“Il declino della violenza” è un saggio storico e psicologico molto accurato e molto meditato di Steven Pinker (Mondadori, 2013, 780 pagine effettive, 45 euro).

 

Il famoso psicologo americano sostiene che la nostra epoca è la più pacifica della storia e i risultati più eclatanti sono sicuramente quelli relativi al calo della violenza educativa e infantile. Oggigiorno in quasi tutti i paesi non si picchiano gli studenti e i neonati abbandonati sono rarissimi: si tratta di pochi casi ogni milione di nascite, mentre nel 1527 un prete francese scrisse che quasi tutti i giorni “le latrine risuonano dei pianti dei bambini che vi sono stati gettati”. In mancanza di tecnologie contraccettive e abortive, i più poveri dovevano fare di tutto per far sopravvivere i figli già nati.

Inoltre molti resoconti storici e antropologici sembrano confermare l’alta percentuale di morti per causa violenta, nelle principali popolazioni delle epoche passate. Naturalmente ci sono stati innumerevoli scontri occasionali, scorrerie programmate e ignobili imboscate mattutine (preferite dalle popolazioni di cacciatori e raccoglitori che si divertono a frecciare gli uomini che urinano e che cagano). Ci sono state le spietate guerre di conquista dei numerosi regnanti della popolazioni pastorali e agricole. Ci sono state e ci sono le guerre moderne degli stati nazionali, che sono pilotate e prolungate dagli industriali immorali, dai politici megalomani e dai banchieri sanguinari, che non rischiano nulla e guadagnano cifre da capogiro grazie ai prestiti di guerra.

Nonostante tutto l’intensità e la durata delle guerre risultano in calo, anche se l’evoluzione tecnologica permette di uccidere moltissime persone in pochissimo tempo e questo fatto non esclude che ci siano milioni e milioni di vittime per un singolo conflitto tra poche nazioni. Ma nel passato l’uccisione di civili e di donne e bambini era molto diffusa e del tutto volontaria, anche se la parola genocidio è stata coniata di recente. Anche nella bibbia si possono riscontrare molti episodi di guerra intertribale con abominevoli omicidi di donne e bambini di un’intera regione.

Quindi esiste un benefico processo di civilizzazione che trasforma le persone e le società (Norbert Elias lo ha studiato per tutta la vita: www.norberteliasfoundation.nl). Questo processo si realizza soprattutto nei moderni sistemi educativi della prima infanzia e dell’adolescenza, che sono incentrati sulla razionalità scientifica e limitano le cattive influenze ambientali legate ai genitori ignoranti e violenti e ai gruppo sociali intolleranti e razzisti o troppo nazionalisti e conservatori.

Infatti i famigerati desideri hobbesiani sono sempre in agguato: la predazione di terre, di beni e a volte di donne; gli attacchi preventivi per evitare le predazioni e gli assalti degli altri; le battaglie sull’onore per questioni di dominio e di gloria. Chiaramente alle precedenti motivazioni bisogna aggiungere quelle più psicologiche: la ricerca della vendetta; il sadismo (il profondo piacere provato nell’atto violento); l’ideologia tribale, religiosa, economica e politica (Roy Baumeister).

Però la vendetta non è sempre negativa: se integrata con la trasparenza, con le giuste ritorsioni e con la clemenza, “è necessaria alla cooperazione, impedendo che una brava persona sia sfruttata”. Purtroppo l’autore di un delitto trova quasi sempre delle giustificazioni, grazie al “Gap di moralizzazione” ipocrita che emette sentenze egoistiche a danno degli altri. Il bisogno di dominanza incontrollato di origine scimmiesca è legato all’identità maschile e causa molti danni, ma “Se un individuo appartiene a più gruppi e può passare dall’uno all’altro, ha più probabilità di trovarne uno in cui è stimato, e un insulto o uno sgarbo hanno minori conseguenze” (p. 579).

Comunque un’analisi dei conflitti armati dal 1980 al 1992 ha verificato “che un conflitto è più probabile se un paese è povero, popoloso, politicamente instabile e ricco di petrolio” o di materie prime molto pregiate come oro, diamanti e terre rare (coltan, ecc.). Nella nostra epoca le carenze d’acqua e i cattivi raccolti sembrano avere un effetto quasi trascurabile sull’insorgenza degli scontri armati. I territori montagnosi e le popolazioni con alte percentuali di giovani maschi sono più predisposte all’insorgenza di conflitti armati. Del resto i giovani maschi tra i 16 e i 35 anni sono quasi sempre gli autori di ogni tipo di violenza: rapine, attentati, stupri, ferimenti, omicidi e stragi.

Gli stati democratici difficilmente dichiarano guerra ad altri stati democratici o a nazioni aperte agli scambi economici o integrate nella stessa comunità internazionali, per cui oggigiorno ci sono meno conflitti armati e le guerre ufficiali durano di meno (nonostante le guerre etniche e civili nei paesi africani). Bisogna considerare che su 193 nazioni appartenenti all’Onu, in una quarantina di paesi esiste un conflitto armato più o meno intenso o un difficile periodo di pacificazione con omicidi efferati e vari attentati (Raffaele Crocco, 2013).

Per quanto riguarda le violenze di genere e quelle domestiche, bisogna sottolineare che risultano in calo e che anche gli uomini hanno beneficiato degli ultimi progressi sociali: “dopo l’ascesa del movimento delle donne, le probabilità che un uomo venga ucciso dalla moglie, ex moglie o fidanzata sono diminuite di sei volte [dal 1976 al 2005 in USA]. L’apertura di centri di rifugio e le ingiunzioni restrittive hanno offerto alle donne vie di fuga un po’ meno estreme” (p. 463).

In sintesi Steven Pinker (www.stevenpinker.com) confida nel progresso civile e liberale occidentale e ritiene probabile la profezia di Oscar Wilde: “fintanto che la guerra sarà considerata malvagia, avrà sempre il suo fascino. Quando verrà vista come volgare, allora cesserà di essere popolare” (p. 282). Quindi la “femminizzazione” della società aiuterà il controllo e l’eliminazione della violenza e bisogna sempre tenere in mente che “Coloro che riescono a farti credere delle assurdità, possono farti commettere delle atrocità” (Voltaire).

 

Per maggiori informazioni sullo stato attuale dei conflitti armati nel mondo, consiglio questo sito: www.atlanteguerre.it (la pubblicazione include ottimi fotoreportage, è aggiornata al mese di ottobre 2012 e contiene un focus sulla pirateria). Mentre agli amanti dei documentari segnalo “I ragazzi di El Alamein”, con le testimonianze degli italiani che sono riusciti a evitare il massacro (di Enzo Monteleone, prodotto da www.cattleya.it nel 2002, si trova anche su YouTube).