Francesco Moranino, il Comandante “Gemisto”.

Un processo alla Resistenza

Libro di Massimo Recchioni

Prefazione di

Pietro Ingrao, Alessandra Kersevan, Lidia Menapace

Edizioni DeriveApprodi

Recensione di

Laura Tussi, PeaceLink e Fabrizio Cracolici, Presidente ANPI Sezione di Nova Milanese

Il saggio storico di Massimo Recchioni è un testo complesso nella sua struttura storiografica e al contempo narrativa, molto articolata e ben dettagliata, pur mantenendo un’agilità descrittiva degli eventi: un raro esempio di impegno culturale e civile attuale e militante e di denuncia di alcune pagine della storia italiana che per anni sono state tenute nascoste. Oggi è necessario trattare e ricostruire queste storie per sottrarle al negazionismo, al revisionismo, ma soprattutto, in questo caso, al “rovescismo” – neologismo coniato dallo stesso Autore -che negli anni le ha mistificate e fatte diventare un cavallo di battaglia per i gruppi dell’estrema destra che vogliono condurre all’equiparazione tra la Resistenza Partigiana e coloro che, in nome del nazifascismo, seminarono violenza e terrore, la “vergogna del mondo”. Nella prefazione al libro, importanti sono le prese di posizione di Alessandra Kersevan, Pietro Ingrao e Lidia Menapace che offrono un contributo culturale autorevole e di grande prestigio all’intera trattazione storiografica. Recchioni esordisce, nel contesto dell’opera, con una concreta e dura premessa relativa agli eventi attuali nel nostro Paese, tra cui la riemergenza delle ideologie della razza e dell’eroe, l’insorgere delle nuove destre che fomentano l’odio razziale e istigano all’intolleranza per il diverso e all’omofobia, la ricomparsa di umori xenofobi che portano la nostra contemporaneità indietro nel tempo, agli anni nefasti del fascismo, quello del manifesto della razza, delle guerre coloniali e di tutti i crimini commessi in collaborazione con l’alleato nazista.

In realtà, secondo l’Autore, tra allora e oggi sussiste “discendenza diretta”; non ci fu, dopo la Liberazione, quel vero segno di cambiamento e di discontinuità che avrebbe cambiato il nostro Paese. Mancò innanzitutto l’epurazione, per una serie di motivi che nel libro vengono affrontati. Soprattutto coloro che erano i perseguitati sotto il fascismo continuarono a esserlo nel regime “democratico” repubblicano: erano loro, gli stessi, comunisti e socialisti, che, dopo aver fatto confino e galera nel ventennio, avrebbero voluto un cambiamento radicale e continuavano a lottare per esso. Invece, il regime democristiano, nell’ottica della “guerra fredda”, pensò bene di dare degli esempi giudiziari forti, come nel caso di Moranino, ma i casi sono assai numerosi.

L’opera si articola in diverse fasi, alternando scritti estrapolati dal diario di Francesco Moranino, lettere scritte dal carcere, testimonianze di compagne e compagni Partigiani. Per il Comandante Partigiano “Gemisto”, Francesco Moranino, la fine della guerra rappresenta un momento di grande impegno politico. Moranino fece parte dell’Assemblea Costituente e ricoprì il ruolo di Sottosegretario di Stato alla difesa; fu nominato prima onorevole e poi senatore della Repubblica. Ma, nel 1953, durante il governo Pella, Moranino fu incriminato per fatti avvenuti durante la Resistenza. L’A.N.P.I. (Associazione Nazionale Partigiani d’Italia), a proposito della condanna, dichiarò: “Era così evidente l’intento persecutorio contro il Comandante Partigiano, che, nel 1958, il Presidente della Repubblica Giovanni Gronchi decretò la commutazione della pena in dieci anni di reclusione”. Moranino in seguito a queste decisioni fu costretto alla fuga in Cecoslovacchia e solo dopo alcuni anni giunse la grazia del Presidente della Repubblica Giuseppe Saragat, di cui però egli decise di non beneficiare, continuando la sua permanenza a Praga, fino al 4 giugno 1966, quando vennero riconosciuti i fatti di Portula, un episodio da inquadrarsi nella Guerra di Liberazione del nostro Paese e non da condannare; rieletto al senato, Moranino moriva nel 1971. Nel frattempo, tutti i criminali nazifascisti vennero rilasciati e chi, invece, come Moranino, rischiando la vita e subendo le privazioni della guerra, riconsegnò dignità e democrazia al nostro Paese, tramite la lotta partigiana, dovette patire ingiustizie e affrontare il carcere in un periodo storico e con governi, che così agendo, non attuarono il portato valoriale della nostra Costituzione Repubblicana, nata dalla Resistenza Partigiana. Il sottotitolo del libro “Un processo alla Resistenza” annuncia subito la tendenza storiografica e politica dell’Autore, con cui raggiunge una “certezza morale” attribuibile a questo evento storico, la Resistenza appunto, andando oltre le glorificazioni acritiche e le condanne ideologiche per avviare la ricerca di un’immagine vera, spessa, complessa, ma soprattutto contestualizzata e non giudicata secondo categorie pregiudiziali e inutili, in quanto l’evento resistenziale nel nostro Paese ebbe delle responsabilità etiche e non può essere giudicato alla stregua dei criteri che si usano per le guerre. “La guerriglia ha altre motivazioni, situazioni, norme e legittimazioni” come sostiene la Partigiana e pacifista Lidia Menapace nella prefazione al libro. La Resistenza italiana ha caratteri peculiari che non si possono paragonare a quelli di nessun’altra resistenza antifascista e antinazista, perché i resistenti italiani si trovarono a dover fronteggiare un nuovo stato insediato dai nazifascisti sul suolo del Paese occupato: la Repubblica di Salò.

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