Abbiamo chiesto a Paolo Carsetti della Segreteria Operativa Forum Italiano dei Movimenti per l’Acqua un commento sull’attuale situazione delle privatizzazioni e delle manovre del governo e di cosa stia succedendo con i risultati dei Referendum sull’Acqua. Ci ha gentilmente mandato questo articolo.

Negli ultimi mesi si sta delineando abbastanza chiaramente un piano attraverso il quale il Governo intende rilanciare con forza il processo di privatizzazione e finanziarizzazione dell’acqua e dei beni comuni con l’obiettivo di aggirare i referendum del 2011.

Per quanto concerne i servizi pubblici locali e, quindi, anche il servizio idrico, tale progetto si ispira direttamente al programma sulla spending review il quale prevede aggregazioni e fusioni individuando dei poli aggregativi nelle grandi multiutilities. A riguardo il Governo ha messo in campo una rinnovata strategia comunicativa che si ammanta della propaganda di riduzione degli sprechi e dei costi della politica mediante lo slogan “riduzione delle aziende da 8.000 a 1.000”.

Due sono i provvedimenti legislativi che il Governo ha messo in campo. Il primo è contenuto nelle norme del Decreto Sblocca Italia che, modificando profondamente la disciplina riguardante la gestione dell’acqua, mirano di fatto alla privatizzazione del servizio idrico:

  • modifica del principio cardine su cui si basava la disciplina, ovvero passaggio da “unitarietà della gestione” a “unicità della gestione”;
  • imposizione progressiva del gestore unico per ogni Ambito territoriale che sarà scelto tra chi già gestisce il servizio per almeno il 25% della popolazione che insiste su quel territorio, ovvero le grandi aziende e/o multiutilities;

Con la Legge di stabilità si prevede, da una parte, la limitazione dell’affidamento in house (nella sua concezione comunitaria, quindi, sia a S.p.A. a totale capitale pubblico che ad aziende speciali) creando vincoli finanziari nei bilanci degli Enti Locali e, dall’altra, favorisce le privatizzazioni incentivando la cessione di quote e più in generale le operazioni di fusione. Infatti, si stabilisce:

  1. l’obbligo per l’ente locale, che effettua la scelta in house, ad accantonare “pro quota nel primo bilancio utile” e ogni triennio una somma pari all’impegno finanziario corrispondente al capitale proprio previsto;
  2. in caso di fusioni e acquisizioni si rende possibile l’allungamento delle concessioni per il gestore subentrante, oltre a poter vedere rideterminati i criteri qualitativi di offerta del servizio;
  3. i finanziamenti derivanti da risorse pubbliche debbono essere prioritariamente assegnati ai gestori privati (per esattezza, quelli selezionati tramite gara) o a quelli che hanno deliberato aggregazioni societarie. Ovvero le risorse pubbliche devono essere date in primo luogo ai soggetti privati o a quelli in via di privatizzazione;
  4. gli Enti Locali possono usare fuori dai vincoli del patto di stabilità i proventi dalla dismissione delle partecipazioni, ma tale disposizione non si applica per spese relative ad acquisti di partecipazioni, ovvero non sarà possibile utilizzare questo incentivo per riacquisire quote da privati e quindi ripubblicizzare.

In questo nuovo scenario diversi sono i soggetti interessati a investire nei servizi pubblici locali, ma il regista sembra unico, ovvero Cassa Depositi e Prestiti, attraverso finanziamenti diretti (annuncio di mettere a disposizione 500 mln di euro).

 

Si arriverebbe, quindi, a costruire un vero e proprio ricatto nei confronti degli Enti locali i quali, oramai strangolati dai tagli, sarebbero spinti alla cessione delle loro quote al mercato azionario, giungendo così a relegarli esclusivamente ad un ruolo di “controllo” esterno o con quote di assoluta minoranza.

Il combinato disposto dei due provvedimenti costruisce, quindi, un meccanismo per cui, attraverso processi di aggregazione e fusione, i quattro colossi multiutilities attuali – A2A, Iren, Hera e Acea – già collocati in Borsa, potranno inglobare tutte le società di gestione dei servizi idrici, ambientali ed energetici, divenendo i “campioni” nazionali in grado di competere sul mercato globale.

Nella medesima direzione vanno le norme inserite negli articoli 14 e 15 del cosiddetto Disegno di legge delega Madia, Riorganizzazione delle Amministrazioni pubbliche, che se approvato nell’attuale versione consegna una delega in bianco al Governo.

Uno scenario di questo tipo si configura come un reale aggiramento dei referendum del 2011.

Si tratta, inoltre, di strumenti capaci di agire trasformazioni irreversibili, non solo dal punto di vista della gestione e pianificazione territoriale.

In questo modo si legittima un meccanismo predatorio dei territori, promuovendone uno sfruttamento incontrollato fondato sulle privatizzazioni, sulle concessioni selvagge, sulle deroghe ai vincoli paesaggistici e ambientali, sulla compressione degli spazi decisionali democratici degli enti locali e delle comunità.

Con grandi e piccole differenze tra un territorio e l’altro si applicano sostanzialmente ricette con caratteristiche simili: sottrazione del potere decisionale, la scomparsa della funzione pubblica e sociale dell’ente locale trasformandone il ruolo da erogatore di servizi per la collettività a facilitatore dell’espansione della sfera di influenza dei capitali finanziari e da garante dell’interesse collettivo a sentinella del controllo sociale delle comunità, pratica e giustificazione del passaggio dal pubblico al privato, sfruttamento del lavoro attraverso nuove tipologie di lavoro precario o addirittura gratuito.

Non manca certo l’opposizione. Una miriade di conflitti su scala locale e regionale si è diffusa negli anni, anche qui con alcuni fili conduttori: riaffermare il territorio come bene comune attraverso la pratica dell’autogoverno, la riappropriazione del reddito che ci viene sottratto, il rifiuto dei dispositivi di governance e dei meccanismi predatori, assieme alla tutela della salute e dei diritti ambientali sono elementi di contatto tra le diverse “lotte di comunità” nel paese.

Passo dopo passo, quindi, si torna indietro. Il Governo Renzi intende costruire la nuova Italia attraverso le vecchie privatizzazioni.

Come movimento per l’acqua abbiamo condiviso la necessità e l’urgenza di costruire una campagna attraverso la quale nei prossimi mesi diffondere una mobilitazione ampia e diffusa di contrasto ai nuovi processi di privatizzazione, che sia portata avanti territorialmente e coordinata a livello nazionale. A riguardo diviene importante lavorare in sinergia con le altre realtà e movimenti sociali attivi sui beni comuni.

Paolo Carsetti

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