Poco ci si sofferma sull’importanza della commemorazione, ma oggi, 29 Maggio, è la Giornata Internazionale del Peace-keeping delle Nazioni Unite, anche detta, in via istituzionale, la “Giornata delle Forze di Pace delle Nazioni Unite”, istituita, con Risoluzione 57/129, “per rendere omaggio a tutti gli uomini e le donne che hanno servito e continuano a servire nell’ambito delle operazioni di pace delle Nazioni Unite, per il loro alto livello di professionalità, di dedizione e di coraggio e, in particolare, per onorare la memoria di coloro i quali hanno perso la vita per la causa della pace”.

La data scelta è particolarmente impegnativa, sia per la sua rilevanza politica, sia per il suo valore simbolico. A poche settimane di distanza dalla data del 30 Marzo, nella quale i Palestinesi celebrano la “Giornata della Terra”, per ricordare la tragedia della occupazione e della colonizzazione israeliana della Palestina e per rivendicare il proprio diritto al ritorno e alla autodeterminazione, ricordando, in particolare, i tragici avvenimenti del 1976, quando i Palestinesi si mobilitarono per difendere il proprio diritto alla terra che sarebbe stata espropriata a favore dei coloni israeliani, il 29 Maggio, giornata internazionale del peace-keeping ONU, viene a ricordare il varo della missione internazionale, del 1948, destinata alla “Organizzazione delle Nazioni Unite dei Supervisori della Tregua” o “UNTSO”, con l’obiettivo di tutelare il piano ONU per la Palestina, travolto dalla guerra e dalla Nakbah del popolo palestinese, e di preservare una speranza di pace e convivenza. Come si vede, il destino del popolo palestinese, i diritti universali di autodeterminazione, di libertà e di non-ingerenza, in una parola di “pace con giustizia”, ed il principio del peace-keeping internazionale, in particolare di carattere civile e nonviolento, sono assai intrecciati, simbolicamente e concretamente.

Non sempre le missioni di peace-keeping delle Nazioni Unite rappresentano una storia di successo ma, senza dubbio, esse costituiscono una declinazione innovativa nei rapporti internazionali. Si tratta di una storia lunga e ricca, peraltro inedita nel sistema internazionale dei rapporti tra stati e comunità, che ha introdotto una innovazione forte nell’approccio alle controversie internazionali e nella prevenzione delle violenze belliche e che ha per la prima volta aperto la strada alla cosiddetta “diplomazia dei popoli”, vale a dire un intervento sovra-statuale e non esclusivamente militare nella prevenzione dei conflitti armati e nella soluzione politica delle controversie internazionali.

Come in tutti i processi storici, d’altro canto, si alternano, parlando di peace-keeping internazionale, catastrofici fallimenti e “success stories”: la degenerazione della missione internazionale delle Nazioni Unite in Somalia, con il passaggio dalla UNOSOM I alla UNOSOM II, nel corso del 1993, ha portato non solo ad un deterioramento della violenza ma anche ad una diffusa instabilità, le cui drammatiche conseguenze sono ancor oggi più che evidenti; l’inconsistenza della recente missione internazionale in Kosovo, la UNMIK, varata all’indomani della Guerra del Kosovo del 1999 e, per gli aspetti legati alla promozione dello stato di diritto, ora sostituita dalla missione europea EULEX, non solo non è riuscita ad impedire le ripetute violenze etniche ai danni di persone, proprietà e beni, anche di grande valore storico e culturale, della minoranza serba ad opera di estremisti albanesi, ma non è neanche riuscita a stabilizzare l’autogoverno regionale e le prescrizioni della risoluzione 1244.

E’ pur vero, d’altro canto, che l’insieme degli interventi di peace-keeping e peace-building delle Nazioni Unite rappresentano una valida alternativa alla politica di dominio delle singole potenze: come ha messo in rilievo il Worldwatch Institute, “da quando è stato inventato il peace-keeping, dopo la Seconda Guerra Mondiale, le Nazioni Unite hanno speso un ammontare di 124 miliardi di dollari per queste missioni, un importo che impallidisce in confronto anche ad un solo anno di spese militari mondiali, che hanno superato la soglia dei 1.800 miliardi di dollari. Gli eserciti del mondo non potrebbero operare neanche due giorni con il bilancio annuale del peace-keeping dell’ONU”.

Meglio delle singole missioni nazionali ad egida governativa, le missioni internazionali delle Nazioni Unite riescono a integrare funzioni civili, come l’assistenza allo svolgimento di elezioni democratiche, lo sviluppo di istituzioni democratiche, la riforma dei sistemi giudiziari, il monitoraggio dei diritti umani e la promozione del processo di pace; più delle singole missioni nazionali, esse hanno un tasso significativo di successo, in termini di conseguimento degli obiettivi istituzionali, pari al 70%. Quante missioni nazionali possono vantare delle percentuali analoghe?