Si perdono le parole in certe occasioni e, forse, diventa un bene sprofondare in un sentito silenzio corredato e trasportato dall’emotività della folla.

Li vedi, sono tantissimi, tanti individui diversi che si sincronizzano sullo stesso battito cardiaco e che avvertono la necessità di riunirsi per sostenersi l’uno con l’altro, benché perfetti sconosciuti, di fronte a una nichilista sensazione d’impotenza e di rabbia che magicamente si mescola con un eccezionale stato di amore e di compassione.

Noi siamo uomini e vorremmo unirci totalmente a loro, in questo momento, qui, in questa piazza parigina; ma, oggi, ancor di più, siamo giornalisti, sensibilità investite dagli eventi e profondamente turbate da chi, in contraccambio al proprio desiderio di utilizzare penne e matite per proporre riflessioni differenti, ha infine perso la vita.

Siamo presenti, a raccontare gli stati d’animo, a raccontare quei silenzi, le emozioni individuali e quelle collettive, a accompagnare quei gruppi di persone che, distribuitesi su tutta la Place de la République, ritrovano conforto e calore intorno alla luce viva e possente delle candele: i piccoli fuochi di questa notte gelida e amara.

Siamo qui per avvertire il tonfo secco e netto dei crayon (le matite) che la gente getta all’interno di un cuore dai contorni infuocati. Sono colpi di sciabola, quei lanci, che acuiscono le ferite dei nostri perché superficiali e dei buoni propositi di umanizzazione che raramente abbiamo portato a termine.

Siamo qui e non abbiamo voglia di cadere nelle dietrologie né nelle strumentalizzazioni e neppure in accuse o ipotesi di sospetto per tutto ciò che è accaduto. Siamo qui, senza giri di parole, per rivedere, surfando col pensiero sui minuti di silenzio, la condizione dell’umanità del XXI secolo.

Perché se, oggi, la nazione francese, l’intero contesto sociale e noi tutti stiamo piangendo la morte violenta e feroce di alcune persone, domani, con i cuori più stemperati, saremo altrove a produrre armi da vendere per il mondo, a seminare la cultura del più forte e del sopruso, a perseguire le politiche di controllo delle menti e i stratagemmi della subordinazione dei popoli.

Sta proprio lì il giro di boa, il punto di discontinuità che rinunciamo a acciuffare a causa di una forma di cecità rara e pilotata che ci ha fatto perdere la vista del buon senso e dell’umanità. E’ quello l’unico cammino per non essere sempre perdenti di fronte alla dignità umana, è quella la nuova via che viene sistematicamente scartata dalla nostra brutale quotidianità, quel tran tran di tutti i giorni imbottito, consciamente o inconsciamente, di violenza e non rispetto.

Usciamo dalle zone di comfort, smascheriamo la falsa cecità senza attendere che l’atroce risveglio ci sia dato dal sopravvenire di un altro giorno di devianza ossia da un evento fuori standard, come il cruento attacco a Charlie Hebdo. Quelle disgraziate “distrazioni” additano la direzione dell’unità, del senso di appartenenza al genere umano (e non disumano) e, aiutandoci a spolverare ciò che rimane della nostra sensibilità, convogliano verso il pianto collettivo, la disperazione, lo stato di shock, la reazione depressa, lo sconforto, l’ira, l’impotenza.

Non ci sono altre manovre da tentare ormai se non una seria sterzata verso la nonviolenza. Non ci saranno mai vendette né piani strategici di contrattacco capaci di ridarci il sorriso e la possibilità di riappropriarsi del vero senso della vita se non attraverso la costruzione di un vivere di nonviolenza e, di conseguenza, la costruzione progressiva e collettiva di tutte quelle condizioni da creare, su scala planetaria, affinché il paradigma nonviolento possa davvero prendere piede.

Oggi, da questa piazza sospesa nell’emozione e scossa dalla non accettazione, portiamoci a casa questa consapevolezza certa, il cammino nonviolento, per evitare di ritrovarsi, alla prossima sciagura, e per l’ennesima volta, allo stadio della disumanizzazione di noi stessi e di fronte alla trasfigurazione del genere animale al quale apparteniamo che di certo è divenuto il più crudele contro il proprio simile.

Pretendiamo, senza nasconderci dietro la paura, che si cambino le logiche dei governanti, le logiche pseudo sociali del globo che dirigono alla crescita della brutalità e dell’abbrutimento della persona.

Non aspettiamo più e non accontentiamoci di delegare le nostre vite e la nostra libertà ad altri, ma, piuttosto, impegniamoci a vivere l’esperimento nonviolento dapprima individualmente per poi trasferirlo con lucidità a chi è intorno a noi.

Ecco l’unica vittoria decisiva e definitiva per l’intero genere umano. Perché siamo stanchi di riempire le piazze con omaggi al dolore.

Attraverso il video che mostriamo qui di seguito intendiamo condividere con i lettori una notte di fremito, di riflessione e di comunione trascorsa a Parigi, il 7 gennaio 2015.

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