Di vari autori

17 gennaio 2015

La battaglia per Kobani, iniziata nell’estate 2014, ha portato all’attenzione del mondo l’opposizione curda alle brutali forze che si definiscono Stato Islamico (IS o ISIS). Contrariamente alle aspettative di molti, le forze di difesa sono riuscite a respingere gli attacchi, non soltanto dell’IS, ma anche del Fronte al-Nusra e del regime di Assad negli scorsi due anni e mezzo. E’ meno noto, tuttavia, il fatto che i residenti delle aree prevalentemente curde, della Siria settentrionale e nordorientale si siano costituite come una nuova entità politica che chiamano Rojava, che comprende tre cantoni autonomi, uno dei quali è Kobani. Lì hanno intrapreso, secondo tutte le apparenze, una rivoluzione sociale e politica, caratterizzata da notevoli tentativi verso la parità di genere e l’auto-governo democratico.

Nel dicembre 2014, noi, come delegazione di studiosi provenienti dall’Europa, dalla Turchia e dal Nord America, abbiamo fatto un viaggio nella Rojava per saperne di più sugli ideali e le pratiche di questa rivoluzione e per essere testimoni di prima mano, un uno dei suoi distretti, le sue rivendicazioni di parità di genere e di autogoverno democratico. Queste pratiche costituiscono davvero una rivoluzione? Sono all’altezza dei suoi ideali democratici? Quale ruolo hanno realmente le donne?

Il 1° dicembre abbiamo attraversato il fiume Tigri dal territorio del Governo Regionale del Kurdistan (KRG) nell’Iraq del nord e siamo entrati nel cantone di Cizîre. Durante i nove giorni successivi, abbiamo visitato le sue città principali e anche i villaggi rurali. Abbiamo partecipato a un incontro di un consiglio di auto-governo del popolo in un quartiere di Qamişlo. Abbiamo parlato ai rappresentanti del TEV-DEM, il Movimento per una Società Democratica con un’ampia base che ha costruito le istituzioni dell’autogoverno. Ci siamo incontrati con giornalisti, con membri di partiti politici, come il Partito di Unione Democratica (PYD) e altri.

Abbiamo incontrato donne di ogni estrazione sociale, comprese delle rappresentanti dell’organizzazione femminile ad ombrello, Yekîtiya Star. Abbiamo parlato con le dirigenti dell’Unione delle Donne Siriache, e abbiamo visitato un istituto femminile a Rimelan.

Inoltre ci siamo incontrati con membri dell’autogoverno responsabili dello sviluppo economico, dell’assistenza sanitaria e degli affari esteri. Abbiamo visitato un istituto di economia e abbiamo fatto un giro di cooperative, abbiamo visitato un caseificio di recente installato, e coltivazioni agricole in serre, e anche un laboratorio tessile femminile. Abbiamo visitato un mulino e una raffineria di petrolio, entrambe importantissime imprese economiche. Prima della rivoluzione, le principali attività economiche erano di proprietà dello stato e i mulini per macinare il grano esistevano soltanto in regioni al di fuori della Rojava, come quelle di Aleppo e di al-Raqqa. Abbiamo visitato gli ambulatori del quartiere, un ospedale e un centro di riabilitazione e anche un centro culturale e un’organizzazione giovanile.

Siamo stati ospiti della grande Accademia di Scienze Sociali della Mesopotamia a Qamişlo, dove ci siamo incontrati anche con il sindacato degli insegnanti. Prima della rivoluzione, sotto le severe politiche dello stato siriano per l’assimilazione e l’Arabizzazione, ai curdi non era permesso parlare la propria lingua, dare ai loro figli nomi curdi, aprire negozi con nomi non arabi, creare scuole private curde, o pubblicare libri o scritti in curdo. Le regioni per lo più popolate da curdi, non avevano alcuna possibilità di istituire un’università. Per poter studiare, gli studenti dovevano lasciare la regione per andare ad Aleppo, Damasco, Deiraz-Zor, Hama o Homs. Di recente, però, l’autogoverno di Rojava ha fatto i primi passi per creare un’università.

L’Accademia di Scienze Sociali della Mesopotamia a Qamişlo, ha bisogno di solidarietà internazionale, di scambi di esperienze e di appoggio materiale per affermarsi. A questo scopo ci piacerebbe inoltrare l’appello dell’accademia ai docenti universitari che possono rimanere e insegnare per un periodo di tempo, e per avere computer, proiettori e altoparlanti. L’accademia ha soprattutto necessità di libri per ampliare la biblioteca. Il suo scopo ultimo è avere una biblioteca con libri in varie lingue e di tipo multidisciplinare, ma gli inseganti chi hanno detto che attualmente la loro priorità sono i libri in curdo, arabo, e inglese. Quelle persone che desiderano fare una donazione, possono visitare la pagina di Facebook Pirtûkek bo Akademiya Mezopotamyayê (Donate un libro all’Accademia della Mesopotamia”).

Abbiamo visitato il campo profughi di Newroz, dove gli Yazidi di Monte Sinjar hanno messo in rilievo le loro ambizioni di autogoverno e autodifesa, e hanno implorato aiuto internazionale. I rifugiati hanno sottolineato che soffrono per l’embargo imposto alla Rojava, dato che mancano dei fabbisogni elementari. Gli Yazidi ci hanno detto che hanno la sensazione che la loro sofferenza stia venendo strumentalizzata da enti come il Governo Regionale del Kurdistan (KRG), da vari stati, comprese dalle forze della coalizione e le organizzazioni internazionali come l’ONU, mettendo ripetutamente in rilievo il fatto che l’YPG (Unità di Protezione del Popolo) l’YPJ (Unità di Protezione delle Donne), come anche i guerriglieri del PKK, li avevano soccorsi e portati via dal Monte Sinjar nell’agosto 2014 e che da allora avevano provveduto ai lori fabbisogni elementari, malgrado l’embargo e la guerra a Kobani.

In tutto il cantone abbiamo potuto vedere gli sfregi provocati da decenni di oppressione e dalle recenti battaglie contro al-Nusra e l’ISIS. Abbiamo trascorso del tempo con i rappresentanti delle forze di difesa della Rojava. Abbiamo conosciuto il comando militare dell’YOPG a Sêrêkaniye, e con il ramo Amûde dell’YPJ. Abbiamo visitato un’accademia di addestramento per le forze dell’organizzazione della sicurezza interna, o Asayîş, nella città di Rimelan.

Il ruolo della Turchia nell’ascesa di al-Nusra e dell’ISIS è stato menzionato in maniera esplicita da quasi ogni persona che abbiamo incontrato. Persone di tutte le estrazioni sociali ci hanno raccontato di scontri vicino al confine turco che hanno implicato l’appoggio militare, logistico e finanziario della Turchia in particolare per questi due gruppi.

Sebbene veniamo da contesti diversi, condividiamo impressioni simili ricavate dal nostro viaggio.

Crediamo che nella Rojava siano state davvero fondate strutture genuinamente democratiche. Non soltanto il sistema di governo è tenuto a rispondere alla gente, ma nasce da nuove strutture che rendono possibile la democrazia diretta: le assemblee popolari e i consigli democratici. Le donne partecipano su un piano paritario con gli uomini a ogni livello e si organizzano anche in consigli, assemblee e comitati autonomi per occuparsi delle loro faccende specifiche. Le donne che incontravamo incarnavano l’auto-responsabilizzazione, la fiducia in loro stesse, e l’orgoglio di recente guadagnati dalle donne della Rojava. Abbiamo visto striscioni e slogan che dicevano: “La rivoluzione della Rojava è una rivoluzione di donne.” Ed è vero.

Crediamo che la Rojava punti a un futuro alternativo per la Siria e il Medio Oriente, un futuro dove i popoli di differenti contesti etnici e religioni possano vivere insieme, uniti da reciproca tolleranza e istituzioni comuni. Le organizzazioni curde hanno aperto la strada, ma stanno ricevendo sempre di più appoggio dagli arabi, dagli assiri e dai ceceni, che partecipano al loro comune sistema di autogoverno e che si organizzano autonomamente.

Dovunque siamo andati, i membri dell’autogoverno e delle forze armate insistevano che qualsiasi alternativa politica fattibile doveva essere basata non sulla vendetta, ma su interessi condivisi e su fiducia reciproca. Abbiamo incontrato membri dell’ Asayîş, cioè l’organizzazione delle unità per la sicurezza interna, e anche membri dell’YPG, e dell’YPJ, che erano curdi, ceceni, siriaci, e arabi, e tutti mettevano in evidenza che cercavano soluzioni comuni per tutti i popoli della regione. Affrontano sfide spaventose, ma siamo convinti che le loro aspirazioni sono sincere.

In quanto studiosi e attivisti, ci rimane un profondo rispetto e ammirazione per la gente della Rojava, per il loro programma politico progressista e per i loro veri traguardi in campo sociale. Tuttavia la Rojava soffre per le condizioni pressanti che sono fuori del controllo dei suoi cittadini. Perciò chiudiamo raccomandando che vengano affrontate il più presto possibile.

Primo, la Rojava subisce un embargo economico e politico impostole dai suoi vicini: Turchia e Governo Regionale del Kurdistan in Iraq. La sua economia, infrastrutture, e difesa soffrono tutte a causa dell’isolamento che consegue da questo.

Anche se il KRG ha aperto il valico di confine di Semelka (Fishabour/Peshkhabour) per commerci limitati e per trasporto individuale, fin dall’accordo di Duhok nell’ottobre 2014, decide in maniera arbitraria riguardo agli attraversamenti di confine e ostacola gli aiuti umanitari per la Rojava, compresi quelli per il campo profughi di Newroz. Neanche i libri per l’Accademia della Mesopotamia possono attraversare il confine. L’embargo strangola la capacità che l’auto-governo fornisca alla popolazione anche gli aiuti medici e le elementari risorse umanitarie. E’ fondamentale che l’embargo venga tolto. Si deve esercitare una pressione internazionale sulla Turchia in particolare perché apra i suoi valichi di frontiera in modo che cibo, materiali vari, medicine e aiuti possano entrare.

Secondo, i conflitti in corso in Siria e in Iraq hanno creato tantissimi profughi, di molti dei quali si prende attualmente cura l’autogoverno. Questi rifugiati hanno urgentemente bisogno di elementari aiuti umanitari, di medicine, e di attrezzature ospedaliere. Anche molte persone sono stata ferita in guerra e hanno bisogno di cure adeguate che non sono disponibili a causa dell’embargo. La comunità internazionale deve aiutare a consegnare gli aiuti nella Rojava per solidarietà con queste persone, dialogando con le istituzioni dell’auto-governo.

Terzo, chiediamo il riconoscimento internazionale della Rojava, compreso il riconoscimento da parte delle ONG. Non cerca di diventare uno stato indipendente, ma tenta piuttosto di contribuire a creare una Siria genuinamente democratica e a integrarsi in essa. Il suo sistema unico di auto-governo merita di essere riconosciuto come una possibile soluzione per i molti conflitti etnici e religiosi che devastano la regione.

Contro tutto e tutti, la gente della Rojava ha fatto progredire un coraggioso programma di tolleranza civica, parità di genere, e democrazia diretta. Per questo merita il rispetto del mondo e il suo appoggio attivo.

15 gennaio 2015:

Oktay Ay, ricercatore, Università Bogazic, Istanbul

Janet Biehl, scrittore indipendente, USA

Devris Cimen, journalist, Civaka Azad – Kurdish Office for Public Affairs, Germania

Rebecca Coles, ricercatore,Università di Nottingham

Antonia Davidovic, lettore di etnologia, Università di Kiel

Dilar Dirik, Ph.D. student, Università di Cambridge

Eirik Eiglad, editor, New Compass Press, Norway

David Graeber, professore di antropologia, London School of Economics

Lokman Turgut, journalist and researcher, Kurd-Akad, editor at StudiaKurdica journal

Thomas Jeffrey Miley, lettore di sociologia, Università di Cambridge

Johanna Riha, Dottorando, Università di Cambridge

Nazan Üstündag, professore di sociologia, Università Bogazici, Istanbul

Christian Zeller, professore di geografia economica, Università di Salisburgo

Nella foto: il campo profughi di Newroz

Fonte: http://zcomm.org/znetarticle/joint-statement-of-the-academic-delegation-to-rojava

Originale: Roarmag.org

Traduzione di Maria Chiara Starace

Traduzione © 2014 ZNET Italy – Licenza Creative Commons CC BY NC-SA 3.0

L’articolo originale può essere letto qui