Si tratta di un’operazione che si è svolta in 13 città ed ha coinvolto in totale 31 persone. L’accusa è stata quella di aver tentato di rovesciare il sistema democratico della Repubblica di Turchia creando prove ritenute false dal sistema giuridico e, soprattutto, effettuando intercettazioni telefoniche illegali. Nel mirino: giornalisti, sceneggiatori e produttori dei telefilm e alcuni poliziotti.

Ormai è palpabile il conflitto tra il Governo, composto dal partito unico AKP (Partito della Giustizia e dello Sviluppo) e la fratellanza religiosa guidata dall’esiliato Fettullah Gülen. Dopo un rimpasto che ha portato alla sostituzione di diversi membri del governo appartenenti alla comunità di Gülen, all’interno dell’AKP c’è stata anche una forte scissione provocata da operazioni anti corruzione che, nei mesi di novembre e dicembre 2014, hanno coinvolto quattro ministri ed una serie di persone vicine al Governo. Il Primo Ministro all’epoca dei fatti, Recep Tayyip Erdoğan, per la prima volta aveva iniziato ad utilizzare il concetto di “Stato parallelo” facendo riferimento alla comunità di Gülen. Secondo l’AKP e, soprattutto, secondo Erdoğan, da tempo, in Turchia, esisteva un sistema parallelo allo Stato legittimo e questo si era infiltrato nel sistema giuridico, nelle forze dell’ordine ed in una serie di enti pubblici. Da quel momento in poi il vessillo degli esponenti della comunità di Gülen è stato quello di “lottare contro la corruzione per il bene della patria”, sovente ribadito tramite video messaggi pubblicati sul sito Herkul dalla Pennsylvania, ove tuttora risiede Gülen. Obiettivo principe del Governo restava la lotta contro il sistema oscuro che tenta di ottenere il potere in modo illegittimo ed illegale. La necessità di scontro con la comunità di Gülen è stata ribadita, fortemente, in particolar modo durante il periodo elettorale che ha portato Recep Tayyip Erdoğan a diventare il Presidente della Repubblica.

Esattamente come ha comunicato lo stesso Erdoğan, ma non solo, dopo le elezioni sarebbero state prese una serie di misure per infliggere un grosso colpo alla comunità di Gülen. Quello che possiamo storicamente ricordare come un flirt tra questi due movimenti conservatori di destra, sembra ormai essere arrivato al capolinea. Circa una settimana fa, il misterioso account Twitter aperto a nome di Fuat Avni, forse Parlamentare dell’AKP vicinissimo alla comunità Gülen, aveva annunciato con chiarezza l’operazione che si sarebbe svolta di lì a poco. Avni aveva inoltre previsto l’arresto di circa 400 persone, delle quali 150 sarebbero ipoteticamente stati giornalisti, per la quasi totalità afferenti ai media vicini alla comunità guidata dall’ex imam Gülen. Così ci si sarebbe avvicinati sempre più alla resa dei conti tra il fondatore della prima associazione per la lotta contro il comunismo nella città di Erzurum (nel 1965), Fettullah Gülen, ed uno dei personaggi storici di questo Paese, noto per le proprie posizioni anticomuniste sia in passato che nel tempo presente, Recep Tayyip Erdoğan.

L’appena trascorso fine settimana, il 13 ed il 14 dicembre, la Turchia ha assistito all’arresto di 31 persone, tra cui tre personaggi di particolare rilievo: Ekrem Dumanli, Direttore generale del quotidiano nazionale Zaman, Hidayet Karaca, Presidente del Canale Televisivo Samanyolu, e Tufan Erduger, ex Presidente dell’Ufficio per la Lotta Contro il Terrorismo di Istanbul. L’arresto dei primi due confermerebbe la tesi del Governo che sostiene che alcuni mezzi di comunicazione di massa siano stati utilizzati per sostenere il tentativo di rovesciare il sistema democratico del Paese. L’ultimo nome è un colpo messo a segno contro il gruppo di persone che, sempre secondo la teoria complottista del Governo, ha sistematicamente procurato prove false e effettuato intercettazioni illegali per creare altre prove mendaci e permettere l’apertura di inchieste contro il Governo stesso. Le operazioni contro i poliziotti semplici e gli ufficiali, fino ad oggi, avevano già coinvolto, in meno di un anno, circa 2500 membri delle forze dell’ordine.

Le reazioni delle due parti sono state immediate: attraverso un video messaggio, Fettulah Gülen, dagli USA, ha espresso la propria solidarietà agli arrestati, incoraggiandoli con un: “evidentemente siete sulla pista giusta”. Dal canto suo, il Presidente della Repubblica Recep Tayyip Erdoğan ha preferito usare parole al vetriolo: “Non troveremo mai un punto comune con chi minaccia la stabilità della Turchia! Queste operazioni fanno parte dell’inizio del nostro progetto per la Nuova Turchia. Spero che così anche i media abbandonino i lavori sporchi a cui si stanno dedicando. Tutti quelli che sono contrari all’indipendenza del Paese, prima o poi, perderanno. Questo popolo non si lascerà mai soggiogare da minacce e ricatti delle forze internazionali!”. Nel mirino delle parole di Erdoğan è anche l’Unione Europea che, attraverso il Presidente del Parlamento Europeo, Martin Schulz, aveva definito preoccupanti le operazioni contro i giornalisti perpetrate dalla Turchia. La reazione di Erdoğan in merito a questa comunicazione è stata forte: “Non siamo preoccupati di quello che può pensare o dire l’UE. Non siamo preoccupati all’idea di essere o meno inclusi nell’UE. Per favore, tenete per voi i vostri consigli!”. Anche il nuovo Primo Ministro Ahmet Davutoğlu ha espresso la propria opinione in merito all’operazione: “Lo Stato ha il compito di prevenire. Sia prima delle elezioni sia durante i lavori per la risoluzione della questione curda qualcuno ha provato a provocare. Noi dobbiamo prendere le misure necessarie. Quelli che intercettano il Primo Ministro, il Presidente della Repubblica, il capo dei Servizi Segreti, quelli che bloccano i tir che portano gli aiuti in Siria non pensino che tutto ciò che hanno fatto e stanno facendo resterà senza risposta. Che sia oggi o domani presenteremo loro il conto da pagare a questo popolo ed alla storia. Noi non guardiamo con pregiudizio nessuno per l’attività che svolge. In questa operazione non sono state fermate le persone per via della loro professione di giornalisti, bensì per le altre attività in cui sono state coinvolte”.

Senz’altro queste ultime parole di Davutoğlu ricordano fortemente le storiche dichiarazioni di Recep Tayyip Erdoğan e dei Parlamentari all’epoca in cui l’AKP avrebbe dovuto rispondere dell’accusa di limitare la libertà di stampa in Turchia, quando più di 60 giornalisti si trovavano in carcere a causa dei maxi processi Ergenekon, Balyoz, OdaTV e KCK, tra il 2008 ed il 2014. Oltre alle persone del Governo, tra i sostenitori di questa tesi complottista figura anche Ekrem Dumanlı. Nel 2011, il direttore del quotidiano nazionale Zaman sostenne che le operazioni non avevano coinvolto i giornalisti per la loro attività professionale bensì per eventuali legami con le organizzazioni che volevano rovesciare il sistema democratico della Repubblica. Le battute sono le stesse, cambia solo il pulpito dal quale vengono pronunciate.

Tra le dichiarazioni del Primo Ministro Davutoğlu spicca anche il concetto di “prevenzione del delitto”. Non a caso, il 12 Dicembre, grazie alla firma definitiva del Presidente della Repubblica, diventò legge il nuovo pacchetto sicurezza, fortemente sostenuto dal Governo, che conferisce alla polizia il diritto di arrestare le persone legittimamente sospettate, al fine di prevenire il delitto prima che venga compiuto, sostituendo in questo modo il concetto di “fortemente sospettato”. Infatti, secondo le prime dichiarazioni di Ekrem Dumanlı, egli stesso era stato condotto in detenzione provvisoria perché ritenuto un sospettato legittimo.

Ieri, il 15 Dicembre, diversi parlamentari dei partiti all’opposizione hanno espresso la propria contrarietà all’arresto dei giornalisti coinvolti nell’operazione. Ertugrul Kurkcu, del Partito Democratico dei Popoli (HDP), ha definito tutto ciò come un “colpo basso alla libertà di stampa”. Ha poi aggiunto: “Le operazioni in atto dimostrano che il conflitto tra il Governo e la comunità di Gülen continua. Si tratta di una lotta di potere tra parti che non hanno ragione. Tuttavia, nonostante le posizioni ostili che ha sempre assunto il quotidiano nazionale Zaman nei confronti dei maxi processi che hanno coinvolto, negli ultimi anni, diversi giornalisti, è necessario che vengano immediatamente rilasciati i giornalisti arrestati negli ultimi tre giorni”. Anche le organizzazioni dei giornalisti hanno espresso la propria contrarietà all’arresto dei colleghi. La Federazione dei Giornalisti della Turchia, il Sindacato dei Giornalisti della Turchia, l’Associazione dei Giornalisti della Turchia ed il Consiglio di Stampa del Sindacato Confederale dei Lavoratori Rivoluzionari hanno sottolineato che le operazioni contro i giornalisti ledono al diritto all’informazione dei cittadini.