È facile  rammaricarsi del razzismo che esiste in altri luoghi. È facile parlare del motivo per cui in alcuni posti non si può avere un lavoro a causa della propria religione o appartenenza etnica. O dire che in alcune nazioni si viene oppressi perché si è donna. È facile riconoscere che in alcuni luoghi c’è pochissima uguaglianza. Quei luoghi, però, sono spesso in qualche area molto lontana. Qui nei paesi nordici la storia è del tutto diversa.

Quello che spesso viene trascurato è il fatto gli immigrati nell’Europa del Nord devono anche lottare contro il giogo del razzismo strutturale. Non è lo stesso tipo di razzismo palese e penetrante che esiste in paesi come la Turchia o Israele o in Sudafrica con l’apartheid, ma è comunque razzismo strutturale.

Il proverbio “quando sei a Roma, fai come fanno i romani” viene regolarmente ricordato in Finlandia quando si discute di immigrazione. Il dibattito sull’integrazione non è spesso abbastanza diretto verso la questione principale, cioè il modo in cui la società accoglie gli immigrati. La responsabilità dell’integrazione è messa sulle spalle della comunità degli immigrati, dato che il resto della società valuta il “successo” degli immigrati nel processo di integrazione.

La Finlandia è considerata una nazione che offre possibilità e questa interpretazione non è inverosimile.  È tuttavia deviante sostenere che tutti possono trarre vantaggi dalle opportunità che offre lo stato finlandese. Gli immigrati si trovano costantemente davanti a molti ostacoli. Quante domande di lavoro sono state  ignorate  perché il richiedente non ha un nome finlandese o perché una donna di origine non-finlandese porta il velo? Ho perduto il conto del numero di volte che questa discriminazione è avvenuta con persone che conosco personalmente!

Contrariamente all’immagine che alcuni possano avere della Finlandia, la discriminazione esiste nel mercato del lavoro, nel campo dell’educazione, nel mercato immobiliare, e in molte altre sfere della vita. Si evoca regolarmente anche il concetto di “tolleranza”, anche dai cosiddetti anti-razzisti. C’è realmente un qualche genere di costante standard perfetto che rappresenta perfettamente  la condizione umana accettabile e che ogni cosa che viene percepita come diversa da quella è in qualche modo inferiore ed è una cosa che le persone normali, in tutta la loro perfezione sono quindi costrette a tollerare?

Fin dall’inizio dell’ascesa dell’ISIS, o Stato Islamico, il pericolo di un aumento di razzismo anti-musulmano è diventata una spiacevole realtà nel mondo occidentale. Molte forze politiche – non esclusivamente dell’estrema destra – stanno diffondendo l’islamofobia giorno dopo giorno per mezzo di tentativi totalmente ridicoli di equiparare l’ISIS all’Islam. È degno di nota il fatto che praticamente tutte le autorità musulmane e gli studiosi in tutto il mondo hanno duramente condannato l’ISIS perché va contro i principi fondamentali dell’Islam.

Per esempio, una volta Andreana Tantaros (analista politica americana conservatrice, n.d.t.)  ha affermato su Fox news, parlando della fede musulmana, che:

«Lo hanno fatto per centinaia e centinaia di anni. Se studiate la storia dell’Islam, saprete che i nostri capitani delle navi venivano uccisi. I francesi ci hanno dovuto avvertire.   Cioè, questi erano i tempi di Thomas Jefferson. Hanno continuato a fare la stessa cosa. Questa non è una sorpresa. Non si può risolvere con un dialogo. Non si può risolvere con un vertice. Si risolve con una pallottola in testa. È l’unica cosa che questa gente capisce. E tutto quello che ho sentito da questo presidente è un’argomentazione che serve a colmare di lodi  questa religione, come per volerli placare».

In un certo modo penserei che questo tipo di logica non è molto applicata nel caso opposto. Anders Behring Breivik, colpevole di omicidio di massa e terrorista di fede cristiana che nel 2011 ha ucciso 77 persone in Norvegia, rappresenta davvero il Cristianesimo in Europa.

Il presentatore della televisione americana Bill Maher durante il suo programma ha parlato dell’ISIS, dell’Islam, e dei “liberali”. Ha fatto molte bizzarre affermazioni riguardo all’Islam, compresa questa: «l’unica religione che agisce come la mafia, che vi ucciderà, cazzo,  se direte la cosa sbagliata».

Deepa Kumar che è docente  associata di studi sui mezzi di informazione e di studi sul Medio Oriente all’Università Rutgers, definisce le osservazioni di Bill Maher “islamofobia liberale” che tratta «temi liberali come i diritti umani, i diritti delle donne, i diritti dei gay e delle lesbiche, i diritti di libertà di parola e così via e che perora la causa del cosiddetto mondo musulmano, come se fosse un unico grosso monolito».

L’islamofobia dei liberali, comunque spesso è di aiuto all’agenda dell’egemonia globale statunitense, come sostiene la Kumar nel suo libro intitolato Islamophobia and the Politics of Empire [Islamofobia e la politica dell’impero]. Un esempio chiaro di questo è stato l’attacco degli Stati Uniti contro l’Afghanistan. Una delle scuse della presenza militare statunitense in Afghanistan è stata che le donne afgane disperate avevano bisogno di essere salvate dai paesi occidentali.

Le organizzazioni afgane della gente comune, che stanno lottando per la democrazia e per l’uguaglianza di genere sono opportunamente ignorate in questo tipo di discorsi. In Afghanistan, per esempio, le organizzazioni  come la RAWA – Associazione rivoluzionaria delle donne dell’Afghanistan – stanno lottando contro le forze autoritarie, compresi gli alleati degli Stati Uniti. Tuttavia, i media occidentali raramente ci parlano di queste associazioni, e ancora più raramente vediamo che nazioni occidentali appoggiano qualsiasi movimento femminista locale.

Di Airan Bahmani

Originale: TeleSUR English

Traduzione di Maria Chiara Starace per Z-Net Italy

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