Verso nuovi modelli di governabilità

di Alejandra González Muniz

 

“Le paure e la libertà”

Non so chi sono e poiché non so chi sono m’infastidisce che tu sia…
… sia nella libertà delle tue ali, sia nel tuo cuore, sia quando mi cerchi nell’ombra delle prigioni in cui vivo…

Non so chi sono e per questo a volte desidero vederti prigioniero tra le mie sbarre di desideri repressi, di dolori irrisolti, di maltrattamenti nascosti… di certezze limitanti…

Non so quello che valgo e per questo la tua luce mi adombra, mi irrita, mi dissangua… e mi parla di tutto ciò che non posso vedere in me…

Non so che sono capace di creare percorsi né so di cosa parlano i miei vuoti…

…quando mi togli da lì, provo paura, senso di rifiuto e persino mi burlo di te…perché mi lasci nuda di fronte a ciò che ho capito dovevano essere i miei limiti…

Pazza, pazzo! Ti dico, impara che la vita è questo, ti grido!

Mi rispondi domandando quando ho imparato a chiedere permesso per respirare, essere e vivere… quando ho capito che la vita era accettare la rinuncia, la repressione, il dolore o l’abuso come condizione per trovarsi qui…

Pazza, pazzo ti dico! accetta che la vita è questo, ti grido!

La vita è questo? La vita è lì?, mi chiedi, riferendoti a quando ho compreso che il mondo doveva essere così… Pazza, pazzo ti dico! accetta che la vita è questo, ti grido! quando ho paura di ritrovare le mie ali e la fiducia in me stessa, che ho perso da molti anni…

Pazzo, pazza ti dico… e tu fai ponti con le mie parole mentre mi abbracci ringraziandomi di essere qui… Pazza, pazzo ti dico…e mi rispondi

…sì, sono talmente pazzo per questo mondo che ancora voglio continuare e continuo a credere in te…”

AGM. 2016

 

Ho scritto il testo qui sopra qualche settimana fa, con l’intenzione di dedicarlo a tutti coloro che lottano giorno dopo giorno per un mondo migliore e più umano, sia nelle piccole cose che nelle grandi. Pensando a quelli che sopportano il nubifragio delle obiezioni e le resistenze secondo cui il mondo va così e non lo si può cambiare. L’ho scritto pensando a quelli che sanno dal profondo di se stessi, dalle nostre conoscenze e dal profondo amore verso l’essere umano, che un altro mondo è possibile e che oggi è più che mai è necessario. E oggi desidero condividerlo con voi come preambolo su ciò che intendo debba essere un nuovo modello di governabilità, poiché non vedo alcun senso nel continuare a mantenere e difendere un sistema che distrugge tutti. Mettere in discussione tale sistema non significa essere anti-sistema, ma semplicemente riconoscere che il suo fallimento è innegabile quando esaminiamo le cifre che parlano di sofferenza, malattia e maggiore vulnerabilità dell’essere umano.

Sono cosciente del fatto che cambiare paradigmi non è mai stata una cosa di due giorni, e ancor meno lo sarà ora perché ci troviamo in un momento in cui la lotta per il potere e le risorse sembrano aver accecato quelli che tentano di mantenere giorno dopo giorno uno status quo che non parla d’altro se non d’involuzione e distruzione a livello di sviluppo umano. Involuzione che distrugge anche loro in quanto, di fronte a questa ripetizione di modello, l’unica cosa che fanno è continuare a riproporre la stessa ferita che un giorno ci ha portati a credere che questo fosse il potere e che il potere esistesse per questo. A fronte di quanto affermo, credo sia importante ricordare la parole di Gruen: “….ciò che spinge gli uomini distruttivi verso azioni di disprezzo verso altri uomini, dall’estremista di destra – e, aggiungo, di sinistra, – fino al fanatico di una setta, dal conquistatore del mondo al manager della globalizzazione senza scrupoli, è l’impulso di riappropriarsi del proprio dolore escluso, punendo gli altri uomini in quanto, una volta, essi stessi sono stati deboli e hanno sofferto. Questi uomini distruggono per vivere, per riempire il vuoto sorto dentro di loro quando sono stati privati di ciò che era loro proprio. Alcuni, di fatto, giungono persino a uccidere per riempire tale vuoto; altri lo fanno in modo indiretto, cedendo alla megalomania e distruggendo altri uomini o umiliandoli” (p. 55).

In linea con quanto afferma Gruen, molti anni or sono mi chiesi da dove nascesse il nostro modello politico. Mi chiesi che cosa poteva spiegare come noi esseri umani siamo capaci di sopportare un sistema che al giorno d’oggi manca di rappresentatività, per ragionare e fornire soluzioni ai problemi comuni delle nostre società in relazione allo sviluppo e al benessere delle persone. Perché seguitiamo a tollerare tanto dolore e abuso, e in alcuni casi contribuiamo a perpetuare tali forme di amministrazione? Leggendo migliaia di autori e sulla base di tali domande, mi sono confrontata con la nostra storia e ho iniziato a capire che il modello che sosteniamo oggi emerge dalle nostre storie, fatte di vincoli affettivi e modelli di autorità interni, dato che il sistema di autorità attuale è una specie di nuova rappresentazione mal raccontata e sfigurata di tutti i temi in sospeso lasciati nelle biografie individuali di ognuno di noi. Ho iniziato a capire che la storia dei vincoli di attaccamento con cui leghiamo le persone non solo influisce sul modo in cui vediamo noi stessi e ci relazioniamo con gli altri, ma influisce anche sul modo in cui intendiamo l’autorità, sulla scelta dei leader politici e anche sul modo in cui esercitiamo la nostra autorità, come anche sulle difficoltà che abbiamo a esaminare e valutare quelli che nei nostri paesi esercitano il potere con violenza esplicita o implicita.

“A partire da lì, la società nel suo insieme, i personaggi investiti di autorità, i superiori gerarchici, saranno oggetto di una assimilazione incosciente con le figure parentali, per cui si genera un’inevitabile paura di perdere l’amor proprio e il sostegno – paura che trae origine dal sentimento incosciente della colpa – ogni volta in cui il soggetto porta a termine azioni autonome e personali opponendosi in tal modo al principio d autorità” (Mendel, 1993: 204).

Se la nostra società è strutturata in tal modo, le parole di Mendel acquisiscono significato quando cerchiamo di capire perché ci opponiamo al cambiamento e difendiamo con le unghie e con i denti la sopravvivenza di un sistema che, in fondo, molti di noi sanno che ci sta portando alla distruzione dei rapporti umani. Tuttavia, oggi ci troviamo sotto scacco quando vediamo che tale sistema in cui viviamo cessa di essere sostenibile dal punto di vista umano e ci sta letteralmente distruggendo. A fronte di ciò, Gruen ci da lumi affermando che il futuro dell’umanità dipenderà dal modo in cui noi esseri umani gestiremo le nostre storie di dolore e violenza, e da cosa faremo con esse, dato che le conseguenze della negazione sono già visibili: aumento del tasso di violenza, svincolamento, società individualiste, sfrenato consumismo per sentire di essere “qualcuno”, ricerca di “status” a scapito del tempo di qualità trascorso coi nostri cari, e tanto altro.

Forse, se iniziassimo a capire che non esiste un essere umano perfetto e che, in questo, né i nostri genitori né i nostri nonni si salvano; se iniziassimo a capire che esiste qualcosa comune a tutti gli esseri umani riguardo alla nostra storia e che tutti noi siamo stati figli soggetti all’esperienza di legame affettivo e relazione con l’autorità, che non ha avuto spazi utili a prendere coscienza del rischio di perpetuare le nostre ferite; forse, oltre a cogliere il fattore trans-generazionale, potremo aprire una porta che ci faccia confrontare col danno, sapendo che in molti caso è condiviso, che continuare a negare il dolore o ciò che sentiamo per un malinteso senso di lealtà e di amore incondizionato può essere non solo la ricetta per continuare a ripetere la storia di generazione in generazione, ma anche per rompere la catena che oggi fa sì che altri ci dicano dall’alto come vivere, cosa meritiamo, cosa ne sarà del nostro mondo, senza avere né voce né voto reale. L’idealizzazione dei genitori non è mai stata alleata dello sviluppo umano, ma del potere che alla fine ci distrugge.

In questo senso, osservo e rifletto su come molti di questi rappresentanti che in alcuni casi dirigono, riscuotono e abusano “a nome di” potrebbero essere aiutati dalla nostra mancanza di coscienza e di lavoro personale, che permette che le lealtà e gli aspetti che non abbiamo potuto risolvere all’interno della nostra famiglia e con le figure autoritarie continuino ad agire nel sociale e negli ambiti in cui interveniamo in relazione agli altri. Dire ciò non è una pazzia se consideriamo che, rispetto ai rappresentanti politici e al ruolo di autorità che rappresentano, Arno Gruen alcuni anni or sono affermava che, al momento di eleggere i nostri politici, noi adulti avremmo ripetuto un antico modello “di sottomissione a un’autorità che svolge il ruolo di redimerci dalla paura e dalla responsabilità” (65).

Il ruolo cui si riferisce quest’autore e la ripetizione di un modello posssono arrivare a consolidarsi quando un bambino si vede obbligato a confermare l’immagine che i genitori hanno di sé stessi, nonché il comportamento da tenere a sua volta, in accordo con quanto “atteso” da parte delle figure parentali. Tale processo comporta la rinuncia a sé stessi a diversi livelli e la paura verso figure paterne e materne che ci rifiutano e ci richiedono di essere e comportarsi secondo dettati esogeni… Forse perché essi stessi, in precedenza, per primi sono stati obbligati a farlo…

E in tal senso, una volta di più, l’importanza dell’altro si fa presente quando comprendiamo che, di fronte a questa situazione, impariamo persino con dolore a cercare lo sguardo dell’altro, il suo riconoscimento, il suo affetto, ciò che era, anche con episodi di violenza al limite della negazione del nostro io, delle nostre percezioni, emozioni ed esperienze.

Arno Gruen asserisce che quando si verifica tale processo “…l’identificazione coi genitori avrebbe luogo su due livelli; da una parte il ruolo risulta essere l’unica realtà, mentre dall’altra, a livello incosciente, perdura la percezione della vera realtà che diventa il nucleo costante di una paura priva di forma contro la quale il bambino e più tardi l’adulto deve difendersi, attaccandosi al ruolo come realtà salvifica. In tale processo è racchiusa la minaccia per tutta la società democratica: quando gli uomini sono focalizzati su una falsa realtà consacrata al ruolo, si fanno guidare da politici che incarnano in modo convincente il ruolo della forza, risolutezza, sicurezza in sé stessi. La paura nei confronti della verità, in agguato sullo sfondo, scatena in questi uomini non solo collera verso quelli che esprimono la verità, ma li rende più propensi a farsi redimere da quelli che giustamente li liberano dalla paura grazie al ruolo” (65).

Se riflettiamo ulteriormente, potremmo anche porci delle domande sulla società dell’immagine che abbiamo costruito, sul messaggio che inviamo a noi stessi ogni volta che proviamo ad essere qualcosa che non siamo e, con questo, riflettere su chi stiamo aiutando, chi danneggiamo, che genere di società stiamo perpetuando.

 

Traduzione dallo spagnolo di Cristina Quattrone