Ha appena terminato il suo giro per l’Italia, grazie all’iniziativa del Centro di documentazione “Semi sotto la neve” Toshiko Tanaka, artista giapponese sopravvissuta alla bomba di Hiroshima. L’abbiamo intervistata grazie alla preziosa collaborazione di Yukari Saito.

Cara signora Tanaka, lei ha iniziato da pochi anni questa testimonianza sulla sua terribile esperienza, ci può spiegare perché?
In effetti, per più di sessant’anni non ho voluto raccontarla nemmeno ai figli, perché era un ricordo troppo doloroso per me e per chi m’ascolta e mi sembrava impossibile che fosse compreso.
Ma, questo non significava poter rimuoverlo dentro di me, quindi, ogni tanto infilavo nelle mie  opere qualche segno che non m’importava se gli altri  capissero o meno. Tuttavia, ho cominciato a raccontare soltanto arrivata ai settant’anni di età, perché mi sono resa conto che era necessario per garantire alle generazioni future che la tragedia non venga ripetuta.

Che cosa le ha fatto cambiare l’idea, l’ha spronata a testimoniare?

Nel 2007 sono andata a fare un viaggio  a bordo di Peace Boat, un’organizzazione non governativa giapponese che noleggia una nave e gira per il mondo per promuovere la pace, l’amicizia e la solidarietà. Quando abbiamo fatto una tappa a La Guaira nel Venezuela, il sindaco della città venendo a sapere che io fossi sopravvissuta alla bomba di Hiroshima mi ha chiesto di raccontare la mia esperienza. E al mio diniego mi ha detto: “se non racconta lei che l’ha vissuto in prima persona, chi può raccontarci ciò che è successo in quel giorno a Hiroshima? Se non si racconta, si farà come se non fosse successo e la stessa cosa potrebbe succedere di nuovo”.

Cosa rimane nell’anima di quel momento?

Le  sensazioni; per esempio, un’enorme quantità di polvere sollevata dall’onda d’urto che mi riempiva la bocca, una cosa sgradevolissima di cui conservo un ricordo assai vivido.
E ancora oggi mi vengono sovente i flash back che mi provocano i brividi, quando vedo o sento certe cose, ad esempio, un pomodoro grigliato mi ricorda la pelle staccata delle ustioni e un rombo di aeroplano, anche da turismo, mi evoca i bombardieri.
Ma mi ricordo anche uno scorcio del cielo azzurro bellissimo che vidi attraverso un buco creato nel tetto della nostra casa, completamente distrutta. Benché piangessi disperata per i dolori atroci delle ustioni subite al braccio, alla testa e al collo, notai quel cielo e mi colpì profondamente la sua bellezza: era uguale a quello del giorno precedente. A pensarci, credo di averlo percepito come se il cielo mi dicesse, dicesse a una bimba di 6 anni, che c’era ancora un “domani”. E se sono riuscita ad affrontare e a superare ogni difficoltà della vita fino a oggi, penso che devo molto a quel cielo che mi ha sempre incoraggiato.

L’arte che lei pratica con tanta maestria l’ha aiutata nel suo cammino di ritorno verso la vita?

Nel mio caso, non riesco a considerare completata un’opera soltanto con la bellezza e l’equilibrio che essa esprime. Sento il bisogno di infilarvi qualche messaggio di nascosto in modo che magari gli altri non se ne accorgano. Credo che ripetendo quell’operazione ho acquisito la forza di affrontare la mia esperienza.

Quale è il messaggio profondo che Lei vuole trasmettere?

Se la guardi bene, perfino dentro una distruzione, una devastazione, c’è sempre una salvezza, una speranza.

L’arte può unire i popoli verso un mondo migliore?

Credo proprio di sì. Ci sono le cose che l’arte riesce a trasmettere al cuore dell’altro senza iltramite delle parole.
Non sono una grande artista ma, se vedo le opere, riesco a afferrare e comprendere l’autore, probabilmente anche la sua intera vita.
Questo significa anche riconoscere e rispettare l’altro, quindi la mia risposta non può che essere affermativa.