Ormai è diventato un luogo comune parlare delle tasche degli italiani, quasi sempre a sproposito. L’espressione più usata (e abusata) soprattutto dai politici è: “non vogliamo mettere le mani nelle tasche degli italiani”. Nessuno però ci ha spiegato che cosa c’è in queste tasche, anche perché alcuni non hanno più nemmeno le tasche. Infatti, negli ultimi anni la povertà in Italia è di molto aumentata. Ma contemporaneamente all’aumento della povertà in Italia è aumentata anche la ricchezza. Se a prima vista può sembrare un paradosso, a ben guardare è quasi ovvio. A parità di risorse (e più o meno il PIL in Italia negli ultimi anni è rimasto invariato), se qualcuno è diventato più povero, c’è da aspettarsi che qualcun altro si sia arricchito. Si tratta di una redistribuzione, anche se a rovescio rispetto a quella auspicabile (almeno per chi condivide il dettato costituzionale che prescrive la solidarietà come un dovere inderogabile).
Non c’è da stupirsi se di conseguenza l’OCSE ci informa che l’Italia è il Paese europeo con il più alto tasso di disuguaglianza tra ricchi e poveri. Una delle cause principali di questa situazione di ampio divario di condizioni economiche sta nel sistema fiscale italiano, che è diventato sempre più iniquo. Basti dire che 40 anni fa le imposte sui redditi erano basate su 32 aliquote (dal 10% al 72%), mentre oggi sono soltanto 5 scaglioni (dal 23% al 43%). Tradotto in soldoni: i poveri pagano di più e i ricchi di meno, oltre al fatto di tenere in scarsa considerazione le differenze reali (ad esempio le multe automobilistiche in Italia sono fisse, mentre in altri Paesi europei si pagano in relazione al reddito) e l’effettiva capacità contributiva (perché le spese per il mantenimento della famiglia non sono deducibili?). Per tacere delle tassazioni separate, con aliquote proporzionali e senza cumulo di redditi, in cui il criterio della progressività costituzionale è palesemente “trascurato”.
Non bastando tutto ciò, l’Italia detiene il record dell’evasione fiscale, oltre a quello del debito pubblico. E le due questioni sono due facce della stessa medaglia. Se molti non versano il dovuto alla cassa comune (fisco deriva dal latino “fiscus” che significa “cesto”) la conseguenza è un debito pubblico enorme. Con il risultato che le mani in tasca agli italiani sono quelle di chi evade le tasse. Perché poi per pagare il debito ovviamente bisogna aumentare le imposte, in una giostra assurda nella quale è la spesa per gli interessi a generare altro debito.
Le tasche degli italiani hanno anche altri problemi: il debito privato. Da un lato la crisi economica e dall’altro una diffusa mentalità consumistica, hanno fatto sì che il debito delle famiglie sia in forte aumento (+ 40% negli ultimi 10 anni). Per cui siamo sempre più indebitati, collettivamente e personalmente.
Senza contare i costi della corruzione, i patrimoni delle mafie e il lavoro “nero”.
A pensarci bene stupisce che l’Italia non sia già in fallimento. Ma qui arrivano le sorprese. Le statistiche ci dicono che gli italiani sono mediamente più ricchi … dei tedeschi e comunque tra i più ricchi d’Europa e non solo. L’ultimo report della Banca d’Italia ci informa che le famiglie italiane hanno un patrimonio 8 volte superiore al reddito lordo annuo. Meglio di noi c’è la Francia con 8,1. La Gran Bretagna è al 7,4. I tedeschi si fermano a 6,4. Gli Usa sono al 5,8. Questa ricchezza degli italiani si spiega con il famoso pollo di Trilussa. La media di un pollo a testa può anche significare che c’è uno che possiede due polli e l’altro che muore di fame.
Uno studio a livello comunitario, effettuato dall’inglese Tax Research LLP, ha confermato che l’Italia detiene il record europeo dell’economia “nera”: 418 miliardi di euro ogni anno per il sommerso e 180 miliardi di euro di conseguente evasione fiscale, cioè il 27% del PIL. La ricerca inglese è particolarmente interessante, perché mette in relazione l’evasione fiscale con il debito pubblico di ciascun Paese europeo. Risultato: recuperando i soldi dell’evasione, l’Italia potrebbe annullare il debito pubblico in poco più di 10 anni, mentre alla Germania ne occorrerebbero 13, alla Gran Bretagna 18 e all’Irlanda 21. Perché in Italia il debito pubblico è altissimo, ma l’evasione non è da meno. In Germania il debito è in proporzione più basso, ma ancor più bassa è l’evasione fiscale. Detto in altre parole: se la legalità fiscale fosse attuata, l’Italia non avrebbe problemi di debito, anzi sarebbe in grado di azzerarlo abbastanza rapidamente.
In attesa che la mentalità degli italiani cambi radicalmente e che i politici approvino leggi fiscali più eque ed efficaci, nel frattempo si potrebbe comunque attuare una doverosa opera di recupero del maltolto dalle solite tasche. Non è impossibile, anzi. Basterebbe confrontare i redditi degli ultimi decenni di ciascun contribuente (il fisco italiano è già in possesso di questi dati) con il patrimonio attualmente detenuto al netto delle eredità ricevute, cioè verificare la congruenza tra guadagni dichiarati e ricchezza effettivamente posseduta. In altre parole, si potrebbe fare per tutti (par condicio) un accertamento simile a quello che la Guardia di Finanza applica ai contribuenti controllati nei classici blitz. In questo modo verrebbero allo scoperto anche i patrimoni illeciti di corrotti e mafiosi.
Ci sarà sicuramente chi griderà contro l’eccessivo controllo fiscale dello Stato verso i liberi cittadini. Ma a costoro occorre ricordare quanto dichiarò già nel 1949 Ezio Vanoni, Ministro delle Finanze del Governo De Gasperi : «Il fenomeno dell’evasione fiscale oggi si verifica su di una scala preoccupante e compromette un’equa ripartizione dei carichi tributari. In una simile situazione la pressione tributaria diviene vessatoria e veramente insopportabile per gli onesti e per le categorie dei contribuenti che non possono sfuggire all’esatta determinazione dell’imposta per motivi tecnici».
Se la parola giustizia fiscale ha un senso, bisognerebbe anzitutto recuperare i soldi dell’evasione pregressa e restituirla agli onesti. Tecnicamente si chiama “imposta patrimoniale” basata su un’aliquota personale congrua, cioè ognuno pagherebbe in relazione alla propria eventuale incongruenza fiscale rispetto al patrimonio posseduto.
Purtroppo, al momento, questa proposta delle “tasche trasparenti” non è all’ordine del giorno né del Parlamento né del Governo. In Italia continua a prevalere l’idea che ognuno si debba fare … le tasche proprie, senza comprendere che le tasche sono come i vasi comunicanti. Quello che eventualmente ci manca, è sicuramente finito nella tasche di altri, senza che ce ne accorgessimo. E quello che ci avanza potrebbe servire necessariamente ad altri. Ma di solito prevale la logica dell’io, anzi del mio. Il noi esiste solo come pronome virtuale e si dà per scontato che abbia le tasche bucate. Perché noi siamo bravissimi a bucarle.