Paul Mason è l’autore di un ottimo libro di storia dell’economia che non trascura nulla e che offre molte possibilità di benessere per l’umanità (“Postcapitalismo”, il Saggiatore, 2016, 338 pagine reali, euro 22).

 

Mason ha rispolverato e reinterpretato la teoria dei cicli lunghi dell’economista Kondrat’ev, giustiziato da Stalin poiché aveva scoperto il misterioso potere del sistema capitalistico di uscire dalle crisi, trasformandosi ogni volta da bruco in farfalla  (con onde che variano dai 50 ai 70 anni). Joseph Schumpeter venne ispirato dall’economista russo e sottolineò l’importanza della distruzione creativa della tecnologia, che oggi ci ha dato prodotti e servizi con costi bassissimi. Peter Drucker, suo allievo, ha sottolineato l’importanza dell’innovazione culturale e manageriale e cioè della capacità di applicare la conoscenza e di padroneggiare i concetti a livello operativo.

Mason è sicuramente uno studioso molto appassionato che ha colto l’essenza dell’attuale crisi del capitalismo finanziario neoliberista. Il “rompicapo di una crescita dei profitti affiancata da un calo degli investimenti dovrebbe essere lo snodo centrale di una moderna teoria delle crisi. Ma c’è una spiegazione abbastanza evidente: nel sistema neoliberista, le aziende usano i profitti per pagare dividendi invece che per reinvestirli. E in una situazione di tensioni finanziarie (com’è stato evidente dopo la crisi asiatica del 1997), usano i profitti per accumulare riserve di liquidità che fungano da cuscinetto contro una stressa creditizia. Oltre a questo, le imprese hanno sempre debiti da rimborsare, e nei periodi di vacche grasse ricomprano le proprie azioni, in una sorta di distribuzione di profitti extra ai loro proprietari finanziari. Minimizzano il rischio di essere sfruttate finanziariamente e massimizzano la capacità di operare sui mercati finanziari” (p. 101).

I due decenni euforici precedenti alla crisi del 2008 sono fuori dallo schema Kondrat’ev, per il sorgere di nuovi fattori rivoluzionari che hanno creato una forza lavoro sconfitta e atomizzata e un’élite di super ricchi che campa sui profitti finanziari. Inizia l’egemonia del neoliberismo: “la moneta fiduciaria [non ancorata all’oro], la finanziarizzazione, il raddoppio della forza lavoro [grazie ai nuovi lavoratori asiatici], gli squilibri globali, incluso l’effetto deflattivo della manodopera a buon mercato e del minor costo di tutto il resto per effetto delle tecnologie informatiche” e dell’incremento dell’uso dei robot industriali (p. 138). Naturalmente c’è anche una superpotenza senza rivali che crea la moneta dal nulla senza fermarsi mai (gli Stati Uniti).

Comunque “il crack del 2008 ha cancellato il 13 per cento della produzione mondiale e il 20 per cento degli scambi commerciali… In Occidente, ha prodotto una fase di depressione più lunga di quella del 1929-1933”. Tutte queste anomalie sono le conseguenze dell’economia drogata dalla stampa infinita di moneta e delle truffe finanziarie legate ai derivati, titoli troppo scollegati dai risultati dell’economia reale. Kondrat’ev aveva studiato delle economie sane che al massimo si ubriacavano una volta ogni tanto, mentre il sistema capitalistico finanziario di oggi è diventato troppo dipendente dalle rendite finanziarie tossiche, spesso inserite in uno schema Ponzi.

Il capitalismo è un sistema aperto, inserito in un mondo di materie prime e di fonti energetiche, che interagisce con una popolazione umana con livelli di crescita incontrollati. La popolazione umana era circa un miliardo cento anni fa e è arrivata a più di sette miliardi oggi. Con il grande aumento della popolazione l’economia sarà sempre di più condizionata dalla demografia, cosa che quasi tutti gli economisti non valutano quasi mai, e che spiega i risultati economici molto diversi tra l’India e la Cina (dove la povertà si è ridotta anche grazie al controllo delle nascite).

L’attuale crisi globale è quindi da imputare a una grande sovrapproduzione umana e materiale, grazie alle nuove tecnologie dell’informazione e dell’automatizzazione (oggi quasi il 90 per cento della fabbricazione di un’auto è fatta dai robot). La presenza di troppi esseri umani e la possibilità di comunicare e di viaggiare con costi molto bassi, ha costretto molte persone ad accettare salari e stipendi al limite della sopravvivenza (oltre al cibo bisogna pagare gli affitti, l’energia e le tasse).

Secondo Paul Mason e non solo, “le tecnologie informatiche rendono possibile un’economia non di mercato, creando una generazione disposta a perseguire il proprio interesse egoistico attraverso azioni non di mercato” (p. 153). Si può chiamare postcapitalismo. Si potrebbe chiamare economia della conoscenza, oppure economia dell’esperienza, oppure capitalismo di rete. Di sicuro non sarà una forma di capitalismo accentrato, dato che non ha mai funzionato (tranne in tempo di guerra, dove ha funzionato in parte, solo per pochi obiettivi definiti e per tempi limitati).

Ci sono e ci saranno nuove forme alternative al capitalismo finanziario e neoliberista, troppo accentratore, che contrasta con le indicazioni teoriche sulla necessità delle decentralizzazioni economiche fatte dai fondatori del liberismo (von Mises e Hayek). Come affermava Einaudi, solo il cliente può decidere se un paio di scarpe sono piccole, grandi o se vanno bene. Inoltre l’istituzione del reddito di cittadinanza potrebbe eliminare buona parte dei “lavori del cazzo”. La definizione poco accademica di David Graeber comprende tutti i lavori con una bassa utilità sociale che vengono retribuiti troppo poco, come il telemarketing (il vero incubo della tranquillità personale).

In ultima analisi bisogna considerare che i continenti da colonizzare e da “mercatizzare “ sono finiti e che ci sono sette miliardi di esseri umani in concorrenza tra di loro. Gli altruisti disposti a cooperare sono e saranno sempre una piccola minoranza; i nuovi mercati online saranno sempre meno redditizi. Però per Mason si può salvare la globalizzazione imprigionando il neoliberismo. I privati dovranno fare i profitti con l’attività imprenditoriale, non con i soprusi posizionali delle rendite. In ogni caso la vita lavorativa spensierata è finita e il capitalismo fra poco incontrerà l’unico predatore che può ucciderlo: il limite biologico della specie umana.

 

Paul Mason è un giornalista economico che lavora per l’emittente inglese Channel 4 (www.paulmasonnews.com). Nel 2009 ha pubblicato La fine dell’età dell’ingordigia (Mondadori).

Per approfondimenti video: www.youtube.com/watch?v=ht_x5PF5o1w (novembre 2015); www.youtube.com/watch?v=4HMs0kkUvq8 (Guardian Live, luglio 2015); www.youtube.com/watch?v=EM1IOe51NZ (Cambridge, ottobre 2015); www.youtube.com/watch?v=mztFlAQSccA (London School of Economics and Political Science); www.youtube.com/watch?v=rrzXIV8eZPo (RSA Replay, The Future of Capitalism, ottobre 2015).

 

Nota fondamentale – Marx scoprì una legge molto importante dell’economia politica: “In un’azienda, in un settore o in un’economia in cui quote crescenti di capitale sono investite in macchinari, materie prime e altri fattori di produzione diversi dalla manodopera, la capacità del lavoro di generare profitti si riduce” (p. 80). Così “un’ora di lavoro aggiunge sempre un’ora di lavoro al prodotto. Perciò un aumento di produttività riduce la quantità di valore racchiusa in ogni prodotto” (p. 193). È da questo meccanismo che nascono le crisi cicliche del capitalismo: i profitti aumentano a breve termine per pochi fortunati, ma nel lungo termine tutto il settore si deprezza. Le tecnologie e le conoscenze manageriali sono un “moltiplicatore di forza” del lavoro umano, che nella sostanza rimane identico a prima. Anche per Adam Smith il lavoro è la fonte di valore, ma il mercato la rispecchia in modo approssimativo attraverso il “contrattare e mercanteggiare”.

Nota sulla tecnologia e sull’informazione – “La conoscenza contenuta nei prodotti sta diventando più preziosa degli elementi fisici usati  per produrli” (Mason p. 144), e “le categorie dell’analisi economica non sono più, com’erano da duecento anni, la terra, il lavoro e il capitale. Questa elementare classificazione è stata soppiantata da persone, idee, cose… il noto principio della scarsità è stato accresciuto dall’importante principio dell’abbondanza” (David Warsh, citato a p. 153; Feltrinelli, 2007). Il progresso tecnico si può definire così: un “miglioramento delle istruzioni per mescolare le materie prime… intrinsecamente diverse dagli altri beni economici… Una volta sostenuto il costo della creazione di un nuovo insieme di istruzioni, queste possono essere usate di nuovo, ripetutamente, senza alcun costo aggiuntivo” (Paul Romer, citato a p. 150; 1990). Di conseguenza nessuno sa come misurare economicamente il valore dell’informazione (provate a chiedere al Sas Institute). Il marginalismo, essendo una teoria dei prezzi, non contempla “un mondo di beni a prezzo zero, con uno spazio economico condiviso, organizzazioni non di mercato e prodotti che nessuno può possedere” (p. 200).

Nota energetica – Norbert Wiener affermò che “L’informazione è informazione, non materia né energia. Nessun materialismo che non ammetta questo può sopravvivere al giorno d’oggi” (p. 201). Ma per essere più esatti è meglio chiarire che l’elaborazione delle informazioni consuma energia (Rolf Landauer, Ibm, 1961). In definitiva “l’informazione è un prodotto per cui si deve sostenere un costo in termini di energia, ed esiste materialmente. I bit occupano spazio nel mondo reale: consumano elettricità, rilasciano calore e devono essere immagazzinati da qualche parte”.

Nota logistica – Negli anni ’70 l’invenzione dei container da parte di Malcolm McLean ha rivoluzionato la logistica: “Prima di allora la voce trasporto incideva per un quarto sul prezzo di una merce importata. Oggi un maglione può solcare l’oceano per 2,5 centesimi di dollaro. Una lattina di birra per un centesimo” (Riccardo Staglianò, Al posto tuo, Einaudi, 2016). Oggi la logistica non ha nessuna importanza per i nuovi settori economici digitalizzati e per “le reti di produzione tra pari distribuite orizzontalmente senza una gestione centrale, che forniscono beni completamente gratuiti o dal valore commerciale molto limitato” (p. 178). L’economia del dono è in aumento e può emergere un sistema economico cooperativo più vantaggioso a medio e lungo termine.

Nota sugli accordi di Bretton Woods e sulla repressione finanziaria – Nel 1944 Bretton Woods “realizzò qualcosa senza precedenti: ridusse i debiti accumulati durante la seconda guerra mondiale, eliminò la speculazione, indirizzò i risparmi verso investimenti produttivi e consentì una crescita spettacolare. Incanalò tutta l’instabilità latente nel sistema nella sfera delle relazioni tra valute” (p. 114). A mio parere oggi bisognerebbe aumentare la tassazione finanziaria e i giorni di ferie in tutti i paesi aderenti al WTO (World Trade Organization). Bisognerebbe anticipare l’età della pensione, e naturalmente “la creazione di credito e l’espansione della massa monetaria sono indispensabili, se vogliamo assottigliare il cumulo di debiti che sta strozzando la crescita” (p. 328).

Nota finale – Mason si è studiato a fondo i famosi taccuini di Marx del 1858, chiamati Grundrisse, prima conservati in Germania, poi acquistati dall’Unione Sovietica, tradotti in inglese solo nel 1973 e denominati Frammenti sulle macchine. La vita è piena di beffe: uno stato comunista aveva comprato i migliori pensieri del fondatore intellettuale del comunismo (riferimenti a p. 167 e 168).