A Hong Kong la protesta del Movimento degli Ombrelli – per alcuni la Rivoluzione degli Ombrelli – è arrivata a una fase che molti ritenevano ormai inevitabile. Dopo quasi due mesi di occupazione delle affollate vie principiali, il sistema ha deciso che ne aveva abbastanza e le operazioni di sgombero sono cominciate.

Tutto è stato fatto in modo legale. Sono apparsi avvisi sul posto e sui giornali e ufficiali giudiziari nominati dal tribunale hanno invitato i manifestanti ad andarsene. Quando è arrivato il momento un’ottantina di operai con berretti rossi e magliette con la scritta “I love Hong Kong” hanno cominciato ad abbattere le barricate di metallo e legno erette attraverso Nathan Road.

All’ora di pranzo del 26 novembre la polizia ha annunciato che 116 persone erano state arrestate nello sgombero del quartiere di Mong Kok e venti agenti di polizia erano rimasti feriti. Tra gli arrestati, i giovani portavoce della Federazione degli Studenti Lester Shum e del gruppo Scholarism’s Joshua Wong, il consigliere e militante nonviolento soprannominato Capelli Lunghi – anche se a causa di un breve soggiorno in prigione ora li ha corti –  Szeto Tze-long dell’Unione degli Studenti dell’Università Cinese di Hong Kong e Raphael Wong Ho-ming della Lega Socialdemocratica.

Lee Cheuk-yan, membro del Consiglio Legislativo e sindacalista, ha condannato con forza l’operato della polizia, accusandola di aver usato una forza eccessiva contro i manifestanti e di essere fuori controllo.   “Non bisognerebbe usare la forza per risolvere un problema politico. Facciamo appello alla polizia perché si calmi” ha dichiarato rivolto ai giornalisti.

Mong Kok ha visto molti scontri tra gli studenti e gli oppositori della protesta. Dopo che ieri pomeriggio le vie intorno a Argyle Street e Portland Street erano state riaperte, i manifestanti si sono radunati intorno a Portland Street. Hanno affrontato la polizia e cercato di bloccare le strade con degli ostacoli, ma sono stati dispersi.

Sono iniziate anche le operazioni di sgombero degli incroci di Portland Street, Argyle Street, Shantung Road e Sai Yeung Choi Street, strade che non erano comprese nell’ordinanza dell’Alta Corte. Un portavoce della polizia ha dichiarato che queste rimozioni sono state realizzate in base a un’ordinanza sull’ordine pubblico. I manifestanti hanno cercato di arroccarsi in Shantung Street, Reclamation Street, Ferry Street e Shanghai Street e cominciato a erigere nuove barricate.

Gli arrestati sono accusati di assemblea non autorizzata, assalto alla polizia, possesso di armi d’offesa e resistenza a pubblico ufficiale. Dal punto di vista legale le ingiunzioni della corte sono state usate per legittimare le azioni della polizia, obbligata a collaborare con gli ufficiali giudiziari e i gruppi contrari all’occupazione che li appoggiavano.

La polizia ha lanciato un appello alla gente perché stesse lontana da Mong Kok per evitare di restare inutilmente ferita, ma migliaia di persone lo hanno ignorato e sono scese per strada. La polizia sostiene anche che il suo dovere la obbliga a entrare in azione per salvaguardare la sicurezza e l’ordine pubblico.

Le operazioni di rimozione delle barricate sono avvenute di giorno e hanno incontrato poca opposizione, ma la sera la situazione è cambiata e la polizia ha usato gas lacrimogeni e spray al peperoncino contro i dimostranti. La protesta si è diffusa in varie località intorno a Mong Kok, alcuni manifestanti sono stati visti mentre perdevano sangue per le ferite e la mattina del 26 novembre la zona era ancora immersa nel caos.

A Hong Kong il movimento per la democrazia era diviso anche prima di questi eventi, con due fazioni in genere descritte come pro o contro Pechino. Un’occupazione anti Pechino sarebbe temuta e vista in modo negativo, ma in gruppi contrari sono più interessati all’autonomia che a rivendicazioni più radicali. Contestano l’attuale capo dell’esecutivo Leung Chun-ying, che ha tenuto un basso profilo e ha lasciato che fosse Carrie Lam, segretaria generale del governo, a prendersi le critiche.

Dopo una serie di alti e bassi il movimento è arrivato a un punto morto. Il governo è stato astuto a prendere tempo, logorando non tanti gli studenti e i membri di Occupy, quanto la popolazione che ha dovuto affrontare disagi quotidiani. In fondo la maggior parte degli abitanti di Hong Kong vuole solo tornare alla normalità e a far soldi. 

E ora che succederà? Questo è il punto

Pechino rinuncerà allo stretto controllo sui candidati alle elezioni del 2016 e del 2017? La partecipazione era limitata in base a una recente relazione governativa sulla riforma elettorale; per fortuna si tratta di un testo scritto su carta e non inciso nella pietra, o almeno possiamo sperarlo.

Alcuni casi interessanti hanno portato alla luce comportamenti discutibili. Per esempio il 15 novembre tre rappresentanti del movimento studentesco di Hong Kong sono stati fermati all’aeroporto prima di imbarcarsi su un volo diretto a Pechino, dove intendevano presentare una petizione al governo centrale, con la scusa che i loro permessi di viaggio non erano più validi. In seguito a un altro gruppo di studenti è stato impedito di entrare nella confinante città di Shenzhen.

E’ importante che la gente di Hong Kong continui a protestare per ogni violazione dei diritti che la legge le garantisce. Gli studenti a cui è stato negato l’ingresso in Cina possono fare pressione perché il governo chiarisca in base a quale legge la loro visita a Pechino è stata considerata una minaccia alla sicurezza nazionale.

Nel frattempo, secondo un sondaggio il senso di identità cinese a Hong Kong non è mai stato così basso. Un esterno potrebbe chiedersi com’è possibile che un cinese non si senta tale. Forse questa domanda andrebbe rivolta ai membri delle classi medio-alte della Cina continentale, soprattutto ai funzionari ricchi e di alto livello che mandano mogli e figli all’estero.

Qualunque cosa succeda, i giovani di Hong Kong non saranno più gli stessi e la popolazione è molto più cosciente di prima dei suoi diritti. Ciò che è successo costituisce un riferimento positivo per il futuro, quando il significato reale della partecipazione potrà cominciare ad assumere proporzioni sempre più accelerate e dinamizzare la politica locale e la vita quotidiana.

Traduzione dall’inglese di Anna Polo