“Dalla povertà al potere” è un libro che valorizza la cittadinanza attiva e la buona politica degli stati, in modo da trasformare positivamente la società (Altreconomia, euro 29, 504 pagine, 2009, http://www.altreconomia.it/site/ec_articolo_dettaglio.php?intId=75).

 

Duncan Green è il responsabile scientifico di Oxfam GB, una multinazionale laica che progetta interventi sociali e umanitari in tutto il mondo (www.oxfam.org, www.oxfamitalia.org). Nella prefazione il premio Nobel Amartya Sen afferma che “mostrandoci tutto quello che la gente comune può raggiungere grazie all’azione organizzata, questo libro genera speranza e fa meglio comprendere quel che è necessario per eliminare la povertà”.

Infatti Green propone lo sviluppo sociale attraverso la combinazione di uno stato ben motivato, di una società civile organizzata e di una cooperazione decentrata con partnership territoriali e locali. In realtà la povertà può derivare non solo dalla scarsità delle entrate economiche, ma anche dalla mancanza di una buona organizzazione dei servizi (l’acqua, l’istruzione, la sanità), e soprattutto dalla mancanza di dignità nei rapporti sociali, come nel caso della subordinazione della donna (la privazione genera impotenza e l’impotenza genera a sua volta privazione).

Quindi non è solo la crescita economica che può apportare migliori benefici alle popolazioni più svantaggiate (Amartya Sen, prefazione). Anzi, i progetti finanziari concepiti a distanza possono diventare controproducenti. Ogni intervento economico dovrebbe sempre prendere in esame le risorse latenti presenti in ogni comunità umana, però le innovazione tecnologiche possono essere di grande aiuto: “i telefonini hanno trasformato l’accesso delle persone povere alla finanza, alle informazioni di mercato e hanno trasformato le persone stesse” e la libertà di parola (p. 51).

Negli ultimi anni si sono sviluppati molti servizi innovativi nel campo delle piccole assicurazioni (sanitarie, sui beni, sulla vita, ecc.) e della “microfinanza”, di cui l’esempio più famoso è la Grameen Bank del premio Nobel per la Pace Muhammad Yunus, che ha dimostrato che prestare denaro ai poveri non è rischioso. Nel 98 per cento dei casi i prestiti vengono restituiti (p. 206).

Tra le altre cose non è vero che le popolazioni affamate desiderano il nostro cibo: in molti casi “preferiscono denaro contante, perché permette loro di prendere decisioni riguardo al modo migliore di migliorare la propria situazione: cosa e dove investire e consumare”, cioè nei mezzi di produzione e nei cibi più adatti a loro (p. 196). Purtroppo i donatori per espletare il loro “aiuto condizionato” impongono l’acquisto di beni e servizi inappropriati che possono costare fino al 30 per cento del progetto senza calcolare i costi di progettazione, implementazione e monitoraggio che possono ammontare a un buon 20 per cento dell’aiuto finanziario totale (p. 333).

Dopotutto il nocciolo della questione è la mancanza di controllo e di responsabilità sull’esito dei progetti “umanitari” che vengono calati dall’altro di asettici uffici di burocrati malamente prezzolati (William Easterly, I disastri dell’uomo bianco. Perché gli aiuti dell’Occidente al resto del mondo hanno fatto più male che bene, 2007). La cooperazione può diventare un grande business per far guadagnare molte aziende intrallazzate con i vari politici occidentali. Del resto l’eccessiva disuguaglianza sociale ed economica favorisce l’insorgenza di pericolosi conflitti civili, e “una soluzione negoziata incompleta può ridurre la sofferenza umana temporaneamente, ma può condannare un paese ad una instabilità prolungata” come è avvenuto in Kosovo (p. 96).

Inoltre, se le donne sono escluse dai lavori di alto livello, metà del talento umano è sprecato. Se la banche si rifiutato di prestare denaro a persone capaci e povere, vengono sprecate delle opportunità economiche. E una madre povera può compromettere la vita di tutti i suoi figli (p. 6).

Anche “la proprietà distorta della terra è un portatore chiave di disuguaglianza: le donne coltivano tra il 60 e l’80 per cento del cibo prodotto nella maggior parte dei paesi in via di sviluppo, ma possiedono meno del 2 per cento della terra” (p. 71). Oppure può accadere come in Messico, dove “la sostituzione di terre di proprietà collettiva con terreni individuali ha portato ad un processo di concentrazione della terra. Così “lo smantellamento di regimi basati sulla proprietà comune è spesso un mezzo legale per cacciare le persone e potere accedere al taglio degli alberi, alle miniere o ad altre risorse” (p. 70).

C’è poi da aggiungere che “la storia ci insegna che la liberalizzazione del commercio dovrebbe essere asimmetrica: i paesi ricchi dovrebbero liberalizzare di più di quelli poveri, non come “concessione”, ma come riconoscimento del fatto che i regimi commerciali ottimali evolvono con le economie nazionali… l’equilibrio corretto tra liberalizzazione e protezione varia da paese a paese” (p. 173). In ogni caso l’effetto dell’esempio “di vedere una fabbrica rivale conseguire un vantaggio attraverso la promozione di pratiche migliori può essere molto più efficace per convincere i leader economici a comportarsi nello stesso modo di qualsiasi documento di ricerca o di qualsiasi campagna” sociale (p. 153).

Comunque, secondo l’ONU, 300 miliardi di dollari all’anno solleverebbero tutte le persone del pianeta dalla soglia dell’estrema povertà di un dollaro al giorno. Questo ammontare equivale solo a un terzo della spesa militare globale annuale” (p. 7). Quindi l’ONU potrebbe imporre una tassa internazionale a tutte le nazioni del pianeta e ricavare circa il 20 per cento da tutti gli investimenti in beni e infrastrutture militari dei diversi paesi. L’investimento di questi soldi nella crescita reale dell’economia civile diventerebbe un fattore di crescita per i più ricchi e per i più poveri.

Invece “in molti conflitti attuali, la guerra è diventata un business economicamente vantaggioso che le élite politiche e militari vorrebbero portare avanti il più a lungo possibile. È la cosiddetta “economia politica della guerra”, un sistema che serve ai propri interessi e si autoalimenta e che in molti casi ha sostituito la tradizionale ricerca della vittoria militare… Al fondo della catena, la guerra offre a uomini giovani adrenalina, potere e reddito, mentre distrugge l’economia reale” (p. 258).

Per quanto riguarda gli stati bisogna precisare che non si tratta di entità così granitiche e assolute, ma che tendono ad assomigliare sempre di più alle banche, “che stanno in edifici sfarzosi per creare un’illusione di solidità e per ottenere la fiducia dei clienti, dato che senza queste due cose sono straordinariamente fragili. L’equivalente politico di un assalto agli sportelli bancari, l’incredibile collasso degli stati comunisti nell’Europa dell’est dei primi anni novanta, dimostra che cosa succede quando si perde la legittimità. Per gestire in modo pacifico i conflitti all’interno della società, gli stati hanno bisogno anche del sostegno dei cittadini più potenti, come i leader economici, etnici e religiosi” (p. 90), e anche dell’appoggio dei media e dell’opinione pubblica.

Quindi la pubblicazione di Green offre una panoramica a 360 gradi dello sviluppo economico e civile di molte nazioni del pianeta e rappresenta un preziosissimo manuale per tutti gli studenti e gli operatori che si occupano di cooperazione internazionale, poiché vengono citati molti progetti sociali attuati in vari paesi e regioni di tutti i continenti. Ad esempio una donna pakistana ha affermato: “Prima che si formasse l’organizzazione, non sapevamo niente ed eravamo completamente ignoranti. L’organizzazione ci ha infuso una nuova anima” (donna pakistana). Nel libro c’è anche la drammatica testimonianza di una donna afgana: “Gli uomini armati hanno rubato le terre della gente, le loro case, i loro figli e hanno obbligato le figlie a sposarli. Hanno preso il sangue del paese” (donna afghana).

In conclusione questo libro racconta una società civile che si ritrova ad operare in un pianeta sempre più affollato e depredato. E la messa al bando delle mine antiuomo a livello mondiale, la campagna per l’affermazione per i diritti delle donne in Marocco con l’istituzione del nuovo Codice della Famiglia islamico (p. 64) e la rivolta contro la privatizzazione dell’acqua in Bolivia (p. 31), sono alcuni dei successi più importanti da segnalare. Un gruppo di cittadini impegnati può cambiare il mondo e in effetti è l’unico modo in cui il mondo è cambiato finora (Margaret Mead).

 

Per approfondimenti: http://policy-practice.oxfam.org.uk/our-people/research/duncan-green.

Per approfondimenti video: https://www.youtube.com/watch?v=P_1qndFXrNY (ottobre 2013); https://vimeo.com/109806915 (ottobre 2014, 7 minuti).

Per approfondimenti con l’autore: https://twitter.com/fp2p.

 

Note finali – 1)“Possiamo implorare disperatamente perché il tempo si fermi mentre passa, ma il tempo è sordo a ogni supplica e va avanti velocemente. Sulle ossa sbiancate e sui resti disordinati di molte civiltà stanno scritte le tristi parole: troppo tardi” (Martin Luther King); 2) “L’unica strada è che l’Africa guidi il proprio autobus e che l’autista e i passeggeri siano completamente d’accordo sulla direzione di marcia. Ciò detto, abbiamo bisogno di aiuto per riempire il serbatoio” (ex ministro delle Finanze eritreo, p. 348); 3) La prima causa di morte nel mondo è il tabacco a cui seguono la denutrizione, l’obesità (!) e l’inquinamento (Tabella a p. 192).

Appendice aforistica: “Le entrate sono la preoccupazione principale dello stato. Anzi, sono lo stato” (Edmund Burke); “Le leggi sono sempre utili a coloro che possiedono e dannose a coloro che non hanno niente” (Rousseau); “La guerra ha fatto lo stato e lo stato ha fatto la guerra” (Charles Tilly); “Il modo migliore per avere buone idee è avere un sacco di idee e poi scartare quelle cattive” (Linus Pauling, premio Nobel); “I ricchi possono recuperare le perdite in un anno, ma i poveri, che non hanno denaro, non le recupereranno mai” (uomo vietnamita); “Non è facile costruire una cultura delle prevenzione. I suoi costi devono essere pagati ora, mentre i benefici saranno futuri” (Kofi Annan); “La conoscenza è potere” (Francis Bacon); Se dai un pesce a un uomo lo nutri per un giorno, se lo aiuti a pescare mangerà per tutta la vita (se le acque non vengono inquinate o i pesci esauriti dalle famiglie sempre più numerose dei pescatori); “La forza di una persona con una convinzione è uguale a quella di 99 persone che hanno solo interessi” (John Stuart Mill); Nulla è permanente tranne il cambiamento (Eraclito); “Il male più grande e il peggiore dei crimini è la povertà” (George Bernard Shaw); “Una società di pecore alla lunga genera un governo di lupi” (Bertrand de Jouvenel, filosofo francese); “Il progresso tecnologico è come un’ascia nelle mani di un criminale patologico” (Albert Einstein).