Con un tasso di disoccupazione al 24%, quella giovanile al 55, il PIL tornato ai livelli del 2008, quella spagnola è oggi una delle peggiori economie del continente. Le politiche neoliberali e l’introduzione di contratti di lavoro estremamente flessibili, che hanno reso sempre più facile licenziare, portati avanti da governi sia popolari che socialisti, hanno fallito completamente.

Ma recentemente un nuovo partito è emerso dal caos politico e dalla delusione degli elettori, si tratta di Podemos che in pochi mesi ha sbaragliato tutti gli avversari divenendo secondo recenti sondaggi la prima forza politica spagnola. Il partito guidato da Pablo Iglesias, contro tutte le aspettative, ha superato sia l’altro raggruppamento della sinistra “radicale”, Izquierda Unida, che i due maggiori contendenti che in questi anni hanno governato alienandosi la fiducia del popolo iberico, ovvero il Partito Socialista Operaio Spagnolo (di centrosinistra) di Pedro Sanchez e il Partito Popolare (di centrodestra) dell’attuale Primo Ministro Mariano Rajoy.

Podemos è un partito sui generis, una rivelazione nel panorama politico spagnolo prevalentemente bipolarista e monolitico. Nasce dal Movimento 15 M, sorto nel maggio del 2011, i cui attivisti sono meglio noti all’opinione pubblica come Indignados, e riunisce militanti di sinistra di partiti come Izquierda Anticapitalista e numerosi cittadini delusi dal sistema politico spagnolo. Si caratterizza non solo per una decisa denuncia della corruzione ma anche per l’opposizione al liberismo economico e un euroscetticismo di fondo.

Ma in che contesto matura l’adesione degli spagnoli a questa forza appena nata e lo sconvolgimento dei giochi politici finora consolidati?

Per capirlo bisogna considerare la condizione dell’economia del paese. Dopo l’adesione all’euro pareva che fosse lanciato verso una crescita inarrestabile. L’afflusso dei capitali in virtù della moneta forte e della libera circolazione ha immesso una notevole liquidità nel sistema che ha permesso al PIL di mantenersi a livelli di crescita elevati. Ma la moneta troppo forte ha causato una crescita incontrollata del settore immobiliare, come descritto dal Ciclo Frenkel. Il rientro dei capitali in seguito alla crisi finanziaria del 2008 ha provocato l’esplosione della bolla e il PIL spagnolo si è trovato in caduta libera. Il salvataggio delle banche iberiche ha avuto effetti soltanto temporanei e non ha fermato la disoccupazione che si trova ormai a livelli drammatici.

Podemos si è opposto fermamente alle politiche finora attuate, i due economisti di riferimento, Vincenc Navarro e Juan Torres, hanno elaborato un piano che prevede aumenti salariali e l’istituzione di banche pubbliche che eroghino credito a tassi agevolati. Una direzione diametralmente opposta a quella sinora inefficacemente intrapresa. Pablo Iglesias e il suo partito si sono anche espressi più volte in modo critico nei confronti delle istituzioni europee e si sono mostrati possibilisti sull’eventualità di un’uscita dell’euro.

Podemos si distingue dalla sinistra greca di Syriza, cui viene spesso accostato, per un atteggiamento più critico nei confronti dell’Unione Europea, di cui il partito di Tsipras vuole evitare di mettere in discussione i trattati e la moneta unica, ma si distanzia anche dal Movimento Cinque Stelle, cui viene accomunato per la campagna “anticasta”, per un programma economico decisamente antiliberista. Inoltre è l’unico partito di una certa rilevanza, in Europa, a chiedere l’uscita dalla NATO, fatto non secondario, poiché un’opposizione al regime di Bruxelles e una eventuale uscita dall’euro esige la ricerca di nuovi e diversi alleati che possono essere trovati soltanto tra i BRICS.

La particolarità di questa nuova forza è che non si limita a protestare contro “la casta” come invece fanno altri spesso velleitariamente, ma unisce un’opposizione alle politiche neoliberali una consapevolezza delle questioni internazionali e un’attenzione ai paesi emergenti dell’America Latina. Se Podemos saprà agire tempestivamente e non piegarsi ai dettati della finanza, ed usando la possibile uscita dall’euro e dai trattati come arma di contrattazione, potrebbe rappresentare un modello vincente per tutta la sinistra europea.