La guerra, la guerra … la guerra … se qualcuno mi commissionasse un quadro che sia lo specchio della nostra epoca, non potrei non dimenticare di riservare un angolino, anche abbastanza spazioso, per delle immagini di guerra. La guerra è intorno a noi, ogni giorno, in ogni terra del pianeta. Se ne parla, se ne scrive, si riprende in tv in diretta o in differita, riempie le pagine dei giornali, le scalette dei TG. Ne parlano perennemente i potenti del mondo, i burocrati e i politici. Più se ne parla e meno si agisce per non fomentarla o per cambiare le coscienze dell’umanità.

Tante belle parole che sistematicamente fuoriescono dalla bocca di una classe dirigente internazionale che consapevolmente e disonestamente, portando avanti gli interessi sporchi di pochi, manipola la realtà e si muove per innaffiare le menti della gente e dell’opinione pubblica con la cultura della violenza e con l’idea dell’assoluta imprescindibilità dell’atto bellico come equilibratore e bilanciatore del sistema.

I semi innaffiati quotidianamente dal mondo “moderno” sono quelli dell’umanità della violenza; ed è tanto efficace questo perfido giardiniere che oggi la strada dell’amore è l’unica chiave della trasformazione, del cambiamento e di una vera rivoluzione mentre, se fossimo sempre rimasti semplicemente esseri umani, per come la fabbrica ci ha fatti, l’amore sarebbe stato l’humus sano dell’esistere.

La guerra non è una variabile, ma è divenuta una certezza dei nostri anni; è il contorno che accompagna le nostre giornate e tutto finisce con l’essere minimizzato, con l’essere così scontato che sorvola le teste nell’indifferenza, nella non azione, nel non ascolto e nella distrazione di massa.

La guerra, la guerra … la guerra … e oggi non servono più i papi che ne parlano alla finestra di settimana in settimana implorando la preghiera e la ragionevolezza, non necessità più l’ipocrisia dei media mainstream, non è più tollerabile distribuire armi ad altri paesi come fossero gelsomini, non è sopportabile la violazione metodica della Costituzione camuffando la guerra d’invasione e d’interesse per interventi umanitari, non è ammissibile considerarsi sempre i buoni, falsi garanti della democrazia e usurpatori, che attaccano lecitamente e legittimamente i cattivi, sempre terroristi e dittatori, e non è più accettabile non intravedere all’orizzonte del governo del mondo neppure un decisionista illuminato e lungimirante capace di ricondurre il genere umano verso l’essere anziché l’avere.

Certo, il cambio di coscienza è trasversale e generazionale e non può non seguire il cammino “micro-macro”, dal particolare all’universale. Non deve cedere ad un controproducente lamentarsi e delegare, i cui risultati risiedono nel degrado umanista della nostra società. Sì, il cambio della coscienza comincia dalle scuole, dall’educazione, dal sovvertire la logica del nostro agire quotidiano anch’esso, ahimè, fatto di violenza e di condivisione con la violenza, ciò che contribuisce all’accettazione e alla tolleranza della guerra come unico strumento possibile per il mantenimento degli equilibri planetari e quelli della sopravvivenza umana.

Ogni tanto però arrivano la speranza e la rabbia, in un mix che si genera ascoltando chi vive la guerra sul fronte, in prima linea, chi non fa distinzione tra il bianco e il nero, chi non discrimina il povero e il ricco, chi conosce più di tutti le verità e lotta, spesso nel silenzio o nell’esclusione, per cercare di illuminare le menti umane.

Propongo di ascoltare l’intervista realizzata da Radio Capital a Gino Strada lo scorso venerdì, 12 settembre, in occasione dei 20 anni di Emergency.

Il fatto che un’associazione come Emergency compia 20 anni e che sia in continua crescita, la dice già lunga sullo stato dell’umanità e sulla rettitudine dell’essere umano, ma ascoltare inoltre le parole semplici, dirette, di buon senso e di denuncia di Strada (che di certo non scopriamo oggi, ma che è sempre bene rievocare) è disarmante, spiazzante, destabilizzante ed innesca in pochi minuti una rabbia positiva che traina lo spirito ad impegnarsi, a perseverare e ad agire concretamente per costruire un mondo nonviolento