All’inizio di aprile Survival International ha dato voce alle proteste degli Indiani amazzonici del Venezuela che hanno criticato duramente gli abusi e l’inerzia dell’esercito nel contrastare l’estrazione illegale di oro e diamanti dal loro territorio. Sebbene la Costituzione venezuelana riconosca il diritto dei popoli indigeni alla terra ancestrale, sono davvero pochi coloro che hanno ottenuto il diritto di proprietà collettiva sul loro territorio e i militari sono stati accusati dagli Indiani di alimentare un “clima di terrore e paura” e di “umiliare e deridere” la popolazione. Secondo Survival, che dal 1969 difende i popoli indigeni proprio in seguito allo sgomento generato del genocidio degli Indiani amazzonici raccontato in un articolo del grande giornalista Norman Lewis, “alcuni ufficiali sono personalmente coinvolti nel commercio illegale d’oro, poiché noleggiano ai minatori le attrezzature necessarie per l’estrazione e controllano l’accesso alle miniere illegali”.

Anche Kuyujani, un’organizzazione che rappresenta le tribù Yekuana e Sanema che vivono lungo il fiume Caura in Venezuela è preoccupata per la condizione delle popolazioni ed ha presentato un reclamo al Pubblico Ministero proprio per denunciare la complicità e l’inerzia dell’esercito nel contrastare il dilagante sfruttamento minerario illegale. La presenza degli accampamenti dei minatori ha esposto i giovani Indiani all’alcolismo, alla droga e alla prostituzione e, come se non bastasse, secondo Kuyujani, le attività estrattive hanno devastato la salute degli Indiani. Il mercurio ha contaminato il fiume Caura, ed è entrato nella catena alimentare e nell’acqua degli Indiani tanto che nel 2013 un team di ricercatori ha rilevato che il 92% delle donne indigene che vivono lungo il fiume hanno livelli di mercurio nel sangue superiori al limite accettato a livello internazionale, e che un terzo delle donne corre il rischio di dare alla luce bambini con malattie neurologiche.

Ma quello venezuelano non è un caso isolato. Almeno sei Indiani colombiani sono stati uccisi il 16 aprile scorso nei pressi delle loro case, nella comunità di Agua Bonita e Agua Clara, nella provincia di Cacua. Anche qui la regione è una zona calda per l’attività estrattiva e questo ha portato ancora più violenza tra i popoli indigeni locali, molti dei quali ancora resistono alla distruzione delle loro terre ancestrali. Secondo l’Organizzazione degli indigeni di Cauca (Acin), “due gruppi paramilitari: i Black Eagles della valle del Cauca e i commandos urbani Rastrojos, hanno inviato minacce di morte alle comunità che si oppone alle miniere”. Per il momento gli esecutori degli omicidi restano sconosciuti, ma anche quando non sono gli obiettivi delle aggressioni, ha ricordato Survival, “I popoli indigeni di Cauca sono tra i più colpiti dal conflitto interno in Colombia” tanto che numerosi leader indigeni “sono stati uccisi dal fuoco incrociato tra l’esercito, i guerriglieri ribelli delle FARC e i paramilitari”. La situazione per l’Acin ha per questo assunto i contorni di una vera e propria “crisi umanitaria”.

Quello delle risorse predate dalle terre indigene e agli Indiani è un problema anche al Brasile dove in occasione della Giornata nazionale dell’Indio, che in Brasile si è celebrata lo scorso 19 aprile, 1.500 Indiani provenienti da 200 tribù diverse hanno protestato per giorni nella capitale del paese contro l’attacco ai loro diritti da parte del Congresso brasiliano. “Gli Indiani sono furiosi a causa di una proposta di modifica costituzionale che vorrebbe assegnare al Congresso il potere di decidere della demarcazione (o mappatura) dei territori indigeni” ha spiegato Survival. Questa responsabilità, al momento, è in mano al Dipartimento brasiliano agli Affari Indigeni (Funai) e se dovesse essere approvata, “la proposta causerà verosimilmente enormi ritardi nel riconoscimento delle terre indigene, le dimensioni di molti territori indiani verranno probabilmente ridotte, e quasi certamente aumenteranno gli scontri violenti per la terra”. Ne è un esempio l’uccisione di Eusébio, leader degli indios Ka’apor dell’Alto Turiaçu che lottava contro la deforestazione dell’Amazzonia nello Stato brasiliano del Maranhão. È stato assassinato il 26 aprile scorso con colpi sparati nella schiena da due uomini incappucciati a bordo di un moto. “Non è la prima volta che i Ka’apor denunciano di aver ricevuto minacce dalle imprese responsabili della deforestazione”, ha detto in una nota Greenpeace, rilevando che almeno “dal 2008 i Ka’apor chiedono interventi contro il taglio illegale, ma sono state condotte solo sporadiche operazioni e non appena gli ispettori se ne sono andati l’attività criminale è ripresa”.

“Dietro a questo ultimo attacco ai diritti degli Indiani c’è un potente gruppo di politici anti-indigeni legati al potente mercato agricolo, del legno illegale, estrattivo e idro-elettrico” ha spiegato Lindomar Ferreira, indigena coordinatrice dell’Associazione dei Popoli Indigeni del Brasile (Apib). Ma non tutto è perduto. In attesa di questa riforma costituzionale alcune recenti sentenze, infatti, hanno revocato e sospeso le ingiunzioni di sfratto di tre comunità Guarani, che possono così finalmente sperare di restare nella loro terra ancestrale. Le tre comunità, che vivono nello stato del Mato Grosso do Sul (Kurusu Mba, Passo Piraju e Pacurity) avevano rioccupato piccole porzioni dei loro territori ancestrali finiti sotto il controllo degli allevatori di bestiame. La Corte Suprema Federale ha stabilito che la comunità di Kurusu Mba non deve essere sfrattata perché quella terra potrebbe essere un giorno riconosciuta ufficialmente come territorio indigeno. L’ordine di sfratto della comunità di Paso Piraju è stata invece revocata perché l’area è oggetto di una disputa. Infine, un giudice ha sospeso l’ingiunzione che pendeva sulla comunità di Pacurity invocando il rischio di conflitti e il fatto che, in caso di sfratto, la comunità soffrirebbe problemi di sicurezza e di approvvigionamento idrico.

“Gli allevatori attualmente assoldano regolarmente milizie private per pattugliare le loro tenute e usano le ingiunzioni di sfratto per perseguitare e intimidire gli Indiani” ha conclusoSurvival. I diversi governi che si sono susseguiti in Brasile negli anni non sono stati  in grado di risolvere il grave conflitto territoriale del Mato Grosso do Sul tanto che a causa della massiccia perdita della loro terra, “i Guarani soffrono di malnutrizione, violenze, minacce di morte e di uno dei tassi di suicidi più alti al mondo“. Tuttavia per il momento la Corte Suprema Federale ha voluto difendere e ribadire i diritti dei popoli indigeni sulle loro terre ancestrali, come ben ci ricorda anche la Convenzione 169 dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (Ilo) sui diritti dei popoli indigeni e tribali, adottata ormai nel lontano 1989, ma sempre drammaticamente attuale.

 

Alessandro Graziadei