?

Quando c’è stato il referendum per l’indipendenza della Scozia erano terrorizzati e alla fine la gente, pensando che era meglio non dividere la nazione, ha lasciato perdere il suo regionalismo.

Tony Robinson, uno degli intervistatori, fa riferimento al conflitto in Irlanda del Nord, concluso vent’anni fa con un accordo di pace che mise fine a una guerra civile durata oltre cinquant’anni. Una delle ragioni di questo accordo era far parte di un progetto più grande, come l’appartenenza all’ UE.

E perché gli scozzesi dovrebbero sacrificare i loro interessi? Ricevono molte concessioni dall’Unione Europea e guadagnano molto in termini di esportazioni per la loro partecipazione. Dunque si sentono liberi. Prima del referendum hanno avvisato che se avesse vinto il “Leave” loro avrebbero scelto di continuare a restare in Europa. E in Irlanda del Nord il Sinn Fein ha appena dichiarato la stessa cosa. Il Regno Unito si ridurrà molto. Le regioni non accetteranno questo risultato e vorranno continuare a far parte dell’UE.

Quelli favorevoli all’uscita vedono che il Parlamento di Westminster va perdendo potere di decisione politica a favore del Parlamento Europeo. Nel programma dell’UE c’è una graduale integrazione. Per esempio, uno dei temi discussi di recente, con l’Europa che comincia a reagire, riguarda il fatto che gli Stati Uniti dettano la politica estera e le hanno imposto una quantità di conflitti e guerre che l’hanno danneggiata molto dal punto di vista finanziario ed economico. Dunque i settori del Partito Conservatore contrari all’UE temono di perdere il controllo della politica di difesa. E questo vale anche per le multinazionali che loro rappresentano. Il Parlamento Europeo andrà risolvendo sempre più questioni e loro si ritroveranno con meno influenza e meno importanza. Hanno preso degli impegni con le banche che operano a Londra e una quantità di multinazionali. Alcuni settori finanziari del Regno Unito hanno partecipazioni molto attive, è una combinazione di interessi finanziari e politici; è il settore finanziario che fa pressione sui politici.

L’uscita dall’UE concentrerà il potere nelle elite britanniche?

Senza dubbio. Uno dei temi discussi di recente è quello dello status della City di Londra, del centro finanziario, perché l’UE voleva imporre delle tasse, visto che muove miliardi di dollari, sterline o altre monete che potrebbero andare a vantaggio dell’insieme. Questo ha provocato una tremenda irritazione. Nessuno deve intralciare la City. Insomma, vogliono conservare tutti i privilegi, soprattutto finanziari e militari e che siano altri a occuparsi degli altri temi. Un’unione con una visione così unilaterale non può funzionare.

In questo nuovo panorama europeo, con altri partiti di destra che vogliono realizzare referendum del genere, tutto questo ispirerà nuove  forze separatiste nell’Unione Europea. Io la ritengo un progetto molto  interessante, che si muove in una direzione legata al futuro. Una direzione che coincide in gran parte con la nostra filosofia umanista di una Nazione Umana Universale. Attualmente parliamo di un continente con una filosofia d’insieme, che condivide molte cose. Al di là dello spazio fisico, condivide leggi, una visione. E’ un progetto interessante. Dividersi in piccoli stati nazionali fa parte del passato, mentre il progetto dell’Unione Europeo è nato da gente visionaria, molto interessante, uscita dall’esperienza delle due guerre mondiali e convinta che per continuare a evolversi l’unione era inevitabile.  Fondamentalmente davanti al potere degli Stati Uniti e degli altri grandi conglomerati che si vanno unificando, mi pare che continuare a frammentarsi sempre di più sarebbe una follia, sarebbe deplorevole. E’ una delle tendenze che si stanno manifestando.

Credo che un indicatore molto interessante sarà vedere se l’Europa continua a ridurre la sua dipendenza dagli Stati Uniti, se può arrivare a definire una sua politica di sicurezza e difesa. Si tratta di discussioni molto recenti, legate all’aumento delle migrazioni, alla continuazione del conflitto in Siria (gli Stati Uniti hanno opposto molta resistenza alla sua risoluzione una volta per tutte) e alla creazione del conflitto in Ucraina; tutte queste cose hanno prodotto una certa insoddisfazione nell’UE. In questo momento stanno parlando di creare le loro forze armate e politiche di difesa. Questo ha avuto un’enorme ripercussione. Alcuni ex generali dell’esercito hanno smesso di appoggiare la permanenza in Europa e optato per l’uscita, perché è   un tema molto urticante. Ossia, il fatto che l’Europa inizi a prendere distanza dalla Nato e non si coinvolga più nei conflitti creati dagli americani per indebolirla e dividerla; questo si comincia a notare. La creazione di rapporti commerciali con la Russia sarebbe un buon indicatore del fatto che le cose stanno avanzando. Un altro indicatore positivo sarebbe se l’UE rivedesse i suoi procedimenti e creasse una responsabilità politica, elezioni a diversi livelli di presa di decisioni e trasparenza.

Traduzione dallo spagnolo di Anna Polo