Nel mio ultimo articolo ho descritto il processo di pace colombiano tra il governo e le FARC (Forze armate rivoluzionarie della Colombia), ho parlato dei possibili fattori di disturbo dell’accordo di pace, specialmente del ruolo  dell’ex-presidente colombiano Alvaro Uribe Velez, legato ai paramilitari. Ho trattato anche delle molte cose che il processo di pace non risolverà, compresa una parte delle violenze raccapriccianti che avvengono a Buenaventura, commesse dai paramilitari “smobilitati”.

Da allora, abbiamo visto alcuni dei primi assassinii di indigeni del processo di pace, questa volta a opera delle FARC. Ciò che è accaduto è stato riassunto in una lettera pubblicata da Pueblos en Camino. Mentre i negoziati di pace entrano nella fase finale, le FARC hanno incontrato le loro vittime all’Avana, Cuba, e hanno riconosciuto il male che hanno fatto loro. Il 30 ottobre hanno fatto ciò che il WOLA (Washington Office of Latin America) ha chiamato la loro “più chiara ammissione che le FARC devono qualcosa alle proprie vittime”.

In concreto, nei territori indigeni del popolo Nasa della zona nord del Dipartimento del Cauca (per avere un quadro storico  dei Nasa vedere il mio saggio con foto), le FARC hanno intrapreso una campagna di propaganda armata riguardo al processo di pace, celebrando i combattenti che sono stati assassinati dal governo. Uno di questi, ucciso nel 2011, era Alfonso Cano. Un cartellone messo su dalle FARC con la foto di Cano, dice: “Non allenteremo neanche  per un istante la lotta per una soluzione politica del conflitto, per i nostri principi, per le certezze che ci motivano perché siamo rivoluzionari, perché amiamo la pace. Sesto Fronte, Blocco Occidentale, Comandante Alfonso Cano”. Mentre le FARC considerano che il nord del Dipartimento del Cauca sia un loro territorio, e reclutano i Nasa nei loro ranghi, i Nasa hanno lottato a caro prezzo per l’autonomia del loro territorio. Nel corso dei decenni, i Nasa hanno liberato gran parte del loro territorio dagli speculatori e dai grossi proprietari terrieri che glielo avevano rubato, hanno creato i loro governi municipali, e hanno amministrato il loro tradizionale sistema di giustizia nelle assemblee comunali. Per resistere agli attacchi armati, di solito da parte dello stato e dei paramilitari, ma troppo spesso anche dalle FARC, i Nasa hanno una tradizionale ‘guardia indigena’, cioè un’organizzazione di persone che non porta altro che bastoni tradizionali come simbolo della loro autorità, che ha svolto un importante ruolo nel mantenere il popolo indigeno nei loro territori, opponendosi a tutte le forze che hanno cercato di cacciarli.

Due di queste guardie indigene, Manuel Antonio Tumina (di 42 anni) e Daneli Coicue (di 63anni), hanno cominciato a togliere una parte della propaganda delle FARC, in conformità con l’autonomia della comunità: la decisione di levare o di attaccare i materiali della propaganda in territorio indigeno, è una decisione politica e spetta ai Nasa. Hanno tirato giù il cartellone con Cano. Come rappresaglia, le FARC li hanno uccisi.

Due giorni dopo è apparso un comunicato firmato dalle FARC (queste smentiscono che sia loro) pieno di ulteriori minacce contro un gran numero di indigeni, in cui si sosteneva che, secondo la loro “intelligence”, il movimento indigeno nel Dipartimento del Cauca viene tradito da alcuni dei suoi capi che hanno abbandonato i sentimenti  delle loro comunità umili per lavorare con il governo”. Le FARC dichiarano questa lunga lista di 26 capi indigeni “obiettivi dei militari” nella brutta comunicazione a cui l’organizzazione indigena ha risposto qui.

Il giorno dopo il rapporto, l’8 novembre, anche un altro membro della guardia indigena, il ventiseienne Jose Libardo Pacho, è stato ucciso; non si sa ancora se le FARC abbiano assassinato anche lui.

La risposta ufficiale delle FARC non è stata molto migliore delle minacce che hanno sconfessato; hanno sostenuto che le guardie indigene (armate soltanto di bastoni) sono state uccise quando essi hanno tentato di disarmare un gruppo di “militanti indigeni”. La dichiarazione ufficiale delle FARC cerca quindi di farla apparire  come una disputa  tra due gruppi di popolazioni indigene che gli è sfuggita di mano. Il problema è che la “disputa” avveniva tra guardie indigene disarmate e persone armate che, presumibilmente, agivano in base a degli ordini. Questo rende responsabile delle morti il commando delle FARC. In un periodo in cui si discute la giustizia per le vittime al tavolo dei negoziati, in un momento in cui le FARC sostengono di voler incontrare le vittime e di prendersi le proprie responsabilità, il comando sta creando nuove vittime e si sta impegnando per evitare la responsabilità.

Le FARC vogliono rivendicare come propri questi territori perché vi hanno operato. Però la difesa della terra in queste zone è stata fatta dalla resistenza autonome del popolo indigeno; le minacce delle FARC e ora le uccisioni, possono essere interpretate come un tentativo di trarre vantaggio dalla lotta dei nativi, per cercare di ottenere, in un accordo di pace con il governo, qualche cosa per la quale i nativi hanno lottato.

I Nasa hanno organizzato una ricerca e hanno arrestato gli assassini, processandoli in un’assemblea e condannandoli in base al loro sistema tradizionale (vedere la notizia di Al Jazeera).

Anche coloro che sono stati processati e puniti per i loro crimini erano, come avevano sostenuto le FARC, indigeni. Ma che dire dell’organizzazione che ha dato loro gli ordini? E delle minacce continue delle FARC ai membri delle comunità?

Due anni fa, quando i colloqui di pace iniziavano a prendere il via, il presidente Santos ha detto: “Non negoziamo lo stato. Non negoziamo il modello di sviluppo. Non negoziamo le politiche pubbliche” (colombiapeace.org). Santos stava rassicurando la sua base che questa non era una “pace a tutti i costi”, e che c’erano delle condizioni.

In tutti i decenni della guerra, le FARC e il governo hanno detto agli indigeni che la loro autonomia e il loro territorio avrebbero dovuto essere sacrificato per le necessità della guerra. Adesso sembra invece che vengano sacrificati per le necessità di un “processo di pace” in cui due eserciti minacciano i loro territori e le loro vite come se fossero una questione insignificante.

Un processo di pace dovrebbe essere un’opportunità perché questi protagonisti si comportino in modo diverso. Le dichiarazione dell’Avana sembrano belle, ma sono di scarso conforto dato che sono accompagnate da minacce, bugie e uccisioni.

Di Justin Podur

Traduzione di Maria Chiara Starace per Z-Net Italy

L’articolo originale può essere letto qui