Quanto accaduto a Parigi lascia senza parole, la tragedia è enorme e a pagare con la vita la ferocia dei terroristi sono vittime innocenti, uccise nel mucchio; poteva accadere a ciascuno di noi. Ed il futuro appare denso di paure, per tutti, anche in Europa.

Nessuno oggi ha una soluzione pronta da proporre; non ci sono vie d’uscita semplici. Provo quindi solo a condividere alcune riflessioni e ad esplicitare cosa, a mio parere, non dovremmo fare.

“Siamo in guerra” hanno titolato molti media, mostrando grande stupore; un annuncio che sembra annunciare una realtà a noi profondamente lontana. Ma se riusciamo a prenderci qualche minuto di riflessione, ci rendiamo conto di quanto quei titoli alla fine non comunichino altro che un dato di fatto, qualcosa che ormai da anni è oggettivamente una realtà.

La Francia, ma anche molti altri paesi europei, sono in guerra ormai da anni, da quando hanno partecipato alle guerre in Afghanistan, in Iraq, in Libia, in Siria, in Mali… senza peraltro aver mai formalmente dichiarato lo stato di guerra. Non sono videogiochi, sono guerre a tutti gli effetti, fatte con soldati, con armi di ogni genere, con bombe e droni che bombardano e uccidono. Come tutti i conflitti moderni il maggior numero di vittime sono tra i civili, tra persone innocenti che erano sedute a banchetti nuziali, tra bambini che giocavano all’aria aperta o tra feriti ricoverati in ospedale, giusto per ricordare solo alcuni degli ultimi “effetti collaterali”. L’Occidente è in guerra, solo che pensava di potere condurre questi conflitti senza che i propri cittadini nemmeno se ne accorgessero. La guerra ci sarebbe stata, ma solo a casa del nemico, nulla avrebbe interrotto la vita quotidiana di noi europei.

Ora sappiamo che non è così. Questa è la novità, non l’essere in guerra. E’ acclarato che le ragioni vere dell’interesse occidentale per l’Afghanistan, l’Iraq, la Libia, la Siria ecc. siano il petrolio, il gas, gli oleodotti, i gasdotti, il controllo delle vie di comunicazione… Se l’esportazione della democrazia fosse al primo posto, avremmo vista da tempo i droni attaccare l’Arabia Saudita. E’ anche facilmente verificabile che in nessuno tra i Paesi coinvolti nelle guerre la democrazia sia subentrata alle precedenti dittature. Papa Francesco nel settembre 2013 aveva invitato tutto il mondo a una veglia per convincere i leader a rinunciare alla guerra in Siria, ma non ottenne alcun risultato.

Gli effetti di tali scelte sono sotto gli occhi di tutti: condizioni di vita disastrose per le popolazioni, aumento della povertà, crollo dell’istruzione e dell’assistenza sanitaria, aumento vertiginoso dei morti da un lato, rafforzamento dell’integralismo islamico grazie alle armi destinate dagli alleati a chi avrebbe dovuto combattere i dittatori in nome della democrazia e grazie al sostegno fornito da Arabia Saudita, Emirati e Turchia, tutti fedeli alleati dell’Occidente. Il minimo che si può dire è che gli strateghi Usa, e le leadership politiche e militari europee, abbiano sbagliato i propri conti. Se invece l’obiettivo era il controllo delle risorse energetiche, l’aumento dei profitti dell’industria bellica (grande supporter di politici su ambedue le sponde dell’Atlantico) e l’avanzare sullo scacchiere politico nel confronto con la Cina e la Russia allora il bilancio è certamente diverso. Basta essere chiari sulle ragioni delle guerre.

Cosa possiamo fare a questo punto? Non credo ci siano soluzioni facili e comunque io non ne ho. Mi limito a dire cosa dovremmo evitare di fare.

Evitiamo di partecipare ad altre guerre, diamoci da fare perché non si avveri il desiderio di Renzi dell’Italia a capo di un’alleanza militare in Libia. Rafforzeremmo ulteriormente i gruppi integralisti nelle loro campagne di reclutamento contro gli infedeli, diventeremmo ancor più un bersaglio da colpire, spenderemmo risorse oggi molto più utili alla sanità, al lavoro e alla scuola. Chiediamo invece che le intellingence facciano il loro lavoro e che siano sostituiti coloro che non hanno dimostrato di esserne all’altezza.

Evitiamo di seguire Le Pen, Salvini e compagnia nelle loro crociate contro tutti gli immigrati e gli islamici: dal razzismo non può nascere che ulteriore violenza. Favoriamo l’integrazione ed evitiamo la formazione di ghetti, come le banlieue parigine; l’isolamento e la marginalità sono il terreno preferito dai reclutatori del terrore. La sconfitta dell’Isis è ovviamente una priorità assoluta. Questi assassini devono essere fermati. Per fare questo almeno seguiamo una regola base di tutte le guerre: isolare il nemico, “togliere ai pesci l’acqua dove stanno nuotando”. Ciò significa innanzitutto ripetere all’infinito che Islam e Isis non sono la stessa cosa, in questo modo evitiamo di regalare un miliardo di persone all’Isis. Questo ragionamento di buon senso non si può pretendere da un Salvini che per un voto è disposto a tutto, ma è legittimo richiederlo a tutti i mezzi d’informazione, per evitare un disastro.

Inoltre sarebbe corretto ricordarsi che in questo momento sul campo di battaglia tra i più acerrimi nemici dell’Isis ci sono i pasdaran iraniani, gli hezbollah libanesi e i guerriglieri curdi, tutte realtà islamiche, tutti gruppi che dai governi occidentali spesso sono state considerati terroristi. Ma sono loro che ogni giorno sfidano l’Isis sul campo.

Il mio non è buonismo come qualche ipocrita direbbe, ma verità e realismo necessari per battere gli assassini.

P.S.: Ormai il Giubileo c’è (non se ne sentiva proprio la necessità); sarebbe bene che il Papa invitasse i fedeli a celebrarlo a casa propria, non sempre dobbiamo per forza scegliere ciò che più ci espone ai rischi e non credo che la fede possa essere misurata da un viaggio o meno nella Città eterna.