Nel saggio “Land grabbing” (www.minimumfax.com, 2011, 244 pagine), il giornalista Stefano Liberti ha raccontato i retroscena della svendita dei terreni nei paesi più poveri.

 

Liberti riesce a chiarire un fenomeno molto trascurato con uno dei primi reportage sul business internazionale delle terre da coltivare, che è quasi sempre dominato dai paesi arabi più ricchi, dalla Corea del Sud, dalla Cina e dall’India. E siccome più del 60 per cento della terra non coltivata è in Africa, il giornalista ha deciso di visitare l’Etiopia e la Tanzania (in molti villaggi esistono ancora dei sistemi di proprietà collettiva gestiti dal capo villaggio o da un consiglio di uomini anziani).

Il problema fondamentale risiede nel fatto che a livello internazionale si considerano disponibili “le terre che hanno meno di 25 persone per chilometro quadrato. Queste terre spesso sono utilizzate da piccoli agricoltori o da allevatori itineranti, che in molti casi non hanno titoli di proprietà sulla terra da cui dipendono per la propria sopravvivenza e quindi non hanno strumenti legali per ricorrere contro eventuali espropriazioni” (Olivier De Schutter, consulente, www.srfood.org/en).

Inoltre alcune multinazionali dell’agribusiness hanno investito nella produzione di biocarburanti, producendo gravi effetti collaterali come l’aumento del prezzo di molti cibi. Anche le speculazioni finanziarie sulle materie prime causano un forte aumento del prezzo dei cereali e quindi di prodotti vitali come le farine e la carne.

Il futuro potrebbe riservarci nuove forme di neocolonialismo diretto e molto aggressivo, oppure potrebbero evolvere nuove forme di distribuzione programmata. Ad esempio un distributore locale potrebbe commercializzare senza sprechi le “materie prime alimentari prodotto altrove grazie ad accordi mirati con grandi società dell’agribusiness” (Fawaz Al Alamy, consulente, p. 85).

Oggi in molti casi si allontanano in malo modo le popolazioni indigene. I boscimani in Africa e molte tribù amazzoniche sono tra le popolazioni più perseguitate (www.survivalinternational.org, www.survival.it). Forse i migliori missionari possono contribuire alla difesa di alcuni territori tribali, comunque consiglio il film La punta della lancia, poiché è tratto da una storia vera e molto emozionante avvenuta nel 1965 in Ecuador (è uscito nel 2005, è reperibile su YouTube).

 

Stefano Liberti è nato nel 1974 e pubblica reportage di politica internazionale su vari quotidiani e periodici italiani e stranieri. Ha vinto alcuni premi giornalistici e il prestigioso premio di scrittura Indro Montanelli con il libro A Sud di Lampedusa. Ha diretto il documentario L’inferno dei bimbi stregoni (Premio L’Anello debole nel 2010). Nel 2012 ha co-diretto il film Mare chiuso con Andrea Segre. Nel 2013 ha co-diretto il film Container 158 con Enrico Parenti. Uno dei reportage più recenti lo trovate qui: http://webdoc.rfi.fr/dark_side_tomato.