Pubblichiamo il testo dell’intervista a Ignacio Ramonet, realizzata a Quito, in Ecuador nell’ambito del Forum di comunicazione per l’integrazione di Nuestramerica.

La discussione su Internet

È una problematica nuova rispetto alla predominanza dei media che è qualcosa che cominciamo a riconoscere e che ormai stavamo già studiando da qualche tempo. Ciò che emerge ora è la relazione con i social network, come Twitter, Facebook, ecc. Questi da un lato ci hanno dato un margine di libertà importante, ci hanno permesso di essere indipendenti, di emanciparci dal rapporto con i grandi mezzi di comunicazione di massa. O almeno abbiamo questa illusione. Inoltre, hanno promosso la nascita di una democratizzazione mediatica, nella misura in cui adesso ogni cittadino, ogni cittadina ha la possibilità di interagire, e non solo essere passivo di fronte ai grandi media tradizionali.

Tuttavia sta sorgendo adesso un nuovo problema, in quanto, se uso le reti sociali, contribuisco al consolidamento, al rafforzamento, all’arricchimento di un settore che è oggi l’equivalente di ciò che erano i grandi gruppi mediatici negli anni ottanta, novanta, duemila. Ad esempio, quanto più utilizzo Facebook, e quanto più numerosi sono coloro che utilizzano Facebook, tanto più questa azienda vede salire la propria quotazione alla borsa di New York. D’altra parte, tutte le grandi aziende di Internet sono aziende statunitensi. In fondo, mi confronto con un’impresa localizzata, il rapporto continua ad essere uno di dipendenza totale, più di quello che potrebbe essere rispetto ad un mezzo di comunicazione dominante, non so, ecuadoriano, se io sono ecuadoriano o brasiliano, se sono brasiliano. Per fare un esempio, un brasiliano dipende da Rede Globo per l’informazione. Bene, può liberarsi di questa dipendenza grazie all’uso di Twitter, ma ora dipende da Twitter, e Twitter è americano, non certo brasiliano.

Sappiamo inoltre (attraverso le rivelazioni di importanti vigilanti dell’informazione come Julian Assange o Edward Snowden) che quanto più usiamo queste aziende, quanto più ricorriamo, ad esempio, a Facebook, tanto più forniamo loro informazioni su noi stessi. E cosa fanno queste aziende con queste informazioni? Le vendono. Le vendono a imprese commerciali che poi ci propongono l’acquisto dei loro prodotti, vestiti, scarpe, automobili, libri, vacanze, e così via. Ma anche, molto semplicemente, [le vendono] al Dipartimento di Stato, in modo che questi sappia cosa pensiamo, cosa leggiamo, come reagiamo di fronte a un certo tipo di idee politiche, di ideologie, di religioni… Oppure, ancor peggio, passano le informazioni all’Agenzia di spionaggio americana, per dire, cioè la NSA, l’Agenzia di sicurezza nazionale, come Snowden ha dimostrato a proposito del sistema PRISM, un sistema che raccoglie ogni tipo di informazioni: quando si parla al telefono, quando scriviamo messaggi sul nostro computer, quando ci scambiamo messaggi con WhatsApp, quando inviamo foto via Instagram, e così via.

Dunque, rispetto alla dipendenza dai grandi gruppi dell’industria culturale negli anni settanta, dai grandi gruppi dei mass media negli anni novanta, contro cui avevamo lottato, abbiamo da un lato guadagnato libertà, perché ora siamo noi stessi i produttori mentre prima eravamo solo consumatori, ma allo stesso tempo, mentre produciamo stiamo vendendo noi stessi a quelli che ora ci possono controllare molto meglio in quanto ci spiano e ci sorvegliano. Quindi, una riflessione, almeno su questo problema, si impone.

Gruppi mediatici tradizionali e Internet come “comunicazione di massa”

Le masse stanno scomparendo. Noi lavoriamo sulla base di un concetto che è quello di mass media, di grandi mezzi di comunicazione di massa. Ma poi, nella realtà, sempre più spesso questa espressione definisce qualcosa che non esiste più. Non ci sono più mezzi di comunicazione realmente di massa. Non esiste nessun canale televisivo negli Stati Uniti che possa attirare in qualsiasi momento, per dire, 30 milioni di persone, in un paese di 250 milioni di abitanti. Naturalmente, un gruppo di canali potrebbe riuscirci, ma non un unico canale. Ossia, la massa sta scomparendo, sta diventando sempre più impalpabile. Le masse scompaiono dai media in quanto questi vanno diventando sempre più individualistici, così come consumo e produzione di informazione diventano sempre più individualistici. Tanto per fare un esempio: il presidente Obama, nella sua seconda campagna elettorale, non ha concesso interviste a nessuna stazione televisiva. Ha rilasciato, sì, interviste ad alcuni giornali, ma sappiamo che i giornali non sono più giornali di massa. Il Washington Post o il New York Times hanno ora qualche centinaio di migliaia di lettori. Il Washington Post è stato acquistato da Jeff Bezos di Amazon per una cifra simbolica. I giornali stanno perdendo il proprio pubblico in modo massiccio. E cosa ha fatto Obama? Ciò che ha fatto è stato comunicare tramite Twitter, perché ha 47 milioni di seguaci su Twitter, e non c’è oggi nessun canale televisivo in grado, negli Stati Uniti, di riunire tutti in una volta 47 milioni di telespettatori.

Questo, naturalmente, ci impone di ripensare il rapporto con le masse, giusto? E questa scomparsa delle masse fa sì che quando parliamo di social network, ad esempio, dobbiamo riconoscere che le masse scompaiono in quanto la rete sociale si rivolge solo ai miei amici, qualche migliaio in tutto. Questo, tuttavia, non impedisce che ognuno di quegli amici/amiche faccia rimbalzare le informazioni fino a che, alla fin fine, abbiamo raggiunto la massa.

Nelle reti sociali, i cosiddetti social network, il meccanismo effettivamente è più quello da persona a persona che non da un punto alla massa. Cosa succede in realtà è che quelle persone, in principio isolate, ad un certo punto si riuniscono. È quello che io chiamo “la logica dello sciame”; ovvero l’apparizione saltuaria della massa. Così come, di solito, si vedono api o vespe che vanno solitarie di fiore in fiore, per poi, occasionalmente, raccogliersi a formare uno sciame: lo sciame si trasforma allora in un pericoloso animale selvatico che può ucciderti, cosa che invece una singola vespa non può fare. È questo fenomeno, la “logica dello sciame “, a permetterci, oggi, attraverso i social network, di riunire centinaia di migliaia di persone, convocarle per qualcosa di preciso. Anche se tra loro non si conoscono, anche se non c’è un leader, senza un programma, si ritrovano tuttavia nella stessa piazza per protestare contro qualcosa, una dittatura, per esempio. Questo è il meccanismo alla base di ciò che è stato chiamato Primavera araba, o le proteste degli Indignatos, Occupy Wall Street o le “rivoluzioni di colore”.

Le possibilità di un decentramento

Allora, cosa vediamo? Vediamo che i grandi media nei paesi sviluppati hanno sempre maggior difficoltà a presentare bilanci in equilibrio. Prendiamo l’informazione della carta stampata: non c’è oggi,  in tutto il mondo, un solo giornale della carta stampata che faccia profitti. La norma è andare in perdita; la norma è licenziare i lavoratori (compresi i giornalisti); la norma è quella di ridurre le pagine: uno scivolo che porta alla chiusura dei giornali. Al momento centinaia (se non migliaia) di giornali hanno già chiuso, o esistono solo su Internet (online), avendo eliminato la versione cartacea. Questa è la logica. Ora, quella stessa logica è arrivata alla televisione. La televisione sta perdendo il pubblico di massa. Man mano che perde pubblico di massa, diminuisce la pubblicità. Con meno pubblicità, ci sono meno risorse; ed essendoci meno risorse, ovviamente, le trasmissioni sono di minore qualità. Si vedono così emergere entità nuove, diverse. Ad esempio, abbiamo produttori televisivi o cinematografici che fino ad ora erano solo noleggiatori di video, come Netflix. Bene, hanno smaterializzato i video, che adesso si possono o affittar tramite il computer o il proprio televisore, e Netflix è diventato un produttore così importante che ora produce spettacoli TV (tutti conoscono House of Cards).

Da ciò vediamo dunque che nuove figure arrivano alla TV, mentre i grandi gruppi si vanno smantellando. Cosa sta avvenendo? Questi gruppi non scompaiono. Vengono comprati da gente che, evidentemente, non li compra per fare soldi, che era la logica che dominava questi gruppi, la logica più importante. Poteva esserci anche un’altra logica, certo, ma la più importante era la logica del guadagno, quella di Rupert Murdock, per dire, proprietario del più importante conglomerato mediatico del mondo, il proprietario del canale televisivo Fox negli Stati Uniti, il proprietario del Wall Street Journal, ecc. Allora, quella logica basata su, “quanti più giornali ho, quante più radio posseggo, quante più televisioni posseggo, quante più case editrici, quante più squadre di calcio o di baseball, quanti villaggi di intrattenimento ecc., tanti più soldi guadagnerò”, questa logica sta scomparendo perché non si fanno più profitti con i media, con qualche eccezione. E con i libri ancor meno.

Allora, chi li compra? Questo è interessante: a comprare queste testate sono i magnati di Internet, quelli che stanno facendo soldi con Facebook, con WhatsApp, con Amazon, con Apple. Lo fanno per il profitto? No. Perché il profitto viene loro da quelle imprese su Internet. Lo fanno solo per avere influenza. Poiché avere influenza è un ulteriore lusso ricercato da un oligarca ellìeconomia oggi. Un oligarca vuole possedere tanto denaro, ma vuole anche avere influenza per negoziare con i leader politici, per negoziare con i propri partner economici, con altre aziende, e così via. E, al momento, possedere un mezzo di comunicazione è, come dire, come uno status symbol, come un titolo universitario. In realtà, tutti sanno che i docenti universitari guadagnano molto poco, hanno salari molto bassi. Per non parlare della pensione. Quindi, si guadagna molto poco. E tuttavia, dire “Io sono un laureato”, fa ancora colpo su alcune persone.

Non è un lusso di poco conto. In realtà, dire “sono il proprietario del Washington Post”, questo altroché se fa colpo, anche se è un giornale che praticamente non si vende, che ogni giorno vende meno, che non può permettersi buoni giornalisti per mancanza di risorse, che sopravvive sul proprio passato, sulla propria leggenda. Ovviamente, perché si pensa al Washington Post che ha fatto cadere Nixon, al Washington Post dello scandalo Watergate, giusto? Ma oggi il Washington Post è un quotidiano quasi locale, ha pochissima influenza internazionale. E arriviamo al punto per quanto riguarda la domanda: sì, i gruppi si stanno sgretolando e purtroppo cadono nelle mani degli oligarchi finanziari ed economici. Tutte le grandi testate della stampa francese (Io vivo a Parigi) la stampa parigina in particolare, appartengono a questi oligarchi. Possono anche essere ben intenzionati, non tutti gli oligarchi sono per definizione malintenzionati, magari intendono fare una buona informazione. Alcuni possono persino credere in alcune delle cose in cui crediamo noi: che non può esserci buona democrazia se non c’è una buona informazione, una buona stampa, e che una buona informazione è una dimensione fondamentale della democrazia, perché è ciò che permette ai cittadini di avere elementi di discussione, e non solo sentimenti o emozioni di cui parlare, di poter discutere sulla base di fatti. Da dove provengono ai cittadini i fatti? Essenzialmente, dai mezzi di comunicazione. I media sono quelli che producono i fatti. Se i fatti sono falsi, falsificati, nascosti, il dibattito è falsificato. E quindi, tutti abbiamo bisogno di una pluralità di media in democrazia, media che siano vitali, affidabili, che ci forniscano fatti e non tante opinioni (che come sapete, è molto facile costruire), fatti in base ai quali ognuno può decidere in funzione di ciò che sente, crede, pensa…

La guerra mediatica contro il progressismo in America Latina

La guerra dei media è relativamente antica, ma negli ultimi quindici anni è andata esacerbandosi contro i governi progressisti. Ad esempio, Cuba subisce tale guerra mediatica da oltre 50 anni. Le autorità cubane hanno dovuto saper rispondere, imparando a sviluppare una controffensiva per imporre la verità di fronte alle innumerevoli manipolazioni rivolte, in particolare, contro le politiche condotte dai diversi governi cubani rivoluzionari. Tra queste controffensive, c’è la creazione di Prensa Latina. Allo stesso modo, negli ultimi quindici anni, cosa è avvenuto in America Latina in termini di controffensiva contro questa guerra mediatica? Bene, c’è stata, ad esempio, la nascita di TeleSUR, che è molto importante. Non c’era in precedenza nessun canale di informazione né di diffusione della cultura latino-americana che fornisse agli americani un punto di vista latinoamericano proposto da latino-americani. Essenzialmente, il discorso latino-americano. In America latina erano i canali americani, tra cui la CNN, a detenere questo monopolio. Poi c’è stato l’avvento di un gruppo di paesi riformatori latino-americani.

Questi hanno a loro volta sviluppato quelli che potrebbero essere chiamati mezzi di informazione pubblici. In pratica, la televisione pubblica. Dove non c’erano, sono stati creati, mentre dove già erano presenti, sono state assegnate loro maggiori risorse per potenziarli. Si sono sviluppate anche radio comunitarie, per le quali si sono trovate risorse. In altre parole, i governi riformatori sono partiti dal principio che, effettivamente, bisognava creare una democrazia dell’informazione lì dove c’era un monopolio di privati, e che per di più questi mezzi privati erano ideologicamente impegnati in una sorta di crociata conservatrice contro i governi progressisti. Oggi, e su questo stiamo cercando di riflettere, le reti sociali svolgono un ruolo fondamentale, sono in grado di mobilitare la società. A volte lo fanno in modo tale che sembra, diciamo così, un passatempo tra amici: “Andiamo in piazza a protestare”. Ha in sé qualcosa di festante, di allegro, e anche qualcosa di inoffensivo, che è lo scopo di questa manipolazione. Tutto questo è stato molto progettato, molto meditato.

Io dico ai nostri amici, alle nostre amiche che ci ascoltano che è necessario conoscere questa strategia, perché è perfettamente definita con lo scopo di logorare i governi latinoamericani. C’è un libro di un pensatore americano, Gene Sharp, intitolato “Dalla dittatura alla democrazia”, nel quale per l’appunto si sviluppano queste strategie come tecniche di disobbedienza, tecniche di manifestazioni di piazza apparentemente pacifiche, che è quello che è stato utilizzato ultimamente, in particolare, contro il governo del presidente Maduro (immediatamente dopo la sua elezione), ciò che sta avvenendo ora in Brasile contro il presidente Dilma Rousseff (immediatamente dopo la sua elezione),quello che è stato fatto anche in Argentina e in diversi paesi. 

Allora, oggi, così come i governi avevano a suo tempo reagito creando canali televisivi latino-americani come TeleSUR, incoraggiando anche i media pubblici, radio e televisione e persino giornali, come per esempio in Ecuador, adesso, bisogna sviluppare le reti sociali. Le reti sono popolari, e la gente è sociologicamente dalla parte dei governi progressisti, perché se così non fosse, questi vincerebbero le elezioni, come hanno fatto negli ultimi sedici anni. Di conseguenza, qual è l’obiettivo? L’obiettivo delle forze conservatrici latino-americane o internazionali è, non potendo vincere le elezioni, fingersi democratici, cercare di trovare mezzi, sistemi, modi di indebolire o sconfiggere questi governi. Uno di questi metodi è oggi proprio questo tipo di attacco sotto forma di sciame velenoso, di sciame pericoloso contro questi governi. Bisogna, semplicemente, armare il popolo con i social network, con gli argomenti delle reti sociali e scatenare una controffensiva proprio sui social network, visto che, in realtà, questi governi stanno portando avanti politiche molto generose, politiche di pace, di democrazia, di giustizia sociale, in altre parole stanno difendendo valori che potrebbero essere chiamati gandiani; sono valori oggi difesi dalla Chiesa cattolica, da Papa Francesco; valori molto positivi, molto costruttivi, molto umanistici. E questi valori, vale la pena di difenderli, evidentemente.

La sostenibilità dei nuovi paradigmi della regione e cosa fare perché il consumismo non seduca la popolazione

Bisogna tener presente che qui entra in gioco anche la creatività, la capacità di elaborare discorsi che possano galvanizzare gli altri. Se l’opposizione produce un discorso che seduce più di quello del governo, a quel punto, cosa possiamo fare… abbiamo perso. Bisogna essere migliori, semplicemente essere più creativi e costruttivi, dobbiamo avere maggior immaginazione, e così via. Questo da un lato. È il libero gioco del dibattito democratico. D’altra parte bisogna anche partire dal presupposto che un importante cambiamento sociologico è in atto in America Latina. Un grande cambiamento sociologico, in che senso? Quindici anni di governi progressisti, quindici anni di governi dell’inclusione sociale, quindici anni di più posti di lavoro, più salute, più formazione, più opportunità, più libertà e più democrazia, certamente modificano i parametri sociologici della società. Si stima che in America Latina, nei paesi progressisti di cui stiamo parlando (Venezuela, Brasile, Ecuador, Bolivia, Uruguay, Argentina), cinquanta milioni di latinoamericani siano usciti dalla povertà, cinquanta milioni! Cinquanta milioni equivalgono a più dell’intera popolazione del Venezuela, della popolazione dell’Ecuador, o della Bolivia, o dell’Uruguay, dell’Argentina. Cinquanta milioni è l’equivalente della popolazione di un grande paese dell’America Latina! Dicevamo, cinquanta milioni di persone sono state tolte dalla povertà. È ovvio che queste persone siano molto grate ai governi progressisti, ma ora hanno altre aspirazioni per sé e per i propri figli: università, casa, svago, comfort, qualità di vita (non solo la quantità ma la qualità), ecc.

Quindi, se i governi continuano a rivolgersi al paese come se fosse lo stesso di quindici anni fa, è ovvio che sbagliano. Questo è il problema. Bisogna andare avanti su due binari. Da un lato, ovviamente, bisogna continuare a fare in modo da far uscire tutti coloro che sono in grande miseria da tale situazione, una situazione inumana, visto che questi governi sono essenzialmente pervasi da un grande umanesimo; e dall’altro aiutare le classi medio-basse, che non avrebbero alcun motivo di ascoltare il canto delle sirene della destra, che ovviamente non apporta loro alcun tipo di soluzione: li utilizza come carne da cannone per vincere le elezioni, per poi tradirli subito dopo. Questo è ciò che bisogna cercare di fare, da una parte i governi devono prendere in considerazione queste nuove classi sociali che essi stessi hanno creato; e dall’altro lato, evidentemente, dal punto di vista della comunicazione, devono trovare un canale comunicativo per l’integrazione di queste persone. L’inclusione è anche l’inclusione delle classi medie.

La SIP-Sociedad Interamericana de Prensa

Bisogna sapere che questa Società Interamericana di stampa è in realtà una corporazione di proprietari, sono i padroni dei media. Essi stessi un oligopolio, sono a capo degli oligopoli. Ci possono essere delle eccezioni, ma nella stragrande maggioranza si tratta di padroni dei grandi gruppi di comunicazione dell’America latina che, storicamente, sono stati legati a oligarchie latinoamericane, a potenze economiche e a poteri, in alcuni casi, dittatoriali, a seconda dei periodi in America Latina. Questi padroni sono stati complici, in molti casi, delle peggiori dittature in America Latina, complici nelle persecuzioni, al punto che alcuni giornali di loro proprietà pubblicavano foto di militanti, giovani, appartenenti ai partiti democratici che combattevano per la democrazia e che venivano perseguitati come terroristi dai regimi autoritari, in particolare nell’ambito della spaventosa, terrificante Operazione Condor.

Dunque, questi proprietari, che ancora oggi sono organizzati e che ancora non sono stati condannati, come avrebbero dovuto essere, per complicità in genocidio e in crimini contro l’umanità, (pensiamo alle massicce in sparizioni in Argentina, le repressioni in Guatemala, in Salvador, Colombia, ecc), tutti questi padroni, che oggi vedono la propria sfera di influenza ridotta nella misura in cui sono sorti ciò che noi chiamiamo mezzi di comunicazione pubblici, esistono in tutti i paesi del mondo alla stessa maniera. Il primo tipo di oligopolio sarebbe da addebitare al Regno Unito, con l’esempio della BBC, o alla Francia con l’oligopolio formato dai canali della televisione di stato, che sono cinque se non sei. Un oligopolio, con decine di radio appartenenti allo stato francese, e stiamo parlando di una grande democrazia.

I proprietari del SIP, o meglio una parte di loro, (dico bene, alcuni magari non lo sono stati), ma parte di essi sono stati complici in una delle peggiori dittature che abbia avuto luogo in America Latina, e ora hanno anche la sfrontatezza di lanciare accuse assolutamente ridicole e dietro alle quali non potranno certo nascondere le proprie responsabilità. Io penso che un giorno dovranno renderne conto davanti alla giustizia. Non si tratta né di vendetta né di odio, è solo questione di giustizia, di fronte al fatto incontestabile di tante famiglie che ancora piangono la perdita di loro famigliari che erano stati segnalati dai giornali i cui proprietari sono raggruppati nel SIP.

C’è o non c’è una rivoluzione multimediale e simbolica nei paesi con governi progressisti

Questo è un tema molto originale e una domanda molto pertinente, perché mentre non c’è dubbio che, come ho già sottolineato, vi siano stati progressi enormi nel campo dello sviluppo dei mezzi di informazione pubblici e comunitari, sicuramente la questione della narrazione, dell’estetica, la questione di quale altro tipo di informazione si possa fare, è molto più difficile da immaginare. Io penso che la maggior inventiva in materia sia avvenuta nel campo dell’informazione di comunità. Questo perché le televisioni e le radio comunitarie hanno, prima di tutto, una maggiore vicinanza al territorio, e hanno poi una maggiore capacità di smuovere ciò che potremmo chiamare il tradizionale palinsesto della televisione o dei media in generale. Sicuramente, c’è stata questa rivoluzione estetica, ma non c’è dubbio che ci siano stati progressi in tutte le aree. Nel campo cinematografico, ad esempio, è interessante notare che quest’anno, tra i finalisti per l’Oscar al miglior film e i semi-finalisti per il miglior film straniero figuravano rispettivamente un film venezuelano, “Bolívar”, e uno argentino (che ha avuto abbastanza successo tra i film argentini) intitolato “Storie selvagge”: un fatto piuttosto eccezionale. L’America latina sta producendo valori artistici, specie nei paesi progressisti, tanto in Argentina quanto in Venezuela (senza dimenticare che, benché il film vincitore dell’Oscar, “Birdman”, sia un film americano, il regista è messicano, González Iñárritu). I progressi, quindi, ci sono.

Direi, d’altra parte, cosa che già avevamo notato, che se consideriamo che queste rivoluzioni sono in corso in America Latina da ormai una quindicina d’anni, manca però una narrazione che ne sia all’altezza (a mio parere, e ovviamente non conosco tutto). Per dire, non c’è un romanzo che sia “il romanzo” della rivoluzione venezuelana o “il romanzo” della rivoluzione ecuadoriano o della rivoluzione boliviana. Non c’è stato. E neppure c’è stato un movimento pittorico, né nel campo delle belle arti, o dell’architettura, o altro. Per quanto, nel campo dell’architettura, cose come il Plan Vivienda o una visione come “Barrio Nuevo, Barrio Tricolor”, per esempio, così spettacolare, così eccezionale, certamente apportano idee innovative. In ogni caso, la questione sollevata, ripeto, è una questione pertinente che merita riflessione.

Siriza e Podemos… oltre la situazione economica

In realtà, queste sono forze che emergono dalla crisi economica che sta vivendo l’Europa. Non credo che sarebbero emerse se non ci fosse stata la crisi e se non ci fosse stata la soluzione proposta dai governi per risolvere tale crisi, con politiche basate su terapie d’urto, come quella applicata in America latina negli anni ottanta e novanta, politiche di punizione sociale che io chiamo politiche di sadismo economico, causa di enorme sofferenza sociale, perché i salari diminuiscono, perché diminuiscono le pensioni, si privatizzano i servizi pubblici, si spogliano intere categorie sociali dei vantaggi conquistati in decenni di lotte, perché in definitiva milioni di persone stanno cadendo in miseria. Sta avvenendo in Europa il contrario di quanto accaduto in America Latina, perché di fatto, a fronte di cinquanta milioni di sudamericani strappati alla povertà, in Europa si stima che, in questo momento, ci saranno circa dieci/dodici milioni di nuovi poveri. Questo quando nell’immaginario collettivo, specialmente in Europa, già si pensava che mai più si sarebbe tornati alla povertà, che, per definizione, la storia era una curva ascendente, giusto? E ovviamente i nostri figli avrebbero vissuto una vita migliore, come noi avevamo vissuto meglio dei nostri genitori, e i nostri genitori a loro volta un po’ meglio dei propri. Invece, per la prima volta, una generazione vede i propri figli vivere peggio di loro, una cosa che sembrava impensabile, dopo la seconda guerra mondiale, dopo tutto le promesse che erano state fatte, i programmi, le Costituzioni… E ancor più, direi, all’interno di una Unione Europea che era stata costruita in nome di una felicità che essa stessa avrebbe apportato in modo definitivo. Era la garanzia assoluta che l’Europa poteva solo crescere e la felicità solo aumentare.

L’urto della crisi e della punizione sociale imposta a tutta una parte della società è ciò che provoca l’emergere di nuove forze. Proprio come in America Latina, dopo le dittature e i periodi neo-liberali, sono sorti partiti e forze politiche nuove, nuove organizzazioni politiche non solo perché interpretavano il sentimento di delusione delle popolazioni nei confronti dei partiti tradizionali, complici dell’applicazione di queste politiche, ma anche nella misura in cui queste nuove forze politiche emergenti in Venezuela, in Bolivia, Ecuador, promettevano di uscire da tali terapie d’urto. SYRIZA rappresenta questo, così come Podemos, ovviamente ognuno con la propria peculiarità. Inoltre, queste organizzazioni politiche hanno osservato quanto è stato fatto in America Latina e, senza imitare come pappagalli e senza voler riprodurre in maniera identica quelle esperienze, tuttavia ciò che è avvenuto in America Latina ha insegnato loro moltissimo. Molti dei giovani leader di queste formazioni sono venuti in America Latina per studiare, e hanno lavorato qui, concretamente: in Ecuador, in Venezuela, in Bolivia. Di conseguenza, hanno potuto rendersi conto di come si possa, oggigiorno, sviluppare una politica di inclusione sociale andando contro il Fondo Monetario, contro i grandi poteri finanziari, contro le pressioni internazionali… Questo sta succedendo in Europa.

Ma mentre ciò accade, dobbiamo tener conto che non si tratta dei movimenti dominanti in Europa. SYRIZA è un’eccezione, come è un’eccezione Podemos. Nel quadro generale europeo stanno crescendo in modo brutale forze di estrema destra che partono dallo stesso ragionamento che ho appena fatto io, e cioè: i partiti sono conservatori, sono complici di queste politiche che ci stanno imponendo e bisogna seguire altre politiche, politiche in un certo senso anche anti-capitaliste. In realtà, oltre ad essere contro l’Unione europea e contro l’Euro, queste forze di destra, che raccolgono molti consensi, molto sostegno sociale, sono xenofobe, razziste e anti-migrazione. In Francia, il primo partito oggi è il Fronte Nazionale, un partito neo-fascista. […]. Ed è il primo partito degli operai in Francia. E non dimentichiamo una cosa, che in America Latina non è nota, e cioè che tutta l’Europa settentrionale è oggi dominata dall’estrema destra: in Finlandia c’è un governo di estrema destra; in Svezia, nonostante un governo di centro-sinistra, l’opposizione di destra è molto importante; in Norvegia, l’estrema destra è al governo; e poi la Danimarca, i Paesi Bassi… C’è un’estrema destra molto importante in molti paesi. […]. La Svizzera, paese considerato come una democrazia perfetta, è governato da un partito di estrema destra. A volte in America latina non ci si rende conto di questo fenomeno europeo, del fatto che giorno dopo giorno politicamente quella estrema destra ha più gli elettori e rappresenta un pericolo enorme anche per l’Europa, vista la situazione disastrata dei partiti tradizionali, social-democratici o conservatori.

L’influenza degli Stati Uniti e il ruolo dei giornalisti

Quale influenza hanno gli Stati Uniti, visto che, paradossalmente, la loro influenza diminuisce costantemente? Gli Stati Uniti sono ora isolati nel continente americano, e proprio perché sono isolati (in particolare la creazione della Celac lo ha dimostrato) hanno cambiato la loro politica verso Cuba, perché volevano riconquistare influenza in America Latina e volevano che il vertice delle Americhe del 10 aprile, a Panama, consacrasse la loro uscita dall’isolamento. Paradossalmente, visto che avevano cercato di isolare Cuba, sono loro stessi ad essere rimasti isolati. Hanno quindi dovuto riconoscere il loro errore politico nei confronti di Cuba. È una grande vittoria, ovviamente, per la diplomazia cubana. Ma, curiosamente, in contraddizione con questa linea, gli USA hanno preso a molestare in maniera inaccettabile, fin dall’inizio di quest’anno, il Venezuela con il risultato che, come si sta già verificando, ancora una volta si troveranno isolati. Non possono oggi volere relazioni “normalizzate” con Cuba e relazioni conflittuali con il Venezuela. Gli alleati del Venezuela, tra cui ovviamente Cuba, hanno detto che al vertice delle Americhe chiederanno spiegazioni agli Stati Uniti che, pertanto, si troveranno nuovamente isolati. In ogni caso la loro influenza è diminuita rispetto a quella che era nei decenni passati, dagli anni cinquanta in poi. Non c’è paragone.

E in quanto al comportamento dei giornalisti, è ovvio che, particolarmente in questa battaglia che si sta svolgendo in America latina a difesa dei governi progressisti legittimi e democratici, i giornalisti dovrebbero prendere posizione. È la mia opinione. Prendere posizione non significa che essi debbano tradire la propria etica o la deontologia. Essi dovrebbero, semplicemente, difendere ciò che pensiamo siano politiche che fanno il bene della maggioranza. Questo non deve portarli a mentire, esagerare o nascondere informazioni. L’informazione non è obiettiva, è soggettiva, l’informazione è sempre una manifestazione di coraggio. Oggi bisogna dimostrarlo, in particolare nel caso dell’Argentina in previsione della battaglia che si profila il 25 ottobre per l’elezione del successore di Cristina Fernández.

Trascrizione: Fernando Torres-REdacción Pressenza-Perú

Traduzione dallo spagnolo di Giuseppina Vecchia per Pressenza