La recente dichiarazione di Angela Merkel, per la quale il comportamento della Russia finirà per avere ripercussioni anche sul vicinato europeo, a partire dalla Moldova e dalla Serbia, minacciando perfino di rivedere, in sede europea, la politica di prossimità nei confronti di questi Paesi, può destare sorpresa. Ma è anche un ulteriore segnale di un radicale deterioramento del rapporto Est-Ovest e di un singolare impoverimento della politica di vicinato, ancor più scandalosamente messa in evidenza dall’astensione europea sulla risoluzione russa presso le Nazioni Unite di condanna del fascismo e del nazismo. Si tratta della risoluzione con la quale si condanna la possibile rilegittimazione del nazismo e dei suoi simboli e si esprime “profonda preoccupazione per la glorificazione in qualsiasi forma del movimento nazista, neo-nazista e degli ex membri delle Waffen SS, anche mediante costruzione di monumenti e memoriali e l’organizzazione di manifestazioni pubbliche”. Singolare e significativo che, a parte l’astensione dei paesi UE, gli unici tre paesi a votare contro siano stati USA, Canada e – proprio così – Ucraina.

Ancora in sede ONU, vero e proprio termometro di questa congiuntura internazionale, la Russia si è astenuta, l’11 novembre, dal voto in Consiglio di Sicurezza sulla estensione della missione EUFOR della Unione Europea in Bosnia-Erzegovina, dichiarando anche, per bocca del proprio ambasciatore all’ONU, “inaccettabile che la Bosnia-Erzegovina sia spinta verso l’UE da forze e pressioni provenienti dall’estero”. Una posizione che ricalca, d’altra parte, quella assunta, più velatamente, nei confronti della Serbia, paese per il quale più volte è stata ventilata la minaccia di impedire, specie da parte della Germania, l’ingresso nell’UE, se non si fosse adattato ad accettare forzatamente la secessione unilaterale del Kosovo. Ma è da tempo, ormai, che sui Balcani si sta giocando un vero e proprio Big Game, che li mette, di volta in volta, nella condizione di essere luogo chiave della ridefinizione degli equilibri internazionali e campo cruciale di una battaglia diplomatica nella quale l’Unione Europea sembra incapace di ritagliarsi un profilo autorevole.

Come ha detto, riportato dai media internazionali, Tobias Flessenkemper, “balcanologo” presso il Centro Internazionale di Formazione Europea (CIFE) di Nizza, il voto della Russia è espressione di una vera e propria conflittualità geopolitica in corso: “La Russia ha sempre sostenuto il cammino della Bosnia-Erzegovina presso l’Unione Europea. Le recenti dichiarazioni Vitaly Churkin sono un motivo di preoccupazione. Tuttavia, la maggioranza dei cittadini della Bosnia-Erzegovina è a favore e anche il presidente della Republika Srpska, Milorad Dodik, sostiene il processo di integrazione europea”. In effetti, la Russia avrebbe potuto evidenziare un cambiamento ancora più radicale nella propria strategia sulla questione bosniaca e, più complessivamente, balcanica, se avesse posto il veto al Consiglio di Sicurezza per impedire la prosecuzione della missione EUFOR e per mettere quindi in discussione non solo la presenza, ma anche il futuro europeo, del paese e della regione.

Intanto, i ministri degli esteri della UE hanno avviato la discussione sulla iniziativa assunta dalla Gran Bretagna e, ancora una volta, dalla Germania, per un nuovo approccio nel processo di integrazione della Bosnia-Erzegovina, che potrebbe coinvolgere anche la tempistica dei negoziati di adesione, in corso, della Serbia e, in prospettiva, l’intera politica di vicinato europea nei confronti dei Balcani. Secondo gli analisti, infatti, è necessario che il processo di stabilizzazione e di associazione (il cosiddetto “processo ASA”) abbia rapidamente effetto e che le riforme strutturali siano prontamente attuate in Bosnia-Erzegovina, dove tuttavia si assiste, dopo l’esaurimento della mobilitazione popolare per il lavoro e i diritti dei mesi scorsi (prima quella della primavera 2013, poi quella d’inizio 2014), ad una vera e propria impasse politica e sociale. D’altro canto, i paesi occidentali sono ancora sostanzialmente divisi sulla questione bosniaca, sull’adesione serba, sul futuro del Kosovo, sull’integrazione regionale, sulle iniziative della Russia nei Balcani. Ancora una volta i Balcani si rivelano una “cartina di tornasole”, e la ripresa dell’attivismo internazionale da parte della Russia non fa altro che mettere ancora più in evidenza i limiti della diplomazia europea.