Timidi segnali di rinnovamento dal voto di Hong Kong: sono ormai definiti i risultati del voto in cui si sono confrontati 900 candidati per 431 seggi nei 18 consigli distrettuali. Elezioni minori, ma che sono le prime dopo le massicce proteste che per 41 giorni interessarono lo scorso anno aree strategiche di Hong Kong e per questo seguite con interesse.

La vittoria, ma con maggiore frammentazione e sintomi di insofferenza delle giovani leve di votanti, è andata ai partiti filo-governativi e filo-Pechino, che hanno avuto 191 seggi. Migliorano le proprie posizioni rispetto alle elezioni del 2011 ma restano ancora distanti, con 83 seggi, i partiti democratici di varia affiliazione, con l’affermazione a sorpresa dei Neo-democratici che hanno vinto in 15 dei 16 seggi in cui erano candidati.

Due i dati sostanziali per le opposizioni:  la sconfitta di due veterani del Partito democratico, già parlamentari come Albert Ho e Frederick Fung, che evidenzia la necessità di un rinnovamento generazionale, e il buon risultato dei cosiddetti “guerrieri dell’Ombrello”. I giovani candidati protagonisti delle occupazioni cittadine dello scorso anno hanno conquistato sette seggi su oltre cinquanta candidati. Un segnale che la maggioranza interpreta come una spinta al rinnovamento pur senza cambiare i rapporti con Pechino e che per l’opposizione  incarna invece la necessità di lasciare spazio all’alternativa, con nuove proposte.

Le prossime elezioni per il nuovo leader dell’esecutivo, nel 2017 ,saranno ancora guidate dall’attuale regolamento che vuole il leader di Hong Kong eletto da un gruppo ristretto di notabili, espressione in maggioranza di gruppi vicini alla leadership cinese. La battaglia sarà per gli anni successivi. Pechino cercherà probabilmente di riproporre elezioni a suffragio universale ma per soli due-tre candidati, rifiutate dall’opposizione e dalla società civile che chiedono invece candidati scelti dalla base locale e votati da tutti gli aventi diritto.

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